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La corruzione nuova arma delle mafie. Venezia: audizione con la commissione Antimafia.
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- Martedì, 31 Marzo 2015 15:32
MATTINO DI PADOVA 31 MARZO 2015
«Dopo questa giornata di audizione posso comunicarvi un’impressione consolante: per il Veneto - rispetto ad altre realtà del Nord, ad esempio la Lombardia dove la presenza mafiosa la rende la quarta regione per l’infiltrazione della criminalità organizzata dopo quelle del Sud - sono emersi dati meno allarmanti. Ancora non possiamo parlare di un vero e proprio insediamento, ma è alto il rischio di infiltrazioni». Così, ieri a Venezia, la la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi.
Dopo aver sentito il procuratore antimafia di Venezia Luigi Delpino con il pubblico ministero Giovanni Zorzi, i procuratori di Padova e Treviso Matteo Stuccilli e Michele Dalla Costa, i prefetti dei capoluoghi veneti, il comandante del Ros dei carabinieri e il direttore della Direzione investigativa antimafia di Padova, un dato preoccupante è emerso: la risposta da parte dello Stato, della magistratura e degli apparati investigativi, per contrastare e impedire le infiltrazioni sarebbe carente. Gli stessi magistrati intervenuti hanno parlato, ad esempio, della necessità di un maggior coordinamento tra la Direzione distrettuale antimafia di Venezia e quelle degli altri capoluoghi, che sono spesso intervenute nella nostra regione, come Palermo, Reggio Calabria o Bologna. «Adesso i mafiosi sparano meno e corrompono di più, la corruzione è la nuova arma delle mafie» ha ribadito Rosy Bindi. E la criminalità organizzata ha vita facile anche grazie al fatto che i termini della prescrizione per questo tipo di reati sono brevi. «Sulla corruzione nei grandi affari guai a fare gli errori che hanno compiuto in altre regioni del Nord, sostenendo che la mafia non c’era, che stava soltanto al Sud, salvo scoprire poi che si era insediata stabilmente» ha proseguito. La presidente Bindi ha fatto due nomi di grandi imprese venete, la «Mantovani» di Padova e la «Maltauro» di Vicenza, finite la prima nell’inchiesta veneziana sul Mose la seconda in quella milanese sull’Expo. Il vicepresidente Claudio Fava ha fatto riferimento alla presenza a Mestre di Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta di Palermo, definito dal parlamentare di Sel «rappresentante di una struttura portante di Cosa nostra». E’ stata sottolineata l’importanza dell’indagine svolta, oltre che a Palermo dove Galatolo ha deciso di collaborare, dal pm Giovanni Zorzi di Venezia, dove l’ex capo di Cosa nostra gestiva una ditta penetrata alla Fincantieri e si era inserito in una azienda di trasporti lagunari al Tronchetto. Una situazione simile a quella di Giuseppe Riina che dal 2012 è a Padova. «Da queste indagini sulle bancarotte spesso si scopre altro», ha spiegato il procuratore di Treviso Dalla Costa, e il segnale d’allarme suona soprattutto quando i fallimenti si inseguono a catena con gli stessi personaggi che compaiono. Il procuratore di Padova Stuccilli ha riferito, invece, sulle bande criminali albanesi e di altre etnie che controllano lo spaccio di sostanze stupefacenti al dettaglio, sottolineando però che è in particolare la ’ndrangheta a rifornire con grandi quantità il mercato. Inoltre, ha ricordato il maxi sequestro di beni immobili e mobili per oltre cento milioni di euro al campano venuto dal nulla Francesco Manzo, trapiantato a Padova. L’indagine non è conclusa anche perché lo stesso Manzo sostiene che è riuscito a mettere assieme il suo impero immobiliare grazie alle banche.