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Il federalismo fiscale a 3 anni dalla legge delega
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- Lunedì, 03 Ottobre 2011 00:00
Dossier Novembre 2011
di Alessandro Naccarato, deputato Pd
Introduzione
Durante gli anni del governo Berlusconi i proclami e le promesse sul federalismo si sono trasformati in ingenti tagli alle risorse e in una sostanziale riduzione di poteri e funzioni di Regioni, Province e Comuni. Di fatto, il federalismo è stato utilizzato da Pdl e Lega come preteso per attuare politiche centraliste. La legge n. 42 del 2009 - annunciata come la norma per realizzare il federalismo fiscale – in realtà si è tradotta in un clamoroso inganno e segnato il fallimento della maggioranza di centrodestra, in quanto non ha prodotto alcun vantaggio concreto per Regioni, Province e Comuni.
1. Le previsioni di legge
Il federalismo fiscale si basa sull’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, come modificato dalla riforma del Titolo V attuata nel 2001:
«I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio».
Nel 2009 il Parlamento ha approvato la norma quadro per il federalismo fiscale (Legge n. 42). Questo provvedimento ha delegato il governo ad «adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni» come specificato dall’articolo 2 del provvedimento.
Da allora il governo Berlusconi sostenuto da Pdl e Lega ha esercitato la delega emanando i seguenti decreti legislativi che hanno valore di legge:
1) Federalismo demaniale
(decreto legislativo n. 85/2010)
2) Ordinamento transitorio di Roma Capitale
(d.lgs. n. 156/2010)
3) Determinazione dei costi e fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province
(d.lgs. n. 216/2010)
4) Federalismo fiscale municipale
(d.lgs. n. 23/2011)
5) Autonomia di entrata di Regioni a statuto ordinario e Province, e determinazione di costi e fabbisogni standard nel settore sanitario
(d.lgs. n. 68/2011)
6) Risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici
(d.lgs. n. 88/2011)
A questi atti si aggiungono due schemi di decreto, che restano in attesa del parere delle Commissioni parlamentari competenti prima dell’emanazione in via definitiva.
7) schema di decreto legislativo in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi (approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 9 giugno 2011);
8) schema di decreto legislativo in materia di premi e sanzioni e meccanismi di governance (al vaglio della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale).
Il quadro complessivo del federalismo viene quindi completato dai seguenti atti:
a)decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 22 novembre 2010 - Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale;
b) decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 6 agosto 2009 - Istituzione del Tavolo di confronto tra il Governo e le Regioni a Statuto specialee le Province autonome di Trento e Bolzano.
Qui di seguito l’analisi del fallimento dei principali decreti attuativi della legge delega che non hanno prodotto alcun risultato.
2. Il fallimento del federalismo demaniale (decreto legislativo n. 85/2010)
Le critiche delle Regioni
Il 5 maggio 2011 la Conferenza Unificata ha registrato la mancata intesa sul Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri recante l'elenco dei beni trasferibili agli enti territoriali. L’elenco trasmesso è stato ritenuto incompleto e non conforme al decreto legislativo n. 85/2010. In particolare, Regioni ed enti locali hanno rilevato la presenza di fondamentali lacune: dalla mancata individuazione degli enti destinatari dei beni, ad altri elementi informativi importanti, come i costi di gestione.Attualmente sono in programma ulteriori incontri tra la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e il governo per affrontare il passaggio di parte del patrimonio dello Stato alle Province, tuttavia la Conferenza ha sottolineato il rischio della separazione tra proprietà e funzioni che restano di competenza regionale e le difficoltà gestionali delle Province sulla dismissione dei beni.
Inoltre il decreto in esame:
1) non considera gli oneri di gestione e manutenzione che derivano dal trasferimento dei beni agli enti locali;
2) favorisce il conferimento dei beni trasferiti a fondi di investimento immobiliare e non la vendita diretta dei Comuni che devono contabilizzare la cessione ai fini del Patto di stabilità;
3) non chiarisce il ruolo assegnato agli immobili statali trasferiti e poi venduti rispetto al problema della garanzia del debito pubblico, di cui Il patrimonio statale oggi è la più solida assicurazione.
4) non prevede il trasferimento dei beni immobili del ministero della Difesa non più utilizzati a fini istituzionali.
Per queste ragioni il federalismo demaniale è fallito. Il risultato è che le autonomie locali – Regioni, Province e Comuni - non hanno ricevuto alcun vantaggio né beneficio da questo provvedimento.
