APPROVATA LA LEGGE CONTRO LA PROPAGANDA FASCISTA E NAZISTA MATTINO DI PADOVA 14 SETTEMBRE 2017
La Camera ha approvato la legge che punisce la propaganda del regime fascista e nazifascista. Si tratta di un provvedimento importante che integra e completa la legislazione attuale rendendo più efficaci e incisive le norme per contrastare comportamenti e azioni che inneggiano alle violenze e alle discriminazioni razziali realizzate durante le dittature fascista e nazista. Nel nostro ordinamento esistono due leggi attuative della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista. La legge 645 del 1952, nota come legge Scelba, punisce l'apologia del fascismo, e la legge 205 del 1993, nota come legge Mancino.Queste leggi, applicate con modalità e rigore differenti nel corso del tempo, hanno contribuito a reprimere la rinascita di gruppi neofascisti, in particolare nella seconda metà degli anni '70 e nei primi anni '90. Oggi, sfruttando il disagio sociale provocato dalla lunga crisi economica, la propaganda fascista si presenta con forme e modalità diverse rispetto al passato. Il razzismo e la discriminazione religiosa, etnica e nazionale, tratti caratteristici del regime fascista italiano che introdusse leggi razziali prima della Germania nazista, sono sostenuti apertamente da movimenti che si richiamano alle dittature di Mussolini e di Hitler. Sono in aumento gli episodi di istigazione al razzismo e alla violenza: azioni punitive contro i migranti, scritte e manifesti razzisti, ronde violente, minacce a chi accoglie i profughi. Anche a Padova e in Veneto recenti fatti di cronaca e ricorrenti atti di razzismo negli stadi indicano l'attività costante di gruppi di estrema destra che, sfruttando diffuse sottovalutazioni e la connivente complicità di alcune forze politiche, svolgono propaganda delle ideologie e dei regimi fascista e nazista e diffondono l'odio razziale e un clima di violenza.La propaganda del fascismo produce conseguenze gravissime e determina atti violenti. Per questo la nuova legge individua le condotte penalmente rilevanti con chiarezza: la propaganda di immagini o contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco e delle relative ideologie, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli ad essi riferiti; il richiamo pubblico alla simbologia o alla gestualità del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco e delle relative ideologie. Il reato è aggravato quando la propaganda avviene attraverso strumenti telematici o informatici. La legge approvata dalla Camera costituisce uno strumento utile per prevenire le attività criminali di gruppi che propagandano i valori dei regimi fascista e nazista, l'odio e la violenza razzista.
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TESTO DEL PROVVEDIMENTO
DOSSIER DI APPROFONDIMENTO GRUPPO PD
ESPOSTO ANTI-REFERENDUM MATTINO DI PADOVA 12 SETTEMBRE 2017
«Troppi soldi spesi per comunicare un referendum inutile e con mezzi non idonei rispetto ai fini. Per dirlo in due parole, il rapporto fra costi e benefici è assolutamente sproporzionato». Ad affermarlo, due esponenti del Pd, il consigliere regionale Graziano Azzalin e il deputato Alessandro Naccarato, che ieri hanno presentato alla Corte dei Conti un esposto contro il piano di comunicazione della Giunta relativo alla consultazione popolare sull'autonomia del Veneto del 22 ottobre, approvato l'8 agosto scorso. «Le scelte amministrative devono essere ispirare a criteri di economicità ed efficacia e non è certo questo il caso», rilevano gli esponenti della minoranza dem, ringalluzziti dall'invito a disertare le urne rivolto ai veneti da Matteo Renzi «in un batter d'occhio siamo passati da 500mila a un milione e 200mila euro, un aumento del 140%, una spesa pari al 10% del costo di tutti gli adempimenti istituzionali. Al di là dell'ammontare, ci pare evidente che siano stati violati i principi che disciplinano la corretta gestione delle risorse pubbliche. Basti pensare al "traino banner su aereo", voce prevista dal piano di comunicazione: si tratta di un'azione rivolta a una platea di utenti in significativa misura estranei alla "questione referendum", perché non residenti in Veneto, come, per esempio i tanti turisti che hanno affollato le spiagge durante l'estate». «La finalità», sostengono «dovrebbe essere quella di comunicare, in forma impersonale, alla generalità dei cittadini il contenuto del quesito referendario e le modalità di partecipazione. Ed è la stessa legge regionale a contemplare come opzione l'astensione. Invece constatiamo che la campagna della Giunta viola i compiti istituzionali, come si può ben vedere dai manifesti 6x3 affissi per le strade del Veneto e delle locandine, in vario formato, presenti nelle bacheche dei Comuni. Il non voto, infatti, viene completamente trascurato. Eppure è lo stesso legislatore nella formulazione del quesito a dare al mancato raggiungimento del quorum un effetto preclusivo: senza il 50%+1 degli elettori la consultazione non è valida e viene stoppata ogni trattativa con il Governo volta a raggiungere il cosiddetto regionalismo differenziato». Non bastasse, l'indomabile Azzalin punta il dito anche contro i comuni leghisti padovani rei di ospitare manifesti e striscioni che invitano al Sì referendario: «È il caso del municipio di San Giorgio in Bosco e della biblioteca comunale di Cittadella», afferma «è una condotta illegale, intervenga la prefettura».
