LA SECESSIONE IN CATALOGNA E IN VENETO
In vista del referendum farsa di Veneto e Lombardia si deve riflettere bene su quanto sta accadendo in Catalogna. La situazione in Spagna rimane tesa e molto pericolosa. La scelta delle autorità catalane di convocare un referendum anticostituzionale sull’indipendenza della regione ha provocato l’intervento inevitabile del governo spagnolo per salvaguardare l’unità nazionale e impedire un atto illegale ed eversivo. Le autorità catalane hanno promosso il referendum dopo un percorso di anni che è stato sottovalutato a lungo. Ci sono diverse analogie con la situazione del Veneto. Anche qui è in corso da anni un lavoro, sostenuto dalla Lega Nord e da movimenti autonomisti, per arrivare all’indipendenza del Veneto. Infatti l’autonomia in alcune materie si raggiunge con una trattativa e un’intesa tra regione e governo, non con un referendum consultivo che non produce effetti giuridici. Il programma secessionista della Lega Nord e le azioni per costituire un’identità regionale con i soldi pubblici (promozione del dialetto, legge sulla bandiera, agevolazioni varie per i residenti in Veneto, ecc.) non sono mai stati contrastati con fermezza in consiglio regionale. Soltanto il governo nazionale ha impugnato alcune leggi regionali determinando numerose sentenze di incostituzionalità. Come in Catalogna, anche in Veneto, le spinte secessioniste si manifestano in modo progressivo: si parte dall’autonomia, si passa all’indipendenza, alla fine si arriva alla secessione. Non si può far finta di non comprendere che il referendum del 22 ottobre per molti promotori è una tappa verso la rottura dell’unità nazionale. Infatti se il Veneto avesse voluto le forme particolari di autonomia in materie specifiche, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, non avrebbe promosso un referendum inutile e avrebbe seguito la strada della trattativa con il governo, come sta facendo l’Emilia Romagna. Il referendum serve ad aumentare il conflitto con lo stato, a nascondere i fallimenti della giunta regionale e ad aumentare i consensi della Lega Nord in vista delle prossime elezioni politiche. In pratica la regione Veneto sta spendendo soldi pubblici per un referendum privo di effetti giuridici per fare campagna elettorale per la Lega Nord. Prima di arrivare alla situazione della Catalogna bisogna spiegare ai cittadini gli effetti negativi di una eventuale uscita del Veneto dall’Italia e dall’Unione Europea. Per queste ragioni è necessario attivarsi per contrastare il referendum. Il modo più efficace per farlo è non andare a votare e far mancare il quorum.
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
IL MESSAGGERO 10 OTTOBRE 2017
IL CORRIERE 10 OTTOBRE 2017
IL CORRIERE 11 OTTOBRE 2017
LA STAMPA 12 OTTOBRE 2017
ECCO PERCHÈ BISOGNA CONTRASTARE IL REFERENDUM E INVITARE I CITTADINI A NON VOTARE.
Il referendum è una farsa organizzata dalla Lega per distrarre l’opinione pubblica e i cittadini dai problemi regionali ed è inutile perché non modifica l’autonomia della Regione. Il referendum aumenta il conflitto con lo Stato allontanando l’obiettivo di un accordo per poter gestire meglio alcune precise materie. Noi crediamo nell'autonomia e crediamo che ogni centralismo nazionale o regionale non aiuti il buon governo, come sanno bene gli amministratori locali veneti. Allo stesso tempo riteniamo che l'autonomia regionale sia stata tracciata efficacemente nella riforma costituzionale del 2001 e che vadano respinte le pulsioni secessioniste o indipendentiste.
Ci sono 4 principali ragioni per contrastare il referendum farsa sull’autonomia regionale.