3. Il fallimento della definizione dei costi e fabbisogni standard (d.lgs 216/2010)
Il decreto attuativo del governo:
1) conferma il gettito fiscale attualmente attribuito alle Regioni (per esempio attraverso l’Irap) ampliando il margine impositivo degli enti ma solo verso il basso, ossia con tendenza all’azzeramento dell’imposta.
2) per le Province prefigura una sostanziale conferma dei tributi collegati al traffico su gomma con la previsione, in sostituzione dei trasferimenti soppressi, di una compartecipazione al contributo erariale.
3) non prevede alcun sistema di superamento della spesa storica basato su meccanismi di merito, responsabilità e autonomia.
4) non determina alcun costo o fabbisogno standard ma affida la definizione dei criteri a Sose - società per azioni creata dal ministero dell’Economia e Banca d’Italia (in passato incaricata dell’elaborazione degli Studi di settore) - che ha rinviato a data da destinarsi l’incarico ricevuto;
5) secondo la Corte dei Conti, inoltre, l’atto del governo stabilisce che i fondi assegnati alle Regioni non dipendono dal costo standard ma dal rapporto fra la popolazione pesata della regione e il totale degli abitanti.
6) fa coincidere i criteri utilizzati per calcolare l’indice di spesa con il finanziamento ordinario (visto che non risultano contabilizzate né le entrate derivanti dall’autonomia fiscale delle Regioni, né le uscite utilizzate dagli enti per erogare prestazioni aggiuntive ai livelli essenziali).
Per queste ragioni i costi e i fabbisogni standard in realtà non sono stati definiti e quindi non sono mai stati applicati. Anche da questo provvedimento le autonomie locali non hanno ricevuto vantaggi né benefici.
4. Il fallimento del federalismo municipale (d.lgs 23/2011)
Il provvedimento prevede un percorso articolato in due fasi e una serie di rinvii a decreti legislativi successivi.
Nella fasetransitoria (dal 2011 al 2013) si prevedono:
1) meno risorse per i Comuni rispetto al 2010 (i tagli dei trasferimenti erariali contenuti nelle manovre di Finanza pubblica 2010-2011 diventano stabili e irreversibili).
2) dati troppo incerti sul recupero dell’evasione (che rappresenta una quota di gettito variabile dal 17,2% nel 2011 al 32,6% nel 2013);
Nella fase definitiva (dal 2014) si prevede:
1) la “patrimonializzazione” dell’Irpef sui redditi immobiliari da immobili sfitti;
2) l’introduzione dell’Imposta municipale propria (Imu). Nel presupposto, la base imponibile l’Imu coincide esattamente con l’attuale Ici. L’unica novità riguarda l’aliquota, elevata in modo da compensare l’assenza dell’Irpef (e relative addizionali degli enti locali) per la parte relativa ai redditi fondiari da immobili non locati. L’Imu ricade in prevalenza su soggetti non residenti: salta il principio federalista che lega gli elettori agli amministratori;
3) più tasse per lavoratori e pensionati (dal 2011: sblocco delle addizionali Irpef), per i turisti (dal 2011: tassa di soggiorno) e per le attività produttive e gli enti non commerciali (dal 2014: l’Imu risulterà maggiore dell’Ici).
4) una riduzione di carico a favore dei proprietari di immmobili ma non degli inquilini.
Per questi motivi i Comuni non hanno ricevuto benefici né vantaggi dal provvedimento. Il fallimento totale del decreto sul federalismo municipale è dimostrato inoltre dal fatto che a distanza di un triennio, viene ritenuto necessario reintrodurre l’Ici sulla prima casa, perché viene riconosciuta - a posteriori e dopo anni di bugie – come l’unica modalità federalista per finanziare in maniera autonoma e responsabile i Comuni.
5. Il fallimento delle disposizioni sull’autonomia di entrata delle Regioni e delle Province e sulla determinazione dei costi e fabbisogni standard nel settore sanitario (d.lgs. n. 68/2011)
Le Regioni
la fiscalità regionale si baserà, come oggi, su tre tributi propri derivati:
1) addizionale regionale Irpef;
2) compartecipazione regionale Iva;
3) compartecipazione regionale Irap.