NEL MUNICIPIO DI SAN GIORGIO IN BOSCO CARTELLI CHE INVITANO A VOTARE SÌ E I DEM AZZALIN E NACCARATO SI RIVOLGONO ALLA CORTE DEI CONTI «TROPPI SOLDI E SPESI MALE, IL PIANO IGNORA L'ASTENSIONISMO» IL GAZZETTINO 12 SETTEMBRE 2017
Il referendum sull'autonomia del Veneto arriva in Tribunale. Il giudice della sezione feriale del Tribunale di Venezia, Silvia Barison, ha fissato per martedì prossimo l'udienza cautelare sul ricorso d'urgenza contro la Regione Veneto presentato da Marcello Degni e Dino Bertocco per far annullare il decreto del governatore che ha indetto per il 22 ottobre la consultazione sull'autonomia del Veneto. E sempre contro il referendum, ieri è stato depositato l'annunciato ricorso alla Corte dei conti da due esponenti del Pd, il consigliere regionale Graziano Azzalin e il deputato Alessandro Naccarato.IN TRIBUNALE - I ricorrenti (Degni, romano-veneziano, marito di Alessandra Poggiani che era in lista con Alessandra Moretti; Bertocco, padovano) sono gli stessi che si sono rivolti anche al Tar, ma che si sono visti respingere la richiesta di sospensiva del decreto di indizione del referendum. Il ricorso d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile presentato al Tribunale di Venezia è stato fatto sempre dallo stesso collegio difensivo, guidato dall'avvocato e professore Raffaele Bifulco, già consigliere giuridico del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianclaudio Bressa. Secondo i ricorrenti il decreto di indizione del referendum firmato da Zaia è illegittimo per vari motivi: 1) non c'è stato il negoziato con il Governo (La Regione ha deciso di fare retromarcia affermando che il negoziato ci potrà essere solo dopo il referendum); 2) Zaia avrebbe dovuto riferire al consiglio regionale l'esito del negoziato e non l'ha fatto; 3) il quesito è disomogeneo e non è chiaro; 4) il referendum doveva essere esaminato da una Commissione di garanzia statutaria che però il Veneto non ha ancora istituito.REGIONE PRESENTE - Nel fissare l'udienza per martedì, il giudice ha stabilito che non potranno essere presenti solo i ricorrenti, ma dovrà esserci anche la Regione Veneto.CORTE DEI CONTI - Ai magistrati contabili Azzalin e Naccarato si sono rivolti ieri per denunciare la «scorrettezza» del Piano di comunicazione del referendum: «Il rapporto costi-benefici è assolutamente sproporzionato e l'ipotesi-astensione non viene mai ricordata». I due esponenti del Pd contestano i costi: «Siamo passati da 500mila a un milione e 200mila euro, un aumento del 140%, una spesa pari al 10% del costo di tutti gli adempimenti istituzionali». Soldi spesi anche gli striscioni trainati da una aereo: «Un'azione rivolta a una platea di utenti in significativa misura estranei alla questione referendum, perché non residenti in Veneto». Insomma: «Troppi soldi e spesi male». Inoltre, secondo Azzalin e Naccarato la campagna di comunicazione viola i compiti istituzionali perché il non voto viene completamente ignorato. «Eppure - affermano - è lo stesso legislatore nella formulazione del quesito a dare al mancato raggiungimento del quorum un effetto preclusivo: senza il 50+1 degli elettori la consultazione non è valida e viene stoppata ogni trattativa con il Governo volta a raggiungere il cosiddetto regionalismo differenziato».COMUNI PER IL SI' - Azzalin ieri ha denunciato anche la comparsa in alcuni municipi di cartelli che invitano a votare sì: «Nel municipio di San Giorgio in Bosco su ordine del sindaco, sono apparsi manifesti a favore del sì. Un analogo striscione era stato affisso fuori dalla sala consiliare Villa Rina, sede della biblioteca di Cittadella. Questo referendum truffa si sta trasformando in una sagra dell'illegalità».
