CONI: LA CAMERA APPROVA I LIMITI AL RINNOVO DEI MANDATI
Martedì 19 Settembre la Camera ha approvato la proposta di legge che definisce i limiti al numero dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva, nonché del Comitato italiano paralimpico (CIP), delle Federazioni sportive paralimpiche, delle Discipline sportive paralimpiche e degli Enti di promozione sportiva paralimpica.
In particolare, per tutte le realtà indicate, il numero massimo di mandati, a regime, è fissato in tre.
Disposizioni riguardanti il CONI
Rispetto alla legislazione vigente, l'art. 1 conferma che gli organi del CONI restano in carica 4 anni e che i componenti che assumono le funzioni nel corso del quadriennio restano in carica fino alla scadenza degli organi. Aumenta, invece, a tre, a regime, il numero massimo di mandati che possono svolgere il Presidente e gli altri componenti della Giunta nazionale, ad eccezione dei membri italiani del Comitato olimpico internazionale (CIO). Le stesse previsioni si applicano anche ai Presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali del CONI. I commi 1 e 3 dell'art. 6 dispongono che, entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il CONI adegua lo statuto alle nuove previsioni e adotta i principi generali per l'esercizio del diritto di voto per delega in Assemblea. Entro 15 giorni dalla scadenza di tale termine, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dichiara decaduti, con proprio decreto, i componenti degli organi del CONI che non hanno i requisiti per la permanenza in carica.
Disposizioni riguardanti le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate, gli Enti di promozione sportiva
Rispetto alla legislazione vigente, l'art. 2, nel confermare che gli statuti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate, prevedono le procedure per l'elezione del Presidente e dei membri degli organi direttivi, dispone che ciò avviene promuovendo le pari opportunità fra uomini e donne. Conferma, inoltre, che gli stessi organi restano in carica 4 anni. Innovando, dispone, invece, che il Presidente e i membri degli organi direttivi non possono svolgere più di tre mandati, limite che può essere abbassato dai singoli statuti (fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie). Inoltre, dispone che, qualora gli statuti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate prevedano la rappresentanza per delega, il CONI fissa i principi generali per l'esercizio del diritto di voto per delega in assemblea, stabilendo una riduzione del numero massimo di deleghe a favore del medesimo soggetto, comunque non superiore a 5. Ove le Federazioni sportive nazionali e le Discipline sportive associate non adeguino i propri statuti ai principi generali indicati dal CONI, il CONI stesso, previa diffida, nomina un commissario ad acta che vi provvede entro 60 giorni dalla nomina.
Tutta la disciplina indicata si applica anche agli Enti di promozione sportiva, nonché ai Presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate.
L'art. 6, co. 2, dispone che, entro 4 mesi dalla data di approvazione delle modifiche allo statuto del CONI, le Federazioni sportive nazionali e le Discipline sportive associate, nonché gli Enti di promozione sportiva, adeguano i loro statuti alle nuove previsioni. Il co. 4 dello stesso art. 6 stabilisce, in via transitoria, che i Presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali degli stessi organismi che sono in carica alla data di entrata in vigore della legge e che hanno già raggiunto il previsto limite di tre mandati possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato. Limitatamente al caso dei Presidenti, si stabilisce che il Presidente uscente che si sia candidato è rieletto solo ove raggiunga una maggioranza non inferiore al 55% dei votanti.
Disposizioni riguardanti il CIP, le Federazioni sportive paralimpiche, le Discipline sportive paralimpiche e gli Enti di promozione sportiva paralimpica
Rispetto alla legislazione vigente, l'art. 3 aumenta a tre, a regime, il numero massimo di mandati che possono svolgere il Presidente e gli altri componenti della Giunta nazionale, ad eccezione dei membri italiani del Comitato paralimpico internazionale. La stessa disciplina si applica anche ai Presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali del CIP.