Prima. Il referendum stravolge l’ordinamento costituzionale e apre un conflitto permanente tra Regione e Stato. Infatti l’articolo 116 della Costituzione stabilisce che le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere attribuite in materie precise alle Regioni ordinarie attraverso una trattativa e un’intesa con lo Stato. Per la Costituzione l’autonomia speciale è il risultato di un accordo e non di uno scontro tra Regioni e Stato. Non solo. La Costituzione non prevede un aumento dell’autonomia fiscale per finanziare le nuove competenze trasferite: l’accordo deve individuare le materie “ulteriori” che vengono assegnate alle Regioni e le relative risorse. Per questo l’autonomia deve essere il risultato di un’intesa e non di uno scontro. La Regione Veneto, nonostante la disponibilità e le aperture del governo, ha scelto la strada referendaria per evitare la trattativa, evitare di indicare le materie e, soprattutto, evitare di indicare le risorse. L’autonomia regionale nel rispetto della Costituzione si costruisce con un accordo tra Regione e Stato: un accordo che indichi le materie da attribuire alla Regione e le relative risorse. Questa è la strada che sta seguendo l’Emilia Romagna, senza ricorrere a inutili e costosi referendum, mediante una trattativa con lo Stato. La possibilità di negoziare ulteriori forme di autonomia è prevista dalla vigente Costituzione ed il quesito ripropone ciò che già oggi sarebbe possibile fare. Questa possibilità è contenuta nelle modifiche alla Costituzione che sono state sottoposte a referendum nel 2001, confermate dal voto dei cittadini italiani. Anche in Veneto hanno vinto i sì con il 57,72%, perché allora chiedere nuovamente ai veneti se sono d’accordo su quanto la Costituzione prevede e che dal 2001 non ha visto alcune seria iniziativa di Zaia e di chi lo ha preceduto?
Seconda. Il referendum stravolge i principi costituzionali di solidarietà e di sussidiarietà. Infatti il referendum non indica né le materie in più da assegnare alla Regione né i relativi costi e le risorse. Il quesito si limita a chiedere ai cittadini se vogliono maggiore autonomia regionale senza individuare le materie e i costi. Il referendum evita accuratamente le due domande alla base del processo di autonomia: In cosa si vuole maggiore autonomia? Chi e come si paga la maggiore autonomia? Qui il referendum diventa una farsa. I sostenitori del referendum sostengono che l’autonomia si paga trattenendo in Veneto le tasse raccolte nella Regione. E’ la questione del residuo fiscale. E’ bene sapere che il residuo varia a seconda del metodo di calcolo. Ad esempio le spese straordinarie per le calamità naturali (terremoti, alluvioni, frane, temporali), per le opere pubbliche (Pedemontana, Mose), per il salvataggio delle banche locali (casse di credito cooperativo, Popolare di Vicenza, Veneto banca) non vengono mai calcolate tra i finanziamenti che lo Stato eroga alla Regione. Solo negli ultimi anni per spese straordinarie lo Stato ha erogato al Veneto l’equivalente di due leggi di bilancio nazionali. Anche diverse spese strutturali (pensioni, sicurezza, presenza delle forze dell’ordine e dei militati per il controllo del territorio, scuola) non vengono calcolate tra i finanziamenti erogati dallo Stato alla Regione. Infine non vengono mai calcolati il debito pubblico e i relativi interessi che sono pagati interamente dallo Stato. Come sarebbe il residuo fiscale se il debito pubblico e gli interessi fossero divisi su base regionale e trasferiti nei bilanci delle Regioni? Inoltre è bene sapere che il residuo fiscale è un tema nazionale e che in tutte le regioni del centro nord, non solo in Veneto e in Lombardia, si raccolgono più tasse di quante se ne spendono in determinati servizi. Se tutte le regioni avanzassero la richiesta di Zaia e di Maroni l’unità nazionale sarebbe messa in discussione. Forse è proprio ciò che vogliono, mascherando con l’autonomia la volontà di favorire la secessione.