«IL REFERENDUM DEL VENETO? INUTILE E DI PURA PROPAGANDA» INTERVISTA A PIERO FASSINO SUL REFERENDUM VENETO MATTINO DI PADOVA 10 SETTEMBRE 2017
Quelli che hanno fatto votare no al referendum del 4 dicembre dovrebbero pentirsi. Da allora il sistema è bloccato, il quadro politico è regredito. I sondaggi danno i tre poli alla pari e il rischio di ingovernabilità è grande». Un «renziano di sinistra», con una lunga storia politica alle spalle, un grande senso delle istituzioni e dello Stato. Che ha scelto di restare nel Pd senza rinunciare alla sua storia di uomo della sinistra. Piero Fassino, 68 anni, è stato uno dei rappresentanti di spicco del Pci, poi Pds, Ds. Ex sindaco di Torino, ministro degli Esteri e della Giustizia, per sette anni segretario nazionale dei Ds che fece poi confluire nel Pd, il nuovo soggetto politico battezzato da Veltroni. Lei è pentito di quella scelta visto quello che è successo dopo? «Ma nemmeno per sogno. Le ragioni che dieci anni fa ci convinsero a dar vita a un nuovo soggetto politico europeo sono oggi più vive che mai. Ci conforta il fatto che in Europa tutti i grandi partiti socialisti abbiano seguito la nostra strada». Fassino era ieri sera a Mestre al Festival della Politica a parlare di scenari internazionali con Massimo Cacciari. Inevitabile la domanda sul futuro del Veneto alle prese con il referendum sull'autonomia. Cosa ne pensa del referendum del 22 ottobre promosso dalla Regione e dal suo governatore Luca Zaia? «È come chiedere se si vuole bene alla mamma. È difficile dire di no. È chiaro che le Regioni debbano avere maggiori poteri. Se si fosse approvata la riforma costituzionale del centrosinistra, oggi quei poteri ci sarebbero già, visto che si prevedeva la modifica della Conferenza Stato-Regioni e un Senato delle Regioni. Peraltro già oggi, dopo la riforma del titolo V, è possibile da parte delle Regioni virtuose avere maggiore autonomia». Allora perché non va bene il referendum di Zaia? «Perché è solo una mossa propagandistica. Quel voto non avrà alcuna ricaduta immediata. E poi il quesito come dicevo è assolutamente generico. Bisogna fare cose serie». Ma di riforme e di federalismo non si parla più. «Dopo il referendum del 4 dicembre il dibattito istituzionale è bloccato. E il quadro è complicato. Abbiamo tre poli, Grillo, Berlusconi e la Lega e il centrosinistra che viaggiano intorno al 25 per cento dei voti. Nessuno potrà avere una maggioranza autosufficiente per poter governare nella prossima legislatura». Cosa succederà? «Stiamo andando verso una situazione spagnola, di stallo assoluto». Quindi servono alleanze... «È stato un errore far bocciare il referendum del 4 dicembre sapendo quello che sarebbe successo». Lei non è pentito di aver seguito Renzi in quella avventura? «Semmai, ripeto, dovrebbero pentirsi quelli che hanno fatto votare no». Si riferisce ai suoi ex compagni di partito, oggi in Mdp? «Berlusconi, Salvini e Grillo si sapeva che erano contrari. Ma la sinistra ha sbagliato. Hanno una grande responsabilità. Per fare dispetto a Renzi hanno tradito gli elettori, che erano chiamati a votare sulla riforma e non sul governo. Poi hanno bloccato il sistema». Si va verso una ricucitura? Difficile che il Pd possa vincere da solo le elezioni. «Sa, per fare i matrimoni bisogna essere in due. Vedo da Giuliano Pisapia e altri di quello schieramento la consapevolezza che bisogna trovare una strada comune, pur mantenendo idee diverse. Da altre parti emerge una tendenza al suicidio». Non sarà che il Pd è un prodotto artificiale che non ha più senso? «Quando abbiamo fatto nascere il Pd non era per una questione opportunistica, per rifare i Ds sotto mentite spoglie e lasciare tutto come prima. Qualcuno forse credeva questo, noi invece volevamo creare qualcosa di nuovo, andare oltre le storie degli anni Novanta e le ideologìe». Dunque quel progetto non è fallito? «No. Se guardo alla ragioni che hanno fatto nascere il Pd oggi sono più forti che mai: cambiare il sistema politico, creare una grane forza europea riformista e moderna. Da qui dobbiamo ripartire per completare le riforme».