L'art. 4, nel confermare che gli statuti delle Federazioni sportive paralimpiche e delle Discipline sportive paralimpiche prevedono le procedure per l'elezione del Presidente e dei membri degli organi direttivi, dispone che ciò avviene promuovendo le pari opportunità fra uomini e donne. Conferma, inoltre, che gli stessi restano in carica 4 anni. Innovando, dispone, invece, che gli stessi soggetti non possono svolgere più di tre mandati, limite che può essere abbassato dai singoli statuti (fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie). Detta, inoltre, una disciplina sul voto per delega nelle assemblee analoga a quella sopra illustrata e dispone che la disciplina prevista si applica anche agli Enti di promozione sportiva paralimpica, nonché ai Presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali delle Federazioni sportive paralimpiche e delle Discipline sportive paralimpiche.
I co. 5, 6 e 7 dell'art. 6 dispongono che: entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il CIP adegua lo statuto alle nuove previsioni e adotta i principi generali per l'esercizio del diritto di voto per delega in Assemblea; entro 4 mesi dalla data di approvazione delle modifiche allo statuto del CIP, le Federazioni sportive paralimpiche, le Discipline sportive paralimpiche e gli Enti di promozione sportiva paralimpica adeguano i loro statuti alle nuove previsioni; i Presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali delle Federazioni sportive paralimpiche, delle Discipline sportive paralimpiche e degli Enti di promozione sportiva paralimpica, che sono in carica alla data di entrata in vigore della legge e che hanno già raggiunto il previsto limite di tre mandati possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato. Limitatamente al caso dei Presidenti, si stabilisce che il Presidente uscente che si sia candidato è rieletto solo ove raggiunga una maggioranza non inferiore al 55% dei votanti.
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TESTO DEL PROVVEDIMENTO
DOSSIER DI APPROFONDIMENTO
DOSSIER GRUPPO PD
DELITTO DI FRODE PATRIMONIALE A DANNO DEGLI ANZIANI
Al fine di arginare il sempre più dilagante ed allarmante fenomeno criminale delle frodi alle persone anziane, la proposta di legge del PD approvata in prima lettura alla Camera il 20 settembre, ha introdotto nel codice penale il nuovo reato di “Frode patrimoniale in danno di soggetti vulnerabili”. Si tratta di crimini odiosi, che non si limitano solo a colpire l’aspetto patrimoniale di persone deboli, ma le ferisce profondamente nell’animo, a volte con gravi conseguenze di carattere psicologico e sociale. Il nuovo articolo 643-bis, pertanto, punisce con la reclusione da 2 a 6 anni chiunque, con mezzi fraudolenti, induce una persona particolarmente vulnerabile a causa dell’età avanzata a dare o promettere indebitamente assieme ad altri denaro, beni o altra utilità. Per rientrare in tale nuova fattispecie, il fatto criminoso deve avvenire nell'abitazione della persona offesa, in un altro luogo di privata dimora o all'interno o in prossimità di esercizi commerciali, uffici postali o di sedi di istituti di credito, di luoghi di cura o di ritrovo di persone anziane, di case di riposo, simulando un'offerta commerciale di beni o servizi. Prevista un’aggravante se il fatto avviene per mezzo di strumenti telefonici, informatici o telematici o avvalendosi di dati della vita privata della persona offesa acquisiti fraudolentemente o senza il suo consenso.
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TESTO DEL PROVVEDIMENTO
DOSSIER GRUPPO PD
IL REFERENDUM FARSA ALIMENTA LE SPINTE SEPARATISTE: SI RISCHIA DI DIVENTARE COME LA CATALOGNA
Le notizie provenienti dalla Spagna devono far riflettere i sostenitori dell’autonomia e dell’indipendenza del Veneto. Quanto sta accadendo è la conseguenza dell’attività eversiva delle istituzioni della Catalogna.
Gli argomenti dei sostenitori del referendum sono molto simili a quelli utilizzati dai governatori di Veneto e Lombardia, sostenuti da numerosi irresponsabili apprendisti stregoni. E’ in atto una pericolosa deriva separatista: si parte con l’autonomia, poi si chiede l’indipendenza e infine c’è la secessione. I referendum farsa del 22 ottobre sono un pezzo di questo disegno. Le zone più ricche, dopo essere cresciute grazie alle politiche espansive degli stati nazionali e dell’Unione europea, vogliono maggiore ricchezza e ritengono di poterla ottenere da soli senza il peso dei territori più poveri. Qui è il nodo: diventare più ricchi rompendo la solidarietà e l’unità nazionale ed europea.