Terza. Il referendum alimenta il conflitto con lo Stato e con l’Unione Europea per nascondere il fallimento del centrodestra al governo della Regione dal 1995 e per speculare sul disagio provocato dalla crisi economica e dalle scelte sbagliate di molte istituzioni politiche e imprenditoriali regionali. Il referendum serve per realizzare l’autoassoluzione collettiva delle classi dirigenti regionali che scaricano le responsabilità della crisi e del fallimento sulla politica romana ed europea. Per questo i sostenitori del referendum non parlano delle materie ulteriori che vorrebbero gestire e di come trovare le risorse per farlo e utilizzano slogan come “Paroni a casa nostra” e “Il nemico è Roma”. Un elemento di questa strategia è il ricorso costante contro i provvedimenti del governo alla corte costituzionale; ostacolo di fatto alle scelte del governo. Come è noto la realtà è diversa. L’economia e le imprese venete sono cresciute negli anni ’80 grazie alla capacità delle istituzioni nazionali e locali di valorizzare le capacità e la produttività di lavoratori e imprenditori nella creazione di valore aggiunto, e grazie alla svalutazione competitiva della lira, che ha prodotto costi enormi in termini di indebitamento pubblico che oggi pesa su tutto il Paese, e, in tempi recenti, grazie al mercato comune europeo. Pertanto senza le politiche monetarie ed economiche nazionali ed europee il benessere della nostra Regione sarebbe nettamente inferiore. La crescita e il futuro del Veneto sono strettamente legati all’Italia e all’Europa.
Quarta. Il referendum agita il tema dell’indipendenza e della secessione con effetti culturali devastanti: con le stesse finalità è stata scelta la data del 22 ottobre per richiamare il plebiscito del 22 ottobre del 1866 e aizzare il variegato mondo di secessionisti e indipendentisti che da tempo sviluppano una campagna contro l’unità nazionale anche attraverso iniziative violente. Nella stessa direzione vanno le numerose leggi identitarie promosse dalla maggioranza che sostiene Zaia, leggi che spesso si sono rivelate in contrasto con la Costituzione: dalla legge sui veneti come minoranza nazionale, alla priorità per i veneti nelle graduatorie per gli asili nido e per i servizi sociali, fino all’obbligo di esporre, insieme alla bandiera italiana, quella della Regione. Il presupposto culturale del referendum è la presunta superiorità del popolo veneto rispetto al resto d’Italia; una supremazia che sarebbe valorizzata dall’indipendenza dall’Italia e dall’Europa, indicate come le origini di tutti i mali. La realtà è diversa. Molti problemi del Veneto sono nati qui e sono stati causati da imprenditori e amministratori locali: lo scandalo Mose, il fallimento delle banche popolari e di molti istituti di credito cooperativo, il consumo esagerato di suolo e i relativi disastri idrogeologici, i costi esorbitanti di opere pubbliche come la Pedemontana o alcuni ospedali, la gestione inefficiente della formazione professionale e dell’alternanza scuola-lavoro, per fare solo pochi esempi.
Per comprendere la gravità della situazione è utile porsi alcune domande concrete. Senza i soldi pubblici stanziati dal governo per le banche venete chi avrebbe salvato i risparmiatori? Alla luce dei ripetuti tentativi della Regione di limitare i parchi regionali è meglio affidare la tutela dell’ambiente alla Regione o allo Stato? In una Regione che spreca risorse per insegnare il dialetto veneto nelle scuole anziché potenziare l’inglese, il tedesco o la stessa lingua italiana, è meglio attribuire i programmi e l’organizzazione didattica a livello statale o regionale? La salute è più tutelata dalla Regione che ostacola i vaccini o dallo Stato che cerca di rintrodurre le vaccinazioni obbligatorie per contrastare il pericolosissimo abbassamento delle soglie di protezione verso alcune gravi malattie contagiose? L’elenco potrebbe continuare a lungo e in diversi campi per dimostrare che non è vero che Il Veneto si governa meglio senza lo Stato.
Infine non si può non denunciare con forza che è in corso una campagna a senso unico per il sì al referendum in contrasto con tutte le norme sulla par condicio. La Regione sta utilizzando risorse istituzionali e strumenti di pressione politica per favorire l’affluenza al voto e la vittoria del sì. Spendere soldi pubblici per propagandare idee di parte in una competizione elettorale è una violazione delle fondamentali leggi democratiche. E’ doveroso ribadire che, in base alle norme vigenti, nel referendum la non partecipazione al voto equivale all’espressione di un orientamento e deve essere rispettata e pubblicizzata come le posizioni a favore e quelle contrarie. Finora non è stato così. Si sta concretizzando il rischio di trasformare il referendum in un plebiscito per affermare un pensiero unico autonomista, senza garantire la parità di accesso ai mezzi di comunicazione e di informazione alle diverse opinioni.