APPELLO PUBBLICO CONTRO IL REFERENDUM FARSA SULL'AUTONOMIA ECCO PERCHÈ BISOGNA CONTRASTARE IL REFERENDUM E INVITARE I CITTADINI A NON VOTARE.
Il referendum è una farsa organizzata dalla Lega per distrarre l’opinione pubblica e i cittadini dai problemi regionali ed è inutile perché non modifica l’autonomia della Regione. Il referendum aumenta il conflitto con lo Stato allontanando l’obiettivo di un accordo per poter gestire meglio alcune precise materie. Noi crediamo nell'autonomia e crediamo che ogni centralismo nazionale o regionale non aiuti il buon governo, come sanno bene gli amministratori locali veneti. Allo stesso tempo riteniamo che l'autonomia regionale sia stata tracciata efficacemente nella riforma costituzionale del 2001 e che vadano respinte le pulsioni secessioniste o indipendentiste.
Ci sono 4 principali ragioni per contrastare il referendum farsa sull’autonomia regionale.
Prima. Il referendum stravolge l’ordinamento costituzionale e apre un conflitto permanente tra Regione e Stato. Infatti l’articolo 116 della Costituzione stabilisce che le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere attribuite in materie precise alle Regioni ordinarie attraverso una trattativa e un’intesa con lo Stato. Per la Costituzione l’autonomia speciale è il risultato di un accordo e non di uno scontro tra Regioni e Stato. Non solo. La Costituzione non prevede un aumento dell’autonomia fiscale per finanziare le nuove competenze trasferite: l’accordo deve individuare le materie “ulteriori” che vengono assegnate alle Regioni e le relative risorse. Per questo l’autonomia deve essere il risultato di un’intesa e non di uno scontro. La Regione Veneto, nonostante la disponibilità e le aperture del governo, ha scelto la strada referendaria per evitare la trattativa, evitare di indicare le materie e, soprattutto, evitare di indicare le risorse. L’autonomia regionale nel rispetto della Costituzione si costruisce con un accordo tra Regione e Stato: un accordo che indichi le materie da attribuire alla Regione e le relative risorse. Questa è la strada che sta seguendo l’Emilia Romagna, senza ricorrere a inutili e costosi referendum, mediante una trattativa con lo Stato. La possibilità di negoziare ulteriori forme di autonomia è prevista dalla vigente Costituzione ed il quesito ripropone ciò che già oggi sarebbe possibile fare. Questa possibilità è contenuta nelle modifiche alla Costituzione che sono state sottoposte a referendum nel 2001, confermate dal voto dei cittadini italiani. Anche in Veneto hanno vinto i sì con il 57,72%, perché allora chiedere nuovamente ai veneti se sono d’accordo su quanto la Costituzione prevede e che dal 2001 non ha visto alcune seria iniziativa di Zaia e di chi lo ha preceduto?
Seconda. Il referendum stravolge i principi costituzionali di solidarietà e di sussidiarietà. Infatti il referendum non indica né le materie in più da assegnare alla Regione né i relativi costi e le risorse. Il quesito si limita a chiedere ai cittadini se vogliono maggiore autonomia regionale senza individuare le materie e i costi. Il referendum evita accuratamente le due domande alla base del processo di autonomia: In cosa si vuole maggiore autonomia? Chi e come si paga la maggiore autonomia? Qui il referendum diventa una farsa. I sostenitori del referendum sostengono che l’autonomia si paga trattenendo in Veneto le tasse raccolte nella Regione. E’ la questione del residuo fiscale. E’ bene sapere che il residuo varia a seconda del metodo di calcolo. Ad esempio le spese straordinarie per le calamità naturali (terremoti, alluvioni, frane, temporali), per le opere pubbliche (Pedemontana, Mose), per il salvataggio delle banche locali (casse di credito cooperativo, Popolare di Vicenza, Veneto banca) non vengono mai calcolate tra i finanziamenti che lo Stato eroga alla Regione. Solo negli ultimi anni per spese straordinarie lo Stato ha erogato al Veneto l’equivalente di due leggi di bilancio nazionali. Anche diverse spese strutturali (pensioni, sicurezza, presenza delle forze dell’ordine e dei militati per il controllo del territorio, scuola) non vengono calcolate tra i finanziamenti erogati dallo Stato alla Regione. Infine non vengono mai calcolati il debito pubblico e i relativi interessi che sono pagati interamente dallo Stato. Come sarebbe il residuo fiscale se il debito pubblico e gli interessi fossero divisi su base regionale e trasferiti nei bilanci delle Regioni? Inoltre è bene sapere che il residuo fiscale è un tema nazionale e che in tutte le regioni del centro nord, non solo in Veneto e in Lombardia, si raccolgono più tasse di quante se ne spendono in determinati servizi. Se tutte le regioni avanzassero la richiesta di Zaia e di Maroni l’unità nazionale sarebbe messa in discussione. Forse è proprio ciò che vogliono, mascherando con l’autonomia la volontà di favorire la secessione.