Per alimentare questa strategia si sono costruite campagne propagandistiche illusorie pagate con fondi pubblici regionali. Basta pensare al mito del residuo fiscale o delle regioni che si autoproclamano virtuose. Chi sostiene che le risorse raccolte con le tasse dei veneti sono superiori ai costi dei servizi pubblici erogati nella regione non considera il debito pubblico e le spese per i relativi interessi, non considera la spesa pensionistica, non considera la spesa per servizi essenziali come la sicurezza e la istruzione.
Non sono bastati i fallimenti di numerosi istituti di credito e banche di credito cooperativo, governati da professionisti, professori e imprenditori veneti, per comprendere che il sistema finanziario regionale non è un modello di virtù ed efficienza. Basta leggere l’elenco degli amministratori delle banche in liquidazione per vedere che per anni i vertici delle principali categorie economiche hanno gestito il sistema del credito con risultati disastrosi. Solo l’intervento dell’Europa e dello Stato italiano hanno impedito che il fallimento delle banche producesse effetti devastanti sull’economia regionale.
Bisogna fermarsi prima che sia troppo tardi. Per evitare che il Veneto segua la strada della Catalogna bisogna contrastare il referendum del 22 ottobre e non andare a votare per non raggiungere il quorum e far fallire il disegno separatista.
Per saperne di più leggi gli approfondimentI:
REPUBBLICA 21 SETTEMBRE 2017
CORRIERE DELLA SERA 21 SETTEMBRE 2017
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LA STAMPA 21 SETTEMBRE 2017
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ECCO PERCHÈ BISOGNA CONTRASTARE IL REFERENDUM E INVITARE I CITTADINI A NON VOTARE.
Il referendum è una farsa organizzata dalla Lega per distrarre l’opinione pubblica e i cittadini dai problemi regionali ed è inutile perché non modifica l’autonomia della Regione. Il referendum aumenta il conflitto con lo Stato allontanando l’obiettivo di un accordo per poter gestire meglio alcune precise materie. Noi crediamo nell'autonomia e crediamo che ogni centralismo nazionale o regionale non aiuti il buon governo, come sanno bene gli amministratori locali veneti. Allo stesso tempo riteniamo che l'autonomia regionale sia stata tracciata efficacemente nella riforma costituzionale del 2001 e che vadano respinte le pulsioni secessioniste o indipendentiste.
Ci sono 4 principali ragioni per contrastare il referendum farsa sull’autonomia regionale.
Prima. Il referendum stravolge l’ordinamento costituzionale e apre un conflitto permanente tra Regione e Stato. Infatti l’articolo 116 della Costituzione stabilisce che le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere attribuite in materie precise alle Regioni ordinarie attraverso una trattativa e un’intesa con lo Stato. Per la Costituzione l’autonomia speciale è il risultato di un accordo e non di uno scontro tra Regioni e Stato. Non solo. La Costituzione non prevede un aumento dell’autonomia fiscale per finanziare le nuove competenze trasferite: l’accordo deve individuare le materie “ulteriori” che vengono assegnate alle Regioni e le relative risorse. Per questo l’autonomia deve essere il risultato di un’intesa e non di uno scontro. La Regione Veneto, nonostante la disponibilità e le aperture del governo, ha scelto la strada referendaria per evitare la trattativa, evitare di indicare le materie e, soprattutto, evitare di indicare le risorse. L’autonomia regionale nel rispetto della Costituzione si costruisce con un accordo tra Regione e Stato: un accordo che indichi le materie da attribuire alla Regione e le relative risorse. Questa è la strada che sta seguendo l’Emilia Romagna, senza ricorrere a inutili e costosi referendum, mediante una trattativa con lo Stato. La possibilità di negoziare ulteriori forme di autonomia è prevista dalla vigente Costituzione ed il quesito ripropone ciò che già oggi sarebbe possibile fare. Questa possibilità è contenuta nelle modifiche alla Costituzione che sono state sottoposte a referendum nel 2001, confermate dal voto dei cittadini italiani. Anche in Veneto hanno vinto i sì con il 57,72%, perché allora chiedere nuovamente ai veneti se sono d’accordo su quanto la Costituzione prevede e che dal 2001 non ha visto alcune seria iniziativa di Zaia e di chi lo ha preceduto?