Il referendum serve a Zaia per indebolire il governo nazionale e avviare la campagna elettorale per le politiche della prossima primavera. Chi sostiene il sì al referendum, di fatto, contribuisce a rafforzare la vuota propaganda della Giunta regionale e a indebolire le riforme approvate dai governi di centrosinistra.
Per queste ragioni invitiamo i cittadini a contrastare il referendum regionale e a non andare a votare.
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PADOVA TRE, CRAC CHE VIENE DA LONTANO GIÀ NEL 2014 I CONTI DELLA SOCIETÀ ERANO IN ROSSO, MA SOLO L'ANNO SCORSO È STATO PRESENTATO UN BILANCIO IN PERDITA MATTINO DI PADOVA 6 OTTOBRE 2017
Padova Tre srl è fallita. E la notizia è di quelle che né stupiscono né sconvolgono. L'unica sorpresa che porta con sè la sentenza del Tribunale di Rovigo datata 3 ottobre, in realtà, è il ritardo con cui è arrivata. Perché il tracollo della società nata nel 2004 per gestire il servizio di raccolta dei rifiuti (controllata in origine degli ex bacini obbligatori Padova 3 e Padova 4 e poi dal Consorzio Padova Sud dove sono confluiti i Comuni di Bassa padovana e Piovese), ha origini tutt'altro che recenti.Già nel 2014, per dire, l'allora presidente del Consorzio e contemporaneamente vice presidente e direttore di Padova Tre, Simone Borile, aveva proposto all'assemblea dei sindaci la creazione di una spin off immobiliare, una nuova società in cui far confluire il patrimonio immobiliare di Padova Tre e parte dei suoi debiti. Ma a quel punto sia Padova Tre sia il Consorzio avrebbero dovuto pagare l'affitto delle rispettive sedi alla nuova società: costo che andava - neanche a dirlo - caricato in bolletta. E con i soldi così incassati, si sarebbero pagati i creditori. L'operazione non andò in porto. A fine anno, ancora Borile ne pensò un'altra per far fronte al crescente - e già preoccupante - debito di Padova Tre nei confronti di Sesa spa e De Vizia Transfer spa - ovvero anticipare al dicembre dello stesso anno la prima rata della bolletta rifiuti dell'anno successivo. La levata di scudi da parte dei sindaci bloccò anche questa iniziativa. Ma Borile aveva in serbo il colpaccio: nell'assemblea di luglio del 2015 presentò ai sindaci la proposta di accollare al Consorzio parte dei debiti di Padova Tre, scaricandoli di fatto sui Comuni. Solo una manciata di primi cittadini si oppose. Gli altri votarono e quel debito - circa venti milioni di euro a oggi - grava ancora sui Comuni. Sui cittadini. E questo debito è l'unico motivo per cui il Consorzio Padova Sud viene tenuto in vita. Di fatto Padova Tre non è più operativa da aprile quando - dopo che a gennaio era stato avviato il concordato in continuità - l'assemblea dei sindaci ha votato per la messa in liquidazione. Già da due anni la fatturazione delle bollette la faceva il Consorzio. I commissari liquidatori confidavano in alcuni crediti che Padova Tre vantava verso terzi per tenerla in vita almeno sino a quando il Tribunale non si fosse espresso rispetto all'accusa mossa al Consorzio di avere distratto somme dalla società "appropriandosi" della fatturazione. Ma quei crediti non ha potuto riscuoterli perché Padova Tre aveva il Durc - il documento unico di regolarità contributiva - irregolare. Negli anni ha omesso di versare contributi ai dipendenti per oltre 300 mila euro. Già il mese scorso la sede della società è stata di fatto chiusa perché erano saltati luce, telefoni e connessioni internet, per l'impossibilità di pagare le bollette. Ecco dunque servita la sentenza che rileva "il non dubitabile stato di insolvenza emergente non solo dall'ammissione di parte, ma anche dalla lettura dei documenti contabili". Eppure c'è stato chi solo un anno fa, è riuscito a