Terza. Il referendum alimenta il conflitto con lo Stato e con l’Unione Europea per nascondere il fallimento del centrodestra al governo della Regione dal 1995 e per speculare sul disagio provocato dalla crisi economica e dalle scelte sbagliate di molte istituzioni politiche e imprenditoriali regionali. Il referendum serve per realizzare l’autoassoluzione collettiva delle classi dirigenti regionali che scaricano le responsabilità della crisi e del fallimento sulla politica romana ed europea. Per questo i sostenitori del referendum non parlano delle materie ulteriori che vorrebbero gestire e di come trovare le risorse per farlo e utilizzano slogan come “Paroni a casa nostra” e “Il nemico è Roma”. Un elemento di questa strategia è il ricorso costante contro i provvedimenti del governo alla corte costituzionale; ostacolo di fatto alle scelte del governo. Come è noto la realtà è diversa. L’economia e le imprese venete sono cresciute negli anni ’80 grazie alla capacità delle istituzioni nazionali e locali di valorizzare le capacità e la produttività di lavoratori e imprenditori nella creazione di valore aggiunto, e grazie alla svalutazione competitiva della lira, che ha prodotto costi enormi in termini di indebitamento pubblico che oggi pesa su tutto il Paese, e, in tempi recenti, grazie al mercato comune europeo. Pertanto senza le politiche monetarie ed economiche nazionali ed europee il benessere della nostra Regione sarebbe nettamente inferiore. La crescita e il futuro del Veneto sono strettamente legati all’Italia e all’Europa.
Quarta. Il referendum agita il tema dell’indipendenza e della secessione con effetti culturali devastanti: con le stesse finalità è stata scelta la data del 22 ottobre per richiamare il plebiscito del 22 ottobre del 1866 e aizzare il variegato mondo di secessionisti e indipendentisti che da tempo sviluppano una campagna contro l’unità nazionale anche attraverso iniziative violente. Nella stessa direzione vanno le numerose leggi identitarie promosse dalla maggioranza che sostiene Zaia, leggi che spesso si sono rivelate in contrasto con la Costituzione: dalla legge sui veneti come minoranza nazionale, alla priorità per i veneti nelle graduatorie per gli asili nido e per i servizi sociali, fino all’obbligo di esporre, insieme alla bandiera italiana, quella della Regione. Il presupposto culturale del referendum è la presunta superiorità del popolo veneto rispetto al resto d’Italia; una supremazia che sarebbe valorizzata dall’indipendenza dall’Italia e dall’Europa, indicate come le origini di tutti i mali. La realtà è diversa. Molti problemi del Veneto sono nati qui e sono stati causati da imprenditori e amministratori locali: lo scandalo Mose, il fallimento delle banche popolari e di molti istituti di credito cooperativo, il consumo esagerato di suolo e i relativi disastri idrogeologici, i costi esorbitanti di opere pubbliche come la Pedemontana o alcuni ospedali, la gestione inefficiente della formazione professionale e dell’alternanza scuola-lavoro, per fare solo pochi esempi.