Seconda. Il referendum stravolge i principi costituzionali di solidarietà e di sussidiarietà. Infatti il referendum non indica né le materie in più da assegnare alla Regione né i relativi costi e le risorse. Il quesito si limita a chiedere ai cittadini se vogliono maggiore autonomia regionale senza individuare le materie e i costi. Il referendum evita accuratamente le due domande alla base del processo di autonomia: In cosa si vuole maggiore autonomia? Chi e come si paga la maggiore autonomia? Qui il referendum diventa una farsa. I sostenitori del referendum sostengono che l’autonomia si paga trattenendo in Veneto le tasse raccolte nella Regione. E’ la questione del residuo fiscale. E’ bene sapere che il residuo varia a seconda del metodo di calcolo. Ad esempio le spese straordinarie per le calamità naturali (terremoti, alluvioni, frane, temporali), per le opere pubbliche (Pedemontana, Mose), per il salvataggio delle banche locali (casse di credito cooperativo, Popolare di Vicenza, Veneto banca) non vengono mai calcolate tra i finanziamenti che lo Stato eroga alla Regione. Solo negli ultimi anni per spese straordinarie lo Stato ha erogato al Veneto l’equivalente di due leggi di bilancio nazionali. Anche diverse spese strutturali (pensioni, sicurezza, presenza delle forze dell’ordine e dei militati per il controllo del territorio, scuola) non vengono calcolate tra i finanziamenti erogati dallo Stato alla Regione. Infine non vengono mai calcolati il debito pubblico e i relativi interessi che sono pagati interamente dallo Stato. Come sarebbe il residuo fiscale se il debito pubblico e gli interessi fossero divisi su base regionale e trasferiti nei bilanci delle Regioni? Inoltre è bene sapere che il residuo fiscale è un tema nazionale e che in tutte le regioni del centro nord, non solo in Veneto e in Lombardia, si raccolgono più tasse di quante se ne spendono in determinati servizi. Se tutte le regioni avanzassero la richiesta di Zaia e di Maroni l’unità nazionale sarebbe messa in discussione. Forse è proprio ciò che vogliono, mascherando con l’autonomia la volontà di favorire la secessione.
Terza. Il referendum alimenta il conflitto con lo Stato e con l’Unione Europea per nascondere il fallimento del centrodestra al governo della Regione dal 1995 e per speculare sul disagio provocato dalla crisi economica e dalle scelte sbagliate di molte istituzioni politiche e imprenditoriali regionali. Il referendum serve per realizzare l’autoassoluzione collettiva delle classi dirigenti regionali che scaricano le responsabilità della crisi e del fallimento sulla politica romana ed europea. Per questo i sostenitori del referendum non parlano delle materie ulteriori che vorrebbero gestire e di come trovare le risorse per farlo e utilizzano slogan come “Paroni a casa nostra” e “Il nemico è Roma”. Un elemento di questa strategia è il ricorso costante contro i provvedimenti del governo alla corte costituzionale; ostacolo di fatto alle scelte del governo. Come è noto la realtà è diversa. L’economia e le imprese venete sono cresciute negli anni ’80 grazie alla capacità delle istituzioni nazionali e locali di valorizzare le capacità e la produttività di lavoratori e imprenditori nella creazione di valore aggiunto, e grazie alla svalutazione competitiva della lira, che ha prodotto costi enormi in termini di indebitamento pubblico che oggi pesa su tutto il Paese, e, in tempi recenti, grazie al mercato comune europeo. Pertanto senza le politiche monetarie ed economiche nazionali ed europee il benessere della nostra Regione sarebbe nettamente inferiore. La crescita e il futuro del Veneto sono strettamente legati all’Italia e all’Europa.