Si tratta di tributi introdotti dal governo di centrosinistra aspramente criticati da Pdl e Lega, riscossi dallo Stato e poi trasferiti alle Regioni. Nella fase a regime – a partire dal 2014 verrà istituito - mediante un decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri – un fondo perequativo per garantire il finanziamento integrale delle spese regionali. Tale fondo verrà alimentato dalle Regioni nelle quali il gettito per abitante dell’addizionale regionale Irpef supera il getto medio nazionale. Di conseguenza, le Regioni continueranno a dipendere dai tributi derivati, riscossi dallo Stato e quindi trasferiti alle amministrazioni regionali. La distribuzione, dunque, risulterà identica a oggi e verrà assicurata dal fondo perequativo. A partire dal 2013 i trasferimenti regionali di parte corrente ai Comuni verranno soppressi e sostituiti da una compartecipazione comunale all’addizionale regionale Irpef. Le Regioni costituiranno un fondo sperimentale di riequilibrio per assicurare l’equivalenza tra i trasferimenti soppressi e le entrate derivanti dalla compartecipazione.
Le Province:
Le Province manterranno i seguenti tributi derivati:
1) imposta sulle assicurazioni Rca (Responsabilità civile auto), già attribuita in base al decreto legislativo n. 446/1997;
2) imposta sulle trascrizioni, già attribuita dal decreto legislativo n.446/1997;
3) dal 2012 una compartecipazione all’accisa sulla benzina sostituirà le imposte soppresse: trasferimenti erariali, compartecipazione provinciale all’Irpef, addizionale provinciale sull’energia elettrica (che verrà incamerata dallo Stato).
A partire dal 2013 i trasferimenti regionali di parte corrente verranno soppressi e sostituiti da una compartecipazione provinciale alla tassa sugli autoveicoli spettante alla Regione. Anche in questo caso il riparto della compartecipazione tra Province avverrà attraverso un fondo sperimentale regionale di riequilibrio. Per le Province cambierà poco: questi enti continueranno a vivere soprattutto di contributi derivati.
La determinazione dei costi e i fabbisogni standard in sanita'
Il fabbisogno sanitario standard è determinato a partire dal 2013 applicando i valori di costo rilevati nelle 3 Regioni di riferimento (benchmark). Queste sono individuate in base al pareggio di bilancio, alla qualità, all’appropriatezza e all’efficienza dei servizi erogati, garantendo rappresentatività al Nord, al Centro e al Sud e considerando almeno una regione di piccole dimensioni. Fino al 2013 si individueranno le Regioni di riferimento, successivamente verrà avviata una fase transitoria della durata di 5 anni.
I criteri previsti per calcolare la spesa coincidono con il finanziamento ordinario perché non sono conteggiate le entrate da sforzo fiscale autonomo delle Regioni e le spese per prestazioni aggiuntive ai Lea (livelli essenziali di assistenza). In questo modo il costo standard viene parametrato unicamente sulla popolazione "pesata" in base all'età, come accade con l'attuale finanziamento ordinario.
I costi standard sono calcolati per ciascuno dei tre macro livelli di assistenza:
a) assistenza collettiva
b) assistenza distrettuale
c) assistenza ospedaliera.
Il valore del costo standard è dato, per ciascuno dei tre macrolivelli, dalla media pro capite pesata del costo delle regioni di riferimento. Le modalità di individuazione delle Regioni di riferimento sono contraddittorie. La rappresentatività territoriale e le dimensioni contrastano con qualità, appropriatezza ed efficenza. I valori delle 3 Regioni di riferimento si avvicineranno alla media aritmetica nazionale e manterranno dunque la situazione molto simile a oggi.
I rilievi della Corte dei Conti
Secondo la Corte dei Conti la riconfigurazione dell’assetto impositivo dello Stato che emerge dal provvedimento emanati dal governo si presenta particolarmente complessa e di difficile gestione. In particolare, la magistratura contabile segnala:
1) mancanza di chiarezza nel passaggio dal regime di fiscalità derivata allo schema di tassazione propria;
2) approssimazione e incompletezza delle informazioni su cui viene fondato il nuovo regime;
3) rischio di sovrapposizione delle nuove norme con i provvedimenti che devono contenere la flessibilità degli enti locali in tema di autonomia tributaria;
4) rischio di dipendenza del gettito regionale dalla solidarietà fiscale tra Regioni, in aperto contrasto con il principio di responsabilità amministrativa alla base della riforma federalista. In particolare l’utilizzo delle compartecipazioni all’Irpef risulta in conflitto con le norme destinate ad assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali.
Anche nel caso di questo provvedimento le autonomie locali non riceveranno né vantaggi né risorse aggiuntive.