Per comprendere la gravità della situazione è utile porsi alcune domande concrete. Senza i soldi pubblici stanziati dal governo per le banche venete chi avrebbe salvato i risparmiatori? Alla luce dei ripetuti tentativi della Regione di limitare i parchi regionali è meglio affidare la tutela dell’ambiente alla Regione o allo Stato? In una Regione che spreca risorse per insegnare il dialetto veneto nelle scuole anziché potenziare l’inglese, il tedesco o la stessa lingua italiana, è meglio attribuire i programmi e l’organizzazione didattica a livello statale o regionale? La salute è più tutelata dalla Regione che ostacola i vaccini o dallo Stato che cerca di rintrodurre le vaccinazioni obbligatorie per contrastare il pericolosissimo abbassamento delle soglie di protezione verso alcune gravi malattie contagiose? L’elenco potrebbe continuare a lungo e in diversi campi per dimostrare che non è vero che Il Veneto si governa meglio senza lo Stato.
Infine non si può non denunciare con forza che è in corso una campagna a senso unico per il sì al referendum in contrasto con tutte le norme sulla par condicio. La Regione sta utilizzando risorse istituzionali e strumenti di pressione politica per favorire l’affluenza al voto e la vittoria del sì. Spendere soldi pubblici per propagandare idee di parte in una competizione elettorale è una violazione delle fondamentali leggi democratiche. E’ doveroso ribadire che, in base alle norme vigenti, nel referendum la non partecipazione al voto equivale all’espressione di un orientamento e deve essere rispettata e pubblicizzata come le posizioni a favore e quelle contrarie. Finora non è stato così. Si sta concretizzando il rischio di trasformare il referendum in un plebiscito per affermare un pensiero unico autonomista, senza garantire la parità di accesso ai mezzi di comunicazione e di informazione alle diverse opinioni.
Il referendum serve a Zaia per indebolire il governo nazionale e avviare la campagna elettorale per le politiche della prossima primavera. Chi sostiene il sì al referendum, di fatto, contribuisce a rafforzare la vuota propaganda della Giunta regionale e a indebolire le riforme approvate dai governi di centrosinistra.
Per queste ragioni invitiamo i cittadini a contrastare il referendum regionale e a non andare a votare.
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VACCINI: PERCHÉ ZAIA È TORNATO INDIETRO
La Regione Veneto ha fatto l’ennesima pessima figura a livello nazionale. Prima ha annunciato con grande enfasi la sospensione dell’obbligo vaccinale introdotto da una legge nazionale; poi, di fronte al rischio di subire contestazioni di rilievo costituzionale e penale, è tornata indietro. Infatti l’articolo 120 della Costituzione stabilisce che il governo può sostituirsi a organi delle regioni nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, o quando lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, come il diritto alla salute. A rafforzare la previsione costituzionale c’è l’articolo 328 del codice penale che punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni l’incaricato di pubblico servizio che rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di sicurezza pubblica, di igiene o sanità, deve essere compiuto senza ritardo. Nel caso del Veneto l’atto da eseguire entro termini precisi per non perdere efficacia è la vaccinazione obbligatoria. L’ente che delibera o determina di non vaccinare o di ritardare il vaccino concorre nel reato che è commesso da chi non vaccina. Ricapitolando se il decreto firmato da Manotan, che è il responsabile formale, non fosse stato sospeso il governo avrebbe potuto sostituirsi agli organi sanitari della Regione per garantire l’applicazione dell’obbligo vaccinale; e l’autorità giudiziaria avrebbe potuto contestare il reato di omissione di atti d’ufficio ai dirigenti che non avessero eseguito le vaccinazioni e il concorso nello stesso reato al dirigente regionale. Si consideri che la legge nazionale è stata approvata perché per la prima volta dopo tanti anni il numero di bambini vaccinati contro le principali malattie è diminuito sotto le soglie di sicurezza del 95%. E, a differenza di quanto stanno dichiarando Zaia e altri assessori regionali, non è vero che il Veneto ha la copertura vaccinale più alta d’Italia. Per molte patologie la copertura è inferiore alla soglia di sicurezza anche nella nostra Regione. Ecco i dati aggiornati a giugno 2017 per le vaccinazioni previste entro i 2 anni d’età:

La vicenda dimostra i pericoli prodotti dalla strategia secessionista alla base del referendum del 22 ottobre. La salute e la prevenzione non possono essere gestite dalle Regioni e, soprattutto, non possono essere condizionate dalla ricerca di consensi di qualche governatore regionale. La sicurezza della salute dei cittadini è più tutelata se le decisioni sono assunte e gestite dallo Stato in base alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della sanità.
SCUOLA
Un interessante punto di vista sull'uso dei telefoni da parte degli studenti a scuola
Per saperne di più leggi l'approfondimento
REPUBBLICA 13 SETTEMBRE 2017
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