MENO SBARCHI, PIÙ CASE. «COSÌ SI CHIUDE BAGNOLI». SALE A 55 IL NUMERO DEI COMUNI DEL PADOVANO CHE ACCETTA L'ACCOGLIENZA DIFFUSA. IL PREFETTO FRANCESCHELLI: «DA MESI UN COSTANTE ALLEGGERIMENTO DELL'EX CASERMA» MATTINO DI PADOVA 6 SETTEMBRE 2017
Meno sbarchi e più accoglienza diffusa: uguale svuotamento dell'hub di Bagnoli. È la nuova formula della gestione dell'immigrazione, che produce i primi risultati. Tanto da far pensare che, se il trend dovesse restare questo, la chiusura dei grandi centri di accoglienza non è più un miraggio.
«La priorità è chiudere Bagnoli e Cona. E le cose stanno andando in quella direzione», spiega il deputato Pd Alessandro Naccarato, il più vicino (politicamente parlando) al ministro dell'Interno Marco Minniti. Più cauto ovviamente il prefetto Renato Franceschelli: «Incrociamo le dita che duri così - commenta - Abbiamo avuto un periodo di calo degli sbarchi che ci ha consentito di continuare a cercare sul territorio soluzioni diverse e in questo modo alleggeriamo Bagnoli».
Nell'ex caserma al momento ci sono meno di 700 migranti.Sempre più comuni, anche se lentamente, si convincono dell'accoglienza diffusa. Nell'aprile scorso, la data dell'ultimo bando della Prefettura, il numero che comuni che non accoglievano nessun migrante era di 54. Adesso è sceso a 49 su 104.
La maggioranza dei sindaci padovani dunque «governa» il fenomeno. Da aprile questo ha permesso di portare a 2.700 il numero di richiedenti asilo sistemati con l'accoglienza diffusa. E inizia a funzionare anche il sistema di "ricollocamento" in altri paesi europei: a Bagnoli 40 eritrei sono in attesa di trasferimento. I numeri della situazione.
È il ministero dell'Interno a fornire gli ultimi dati aggiornati al 4 settembre scorso. Gli immigrati sbarcati nel 2017 sono 99.846 contro i 121.385 dello stesso periodo dello scorso anno. Vale a dire un calo del 17,74%.
Impressionante però è il dimezzamento degli sbarchi in luglio e il quasi stop (meno 80%) in agosto. «Funzionano gli accordi fatti dall'Ue e dal governo italiano per fare filtro in centro Africa e controlli nelle coste libiche - spiega Naccarato - E anche aver imposto la presenza della polizia giudiziaria a bordo delle navi delle Ong è stato importante». Quote e ricollocamenti. Nell'ambito delle regioni italiane il Veneto accoglie il 7% quando la sua quota sarebbe del 9%. Il record è attualmente della Lombardia con il 13%. Le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco sono nigeriana per 16.671, della Guinea per 8.904 e del Bangladesh per 8.747. Quasi 15 mila profughi invece sono stati ricollocati nel corso dell'anno in altri paesi europei: «Anche in questo caso, se consideriamo che la metà delle domande di asilo viene respinta ed è previsto il rimpatrio, vuol dire che un rifugiato su tre finisce all'estero», spiega il deputato dem. «Si parla sempre di immigrazione quando c'è l'emergenza - commenta - Questa invece è la dimostrazione che l'immigrazione piò essere governata».
Prefettura al lavoro. «Un po' alla volta si andrà verso un piccolo ma costante alleggerimento dei grandi centri di prima accoglienza», è il commento del prefetto Renato Franceschelli che, con una tempra serafica, vede pian piano realizzarsi i frutti del suo lavoro. L'ultimo bando andava alla ricerca di 400 posti, che non sono stati ancora tutti trovati. Ma la pazienza è la virtù dei forti: «Noi continuiamo a lavorare cercando soluzioni sul territorio - spiega - E tutti i posti che troviamo sono persone che escono da Bagnoli».