Quarta. Il referendum agita il tema dell’indipendenza e della secessione con effetti culturali devastanti: con le stesse finalità è stata scelta la data del 22 ottobre per richiamare il plebiscito del 22 ottobre del 1866 e aizzare il variegato mondo di secessionisti e indipendentisti che da tempo sviluppano una campagna contro l’unità nazionale anche attraverso iniziative violente. Nella stessa direzione vanno le numerose leggi identitarie promosse dalla maggioranza che sostiene Zaia, leggi che spesso si sono rivelate in contrasto con la Costituzione: dalla legge sui veneti come minoranza nazionale, alla priorità per i veneti nelle graduatorie per gli asili nido e per i servizi sociali, fino all’obbligo di esporre, insieme alla bandiera italiana, quella della Regione. Il presupposto culturale del referendum è la presunta superiorità del popolo veneto rispetto al resto d’Italia; una supremazia che sarebbe valorizzata dall’indipendenza dall’Italia e dall’Europa, indicate come le origini di tutti i mali. La realtà è diversa. Molti problemi del Veneto sono nati qui e sono stati causati da imprenditori e amministratori locali: lo scandalo Mose, il fallimento delle banche popolari e di molti istituti di credito cooperativo, il consumo esagerato di suolo e i relativi disastri idrogeologici, i costi esorbitanti di opere pubbliche come la Pedemontana o alcuni ospedali, la gestione inefficiente della formazione professionale e dell’alternanza scuola-lavoro, per fare solo pochi esempi.
Per comprendere la gravità della situazione è utile porsi alcune domande concrete. Senza i soldi pubblici stanziati dal governo per le banche venete chi avrebbe salvato i risparmiatori? Alla luce dei ripetuti tentativi della Regione di limitare i parchi regionali è meglio affidare la tutela dell’ambiente alla Regione o allo Stato? In una Regione che spreca risorse per insegnare il dialetto veneto nelle scuole anziché potenziare l’inglese, il tedesco o la stessa lingua italiana, è meglio attribuire i programmi e l’organizzazione didattica a livello statale o regionale? La salute è più tutelata dalla Regione che ostacola i vaccini o dallo Stato che cerca di rintrodurre le vaccinazioni obbligatorie per contrastare il pericolosissimo abbassamento delle soglie di protezione verso alcune gravi malattie contagiose? L’elenco potrebbe continuare a lungo e in diversi campi per dimostrare che non è vero che Il Veneto si governa meglio senza lo Stato.
Infine non si può non denunciare con forza che è in corso una campagna a senso unico per il sì al referendum in contrasto con tutte le norme sulla par condicio. La Regione sta utilizzando risorse istituzionali e strumenti di pressione politica per favorire l’affluenza al voto e la vittoria del sì. Spendere soldi pubblici per propagandare idee di parte in una competizione elettorale è una violazione delle fondamentali leggi democratiche. E’ doveroso ribadire che, in base alle norme vigenti, nel referendum la non partecipazione al voto equivale all’espressione di un orientamento e deve essere rispettata e pubblicizzata come le posizioni a favore e quelle contrarie. Finora non è stato così. Si sta concretizzando il rischio di trasformare il referendum in un plebiscito per affermare un pensiero unico autonomista, senza garantire la parità di accesso ai mezzi di comunicazione e di informazione alle diverse opinioni.
Il referendum serve a Zaia per indebolire il governo nazionale e avviare la campagna elettorale per le politiche della prossima primavera. Chi sostiene il sì al referendum, di fatto, contribuisce a rafforzare la vuota propaganda della Giunta regionale e a indebolire le riforme approvate dai governi di centrosinistra.
Per queste ragioni invitiamo i cittadini a contrastare il referendum regionale e a non andare a votare.
SOTTOSCRIVI L'APPELLO, FIRMA QUI!
IL MINISTRO MINNITI INTERVIENE SULLA MANIFESTAZIONE ANNUNCIATA DA FORZA NUOVA
Il Ministro dell'Interno ha preso posizione sulla manifestazione annunciata da Forza Nuova per il 28 ottobre nell'anniversario della "Marcia su Roma" fascista del 1922.
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LA STAMPA 21 SETTEMBRE 2017
AGENDA
VENERDI' 22 SETTEMBRE ORE 21.00 IL PD E IL REFERENDUM SULL'AUTONOMIA DEL VENETO POSIZIONI A CONFRONTO SEDE PD - VIA B.PELLEGRINO 16 - PADOVA

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