presentare un bilancio addirittura in attivo di 200 mila euro per Padova Tre. Lo hanno firmato gli allora componenti del Cda Nicola Ferro, in qualità di presidente, Tiberio Businaro, vicepresidente, e Massimo Zanardo, consigliere. Bilancio che fu respinto dal Consorzio che subito dopo revocò l'incarico ai tre, ai quali fu anche chiesto di restituire circa 40 mila euro di emolumenti e rimborsi ritenuti ingiustificati. Il Cda successivo presentò un bilancio con due milioni di euro di perdita.Il buco che lascia Padova Tre potrebbe arrivare a 40 milioni di euro. Soldi finiti chissà dove. La Guardia di finanza ha indagato sui soldi che Borile potrebbe aver distratto dalle casse della società per pagare la sua casa in montagna, e ancora su quelli con cui potrebbe aver finanziato la cooperativa della moglie che gestisce l'accoglienza dei profughi, le decine di migliaia di euro di spese in benefit e auto aziendali, gli investimenti su progetti fallimentari come la centrale geotermica di Battaglia Terme e la galassia di partecipate. L'inchiesta coordinata dalla Procura di Rovigo conta almeno una dozzina di indagati. Ora che il fallimento è dichiarato, alle accuse di truffa e appropriazione indebita potrebbe aggiungersi quella di bancarotta fraudolenta.
«SI INDAGHI PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA» L'ONOREVOLE NACCARATO PUNTA IL DITO SUI VERTICI DELLA SOCIETÀ CHE HANNO PORTATO ALLA DEBACLE DEI CONTI MATTINO DI PADOVA 6 OTTOBRE 2017
«Finalmente il Tribunale di Rovigo ha deciso il fallimento di Padova Tre. Una decisione positiva ma tardiva»: è perentoria la presa di posizione dell'onorevole Alessandro Naccarato sul destino della società di cui da anni denuncia la mala gestio. E se la prende, in qualche modo, anche con un sistema che avrebbe permesso il protrarsi di una situazione già evidentemente guastata: «Se questa sentenza fosse arrivata alla fine del 2016, quando era già evidente l'impossibilità della srl di proseguire nella sua disastrosa attività, si sarebbero evitate inutili perdite di tempo e denaro pubblico» sottolinea Naccarato, che continua: «Il fallimento non è stato causato da contingenze economiche, eventi imprevisti o un destino avverso. È il risultato di condotte illecite che hanno portato alla bancarotta fraudolenta. Non dovrebbe essere troppo difficile individuare i responsabili: bisogna indagare tra gli amministratori di Padova Tre e cercare chi ha distratto fondi per finalità diverse e per utilità personali, compresi benefit aziendali e auto-assunzioni, chi ha utilizzato risorse per sostenere altre attività, come la cooperativa Ecofficina, o le numerose partecipazioni in perdita, chi ha occultato l'andamento negativo, chi ha predisposto il bilancio 2015 con un attivo di 200 mila euro che si è poi trasformato in un passivo di quasi due milioni. Chi ha redatto quel bilancio ha falsificato i dati per impedire il fallimento e nascondere la realtà». Naccarato punta infine il dito sul Consorzio Padova Sud che si è fatto carico di una parte del debito della controllata: «La Corte dei conti dovrebbe facilmente individuare gli autori della scelta che ha prodotto un ingente danno erariale ai comuni. Il Consorzio è ormai un ente inutile, superato dalla legge, tenuto in vita solo per dilatare nel tempo la questione del debito. L'intervento della Corte dei conti potrebbe favorire il suo opportuno scioglimento».
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
IL MATTINO DI PADOVA 6 OTTOBRE 2017
LA NUOVA LEGGE ELETTORALE
Proseguono alla Camera dei Deputati le votazioni sulla nuova legge elettorale. Appare utile fornire di seguito gli strumenti per comprendere il funzionamento del nuovo testo attraverso il dossier esplicativo del servizio