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I DATI SUGLI SBARCHI 2016 - 2017
LA STAMPA 7 SETTEMBRE 2017
CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE, REPRESSIONE DEL TRAFFICO DI PERSONE, ACCOGLIENZA DIFFUSA: I PRIMI RISULTATI DEL GOVERNO GENTILONI
Negli ultimi mesi sono cambiati i dati sull’immigrazione: il numero dei migranti sbarcati è diminuito; i progetti di accoglienza e integrazione degli enti locali sono in crescita; i tempi di esame delle domande di asilo si sono ridotti; gli stranieri espulsi per i reati commessi sono aumentati. Questi elementi positivi sono il risultato delle scelte di politica estera e interna sull’immigrazione effettuate dal governo Gentiloni. Innanzitutto l’Italia ha abbandonato l’atteggiamento polemico e negativo verso l’Europa e ha costruito, in sintonia con Francia, Germania e Spagna, le condizioni per intervenire in Africa del nord per limitare gli ingressi. In questo modo si sono stabiliti accordi con le autorità libiche di Tripolitania e Cirenaica e con diverse tribù e istituzioni locali per contrastare l’immigrazione irregolare. In particolare l’attività congiunta della nostra marina militare e della polizia libica, addestrata e sostenuta da personale italiano, sta combattendo il traffico di migranti gestito da organizzazioni criminali che possono contare su una vasta rete di relazioni e complicità che spesso coinvolge anche insospettabili associazioni pseudo umanitarie. Infatti è bastato introdurre l’obbligo della presenza della polizia giudiziaria sulle navi che soccorrono i migranti nel Mediterraneo per ridurre i traffici e scoperchiare l’ipocrisia di chi andava a recuperare i migranti direttamente su richiesta dei trafficanti per poi abbandonarli nelle coste italiane. Gli sbarchi, dopo un marcato aumento fino al mese di aprile, si sono stabilizzati in maggio e in giugno, si sono ridotti rispetto al 2016 del 50% in luglio e del 70% in agosto. Dopo anni di slogan senza seguito, come “aiutiamoli a casa loro”, finalmente qualcosa si muove e stanno iniziando a funzionare i primi centri di accoglienza ed identificazione realizzati con risorse dell’Europa in Libia e in Tunisia. A livello interno la legislazione sull’immigrazione è stata riformata dai decreti dei ministri Minniti e Orlando sulla sicurezza urbana e sulle procedure di identificazione, accoglienza ed espulsione dei cittadini stranieri. Le nuove norme hanno l’obiettivo di promuovere l’accoglienza e l’integrazione dei profughi che arrivano in Europa in cerca di opportunità di lavoro e di migliori condizioni di vita, contrastando il traffico di persone e il crimine. Infatti il fenomeno migratorio può essere governato soltanto distinguendo l’immigrazione regolare da quella irregolare: chi rispetta la legge deve essere accolto, chi delinque deve essere condannato ed espulso. I decreti sono stati convertiti in legge dal Parlamento in aprile e iniziano ora a produrre i primi effetti. Le domande di asilo vengono esaminate più in fretta; i comuni sono coinvolti nell’accoglienza e ricevono risorse aggiuntive per l’integrazione; i minori non accompagnati sono seguiti da strutture specifiche; sono aumentati gli strumenti per eseguire i provvedimenti di espulsione. Questi risultati indicano l’efficacia della strategia adottata ma non sono ancora sufficienti. Nei prossimi mesi bisognerà rilanciare l’iniziativa a livello internazionale e legislativo. Infatti bisogna concretizzare le recenti decisioni europee incrementando i controlli nel Mediterraneo e le strutture di accoglienza nelle coste libiche e avviando la redistribuzione dei migranti in tutti i paesi dell’Unione. Inoltre è urgente introdurre misure, come la legge sullo ius soli temperato, ora all’esame del Senato, per favorire l’integrazione dei giovani figli di migranti che vivono e studiano in Italia.
REGIONE VENETO CONTRO I VACCINI: UN ESEMPIO CONCRETO DEI PERICOLI DELL’AUTONOMIA REGIONALE
La decisione della Regione Veneto di sospendere l’efficacia della legge nazionale sull’obbligo dei vaccini per bambini e ragazzi da 0 a 16 anni determina danni significativi a livello sanitario e culturale. Infatti la sospensione espone la popolazione al rischio di contrarre pericolose malattie e indebolisce la prevenzione per promuovere la salute delle persone. La scelta del Veneto contiene un chiaro messaggio contro i vaccini e accarezza le sciocchezze e le falsità antiscientifiche alimentate dalla dilagante ignoranza in materia. In realtà i vaccini sono decisivi strumenti di prevenzione che hanno consentito di debellare malattie mortali. In Italia la copertura dei vaccini è scesa sotto la soglia di sicurezza minima del 95 per cento e sono sempre più frequenti, anche in Veneto, i casi di epidemie di morbillo e di altre gravi patologie. La decisione sui vaccini fa parte della strategia perseguita dalla Lega in Veneto con il referendum sull’autonomia: ostacolare il governo con azioni clamorose, cercare il conflitto con lo Stato e agitare la secessione per conquistare consensi. La sospensione dell’obbligo vaccinale deve far riflettere sugli effetti disastrosi che ci saranno in caso di maggiore autonomia decisionale della Regione in ambito sanitario. Devono riflettere soprattutto gli incauti e superficiali sostenitori del referendum farsa del 22 ottobre. La decisione del Veneto di contrastare l’obbligo vaccinale dimostra gli effetti devastanti prodotti dall’eccesso di federalismo e dalla strisciante secessione sanitaria in atto. In Veneto la copertura vaccinale, che è già sotto la soglia minima, diminuirà ancora e i ragazzi saranno più esposti alle malattie. La prevenzione sanitaria deve essere di competenza dello Stato e rispondere a una programmazione nazionale concordata con l’Organizzazione mondiale della sanità con norme uguali in ogni territorio e non può essere condizionata dalle iniziative demagogiche di qualche governatore o dirigente regionale. E’ molto grave che un’istituzione che dovrebbe organizzare i servizi sanitari ostacoli l’applicazione di una legge che persegue un obiettivo fondamentale di salute e sicurezza pubblica. Per questa ragione è necessario che il governo intervenga per bloccare la decisione della Regione e si attivi con le autorità competenti per contrastare una norma che mette in pericolo la salute dei cittadini.
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"RENZI: REFERENDUM INUTILE"
MATTINO DI PADOVA 7 SETTEMBRE 2017
FINALMENTE UNA PRESA DI POSIZIONE CHIARA DAI VERTICI NAZIONALI DEL PD. RIMANE UNA QUESTIONE LOCALE: SE IL REFERENDUM È INUTILE PERCHÈ IL PD VENETO INVITA A VOTARE SÌ? ECCO PERCHÈ BISOGNA CONTRASTARE IL REFERENDUM E INVITARE I CITTADINI A NON VOTARE.
Il referendum è una farsa organizzata dalla Lega per distrarre l’opinione pubblica e i cittadini dai problemi regionali ed è inutile perché non modifica l’autonomia della Regione. Il referendum aumenta il conflitto con lo Stato allontanando l’obiettivo di un accordo per poter gestire meglio alcune precise materie. Noi crediamo nell'autonomia e crediamo che ogni centralismo nazionale o regionale non aiuti il buon governo, come sanno bene gli amministratori locali veneti. Allo stesso tempo riteniamo che l'autonomia regionale sia stata tracciata efficacemente nella riforma costituzionale del 2001 e che vadano respinte le pulsioni secessioniste o indipendentiste.
Ci sono 4 principali ragioni per contrastare il referendum farsa sull’autonomia regionale.
Prima. Il referendum stravolge l’ordinamento costituzionale e apre un conflitto permanente tra Regione e Stato. Infatti l’articolo 116 della Costituzione stabilisce che le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere attribuite in materie precise alle Regioni ordinarie attraverso una trattativa e un’intesa con lo Stato. Per la Costituzione l’autonomia speciale è il risultato di un accordo e non di uno scontro tra Regioni e Stato. Non solo. La Costituzione non prevede un aumento dell’autonomia fiscale per finanziare le nuove competenze trasferite: l’accordo deve individuare le materie “ulteriori” che vengono assegnate alle Regioni e le relative risorse. Per questo l’autonomia deve essere il risultato di un’intesa e non di uno scontro. La Regione Veneto, nonostante la disponibilità e le aperture del governo, ha scelto la strada referendaria per evitare la trattativa, evitare di indicare le materie e, soprattutto, evitare di indicare le risorse. L’autonomia regionale nel rispetto della Costituzione si costruisce con un accordo tra Regione e Stato: un accordo che indichi le materie da attribuire alla Regione e le relative risorse. Questa è la strada che sta seguendo l’Emilia Romagna, senza ricorrere a inutili e costosi referendum, mediante una trattativa con lo Stato. La possibilità di negoziare ulteriori forme di autonomia è prevista dalla vigente Costituzione ed il quesito ripropone ciò che già oggi sarebbe possibile fare. Questa possibilità è contenuta nelle modifiche alla Costituzione che sono state sottoposte a referendum nel 2001, confermate dal voto dei cittadini italiani. Anche in Veneto hanno vinto i sì con il 57,72%, perché allora chiedere nuovamente ai veneti se sono d’accordo su quanto la Costituzione prevede e che dal 2001 non ha visto alcune seria iniziativa di Zaia e di chi lo ha preceduto?
Seconda. Il referendum stravolge i principi costituzionali di solidarietà e di sussidiarietà. Infatti il referendum non indica né le materie in più da assegnare alla Regione né i relativi costi e le risorse. Il quesito si limita a chiedere ai cittadini se vogliono maggiore autonomia regionale senza individuare le materie e i costi. Il referendum evita accuratamente le due domande alla base del processo di autonomia: In cosa si vuole maggiore autonomia? Chi e come si paga la maggiore autonomia? Qui il referendum diventa una farsa. I sostenitori del referendum sostengono che l’autonomia si paga trattenendo in Veneto le tasse raccolte nella Regione. E’ la questione del residuo fiscale. E’ bene sapere che il residuo varia a seconda del metodo di calcolo. Ad esempio le spese straordinarie per le calamità naturali (terremoti, alluvioni, frane, temporali), per le opere pubbliche (Pedemontana, Mose), per il salvataggio delle banche locali (casse di credito cooperativo, Popolare di Vicenza, Veneto banca) non vengono mai calcolate tra i finanziamenti che lo Stato eroga alla Regione. Solo negli ultimi anni per spese straordinarie lo Stato ha erogato al Veneto l’equivalente di due leggi di bilancio nazionali. Anche diverse spese strutturali (pensioni, sicurezza, presenza delle forze dell’ordine e dei militati per il controllo del territorio, scuola) non vengono calcolate tra i finanziamenti erogati dallo Stato alla Regione. Infine non vengono mai calcolati il debito pubblico e i relativi interessi che sono pagati interamente dallo Stato. Come sarebbe il residuo fiscale se il debito pubblico e gli interessi fossero divisi su base regionale e trasferiti nei bilanci delle Regioni? Inoltre è bene sapere che il residuo fiscale è un tema nazionale e che in tutte le regioni del centro nord, non solo in Veneto e in Lombardia, si raccolgono più tasse di quante se ne spendono in determinati servizi. Se tutte le regioni avanzassero la richiesta di Zaia e di Maroni l’unità nazionale sarebbe messa in discussione. Forse è proprio ciò che vogliono, mascherando con l’autonomia la volontà di favorire la secessione.
Terza. Il referendum alimenta il conflitto con lo Stato e con l’Unione Europea per nascondere il fallimento del centrodestra al governo della Regione dal 1995 e per speculare sul disagio provocato dalla crisi economica e dalle scelte sbagliate di molte istituzioni politiche e imprenditoriali regionali. Il referendum serve per realizzare l’autoassoluzione collettiva delle classi dirigenti regionali che scaricano le responsabilità della crisi e del fallimento sulla politica romana ed europea. Per questo i sostenitori del referendum non parlano delle materie ulteriori che vorrebbero gestire e di come trovare le risorse per farlo e utilizzano slogan come “Paroni a casa nostra” e “Il nemico è Roma”. Un elemento di questa strategia è il ricorso costante contro i provvedimenti del governo alla corte costituzionale; ostacolo di fatto alle scelte del governo. Come è noto la realtà è diversa. L’economia e le imprese venete sono cresciute negli anni ’80 grazie alla capacità delle istituzioni nazionali e locali di valorizzare le capacità e la produttività di lavoratori e imprenditori nella creazione di valore aggiunto, e grazie alla svalutazione competitiva della lira, che ha prodotto costi enormi in termini di indebitamento pubblico che oggi pesa su tutto il Paese, e, in tempi recenti, grazie al mercato comune europeo. Pertanto senza le politiche monetarie ed economiche nazionali ed europee il benessere della nostra Regione sarebbe nettamente inferiore. La crescita e il futuro del Veneto sono strettamente legati all’Italia e all’Europa.
Quarta. Il referendum agita il tema dell’indipendenza e della secessione con effetti culturali devastanti: con le stesse finalità è stata scelta la data del 22 ottobre per richiamare il plebiscito del 22 ottobre del 1866 e aizzare il variegato mondo di secessionisti e indipendentisti che da tempo sviluppano una campagna contro l’unità nazionale anche attraverso iniziative violente. Nella stessa direzione vanno le numerose leggi identitarie promosse dalla maggioranza che sostiene Zaia, leggi che spesso si sono rivelate in contrasto con la Costituzione: dalla legge sui veneti come minoranza nazionale, alla priorità per i veneti nelle graduatorie per gli asili nido e per i servizi sociali, fino all’obbligo di esporre, insieme alla bandiera italiana, quella della Regione. Il presupposto culturale del referendum è la presunta superiorità del popolo veneto rispetto al resto d’Italia; una supremazia che sarebbe valorizzata dall’indipendenza dall’Italia e dall’Europa, indicate come le origini di tutti i mali. La realtà è diversa. Molti problemi del Veneto sono nati qui e sono stati causati da imprenditori e amministratori locali: lo scandalo Mose, il fallimento delle banche popolari e di molti istituti di credito cooperativo, il consumo esagerato di suolo e i relativi disastri idrogeologici, i costi esorbitanti di opere pubbliche come la Pedemontana o alcuni ospedali, la gestione inefficiente della formazione professionale e dell’alternanza scuola-lavoro, per fare solo pochi esempi.
Per comprendere la gravità della situazione è utile porsi alcune domande concrete. Senza i soldi pubblici stanziati dal governo per le banche venete chi avrebbe salvato i risparmiatori? Alla luce dei ripetuti tentativi della Regione di limitare i parchi regionali è meglio affidare la tutela dell’ambiente alla Regione o allo Stato? In una Regione che spreca risorse per insegnare il dialetto veneto nelle scuole anziché potenziare l’inglese, il tedesco o la stessa lingua italiana, è meglio attribuire i programmi e l’organizzazione didattica a livello statale o regionale? La salute è più tutelata dalla Regione che ostacola i vaccini o dallo Stato che cerca di rintrodurre le vaccinazioni obbligatorie per contrastare il pericolosissimo abbassamento delle soglie di protezione verso alcune gravi malattie contagiose? L’elenco potrebbe continuare a lungo e in diversi campi per dimostrare che non è vero che Il Veneto si governa meglio senza lo Stato.
Infine non si può non denunciare con forza che è in corso una campagna a senso unico per il sì al referendum in contrasto con tutte le norme sulla par condicio. La Regione sta utilizzando risorse istituzionali e strumenti di pressione politica per favorire l’affluenza al voto e la vittoria del sì. Spendere soldi pubblici per propagandare idee di parte in una competizione elettorale è una violazione delle fondamentali leggi democratiche. E’ doveroso ribadire che, in base alle norme vigenti, nel referendum la non partecipazione al voto equivale all’espressione di un orientamento e deve essere rispettata e pubblicizzata come le posizioni a favore e quelle contrarie. Finora non è stato così. Si sta concretizzando il rischio di trasformare il referendum in un plebiscito per affermare un pensiero unico autonomista, senza garantire la parità di accesso ai mezzi di comunicazione e di informazione alle diverse opinioni.
Il referendum serve a Zaia per indebolire il governo nazionale e avviare la campagna elettorale per le politiche della prossima primavera. Chi sostiene il sì al referendum, di fatto, contribuisce a rafforzare la vuota propaganda della Giunta regionale e a indebolire le riforme approvate dai governi di centrosinistra.
Per queste ragioni invitiamo i cittadini a contrastare il referendum regionale e a non andare a votare.
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MATTINO DI PADOVA 7 SETTEMBRE 2017
IL MESSAGGERO 7 SETTEMBRE 2017
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