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Appalti per le aziende del clan. Arrestati due manager veneti
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- Giovedì, 10 Ottobre 2013 07:00
CORRIERE DEL VENETO 10 OTTOBRE 2013
Pensandoci bene, il trucco era estremamente intuitivo. Come si fa a impedire i controlli antimafia su un maxi-appalto da 112 milioni di euro? Semplice, frazionandolo in mini subappalti che non superino la soglia di legge, fissata a 154mila euro. Il tutto per favorire aziende, la «Edilbeta costruzioni» e la «To Revive», che facevano capo al clan dei La Rocca, una delle famiglie di riferimento di Cosa Nostra. L'inchiesta «Reddite Viam», coordinata dalla procura di Catania e gestita dai carabinieri della compagnia di Caltagirone, ha scoperto la tecnica utilizzata per la realizzazione del primo stralcio della Variante di Caltagirone, una strada progettata negli anni Sessanta e che, per l'appunto, aveva ottenuto finanziamenti pubblici per 112 milioni.
L'operazione ieri mattina ha portato all'arresto dell'amministratore delegato della Fip industriale di Padova, il veneziano Mauro Scaramuzza, 55 anni, del responsabile del cantiere Achille Soffiato, padovano di 39 anni, per concorso esterno all'associazione mafiosa, e di Gioacchino Francesco La Rocca, 42 anni, figlio del capomafia detenuto noto in Sicilia come «Zio Ciccio», di suo cognato Giampietro Triolo, 53, e del fratello di quest'ultimo, Gaetano Triolo, 42 anni. Secondo l'accusa, la Fip, attraverso Soffiato e Scaramuzza, avrebbe affidato lavori in subappalto a società controllate dalla famiglia La Rocca. I carabinieri stimano che su circa 36 milioni di euro in subappalto, un milione siano arrivati a una ditta, la «To Revive», che è stata sequestrata assieme alla «Edilbeta costruzioni», gestita dal figlio del boss. «Scaramuzza e Soffiato - scrive il gip di Catania, Anna Maggiore, nell'ordinanza di custodia cautelare - hanno agito con la consapevolezza di apportare un contributo al clan mafioso permettendogli di acquisire la gestione di attività economiche, il controllo di appalti pubblici e la realizzazione di profitti ingiusti». Il sistema, però, aveva bisogno di una sponda istituzionale. Soffiato e Scaramuzza l'avevano trovata corrompendo tre dipendenti dell'Anas, indagati per abuso d'ufficio: Giovanni Maria Fortunato Iozza, direttore dell'Anas di Catania, Maria Coppola, supervisore del cantiere e Vincenzo Cosentino, impiegato dell'ufficio gare e contratti di Anas. Era la stessa Coppola a dare indicazioni a Soffiato su come eludere i controlli. «Mandiamo un contratto fino al raggiungimento dei 150mila - dice in una telefonata intercettata - tre giorni dopo facciamo un contratto invece più grosso che va direttamente in prefettura». Per i favori di Iozza, Scaramuzza aveva assunto un suo cugino in una sua ditta, la «L&C». Per un altro piacere, gli aveva chiesto un Rolex da seimila euro. «L'orologio se lo scorda - aveva detto secco in una conversazione con una sua assistente - suo cugino ormai l'abbiamo assunto». In un altro frangente, la «L&C» aveva acquistato quattro automobili, una delle quali era andata a Coppola. In cambio dei regali, i funzionari Anas ritardavano (otto mesi!) la trasmissione di informazioni alla prefettura di Catania su un sub-appalto oltre soglia destinato alla «To Revive». La Fip di Padova è l'impresa incaricata di realizzare le cerniere del Mose di Venezia. Era stata già nel 2011 al centro di un'inchiesta della trasmissione «Report» di Milena Gabanelli. Mauro Scaramuzza ne è l'amministratore delegato dal 21 giugno scorso, ma è un uomo di Romeo Chiarotto al 100 Per cento: «Lo conosco da vent'anni» dice il presidente della Serenissima Holding. La Fip è il braccio operativo di Serenissima Holding, la stessa a cui fa capo il colosso Mantovani Costruzioni. Il ramo d'azienda che segue la realizzazione della «variante Caltagirone» a Catania è quello che si occupa dei cantieri edili, e in Sicilia questo è il settore in cui l'infiltrazione mafiosa è più frequente. Il caso è stato portato in parlamento dall'onorevole Alessandro Naccarato, parlamentare del Pd: «La notizia di questi arresti confermano le nostre preoccupazioni sui recenti fatti di cronaca circa i rapporti delle imprese del nord e la criminalità organizzata, le cosche si infiltrano negli appalti e questo fenomeno crea allarme sociale». Eppure questa vicenda della Fip coinvolta nelle cosche non convince Luigi Schiavo, presidente dell'Ance Veneto: «Attenzione, spesso le aziende cadono dentro questi tranelli ma non siamo noi a dover controllare, è il committente (in questo caso l'Anas, ndr) che deve verificare che le carte siano in ordine. Se nel caso specifico ciò non è avvenuto, la responsabilità non può non cadere sul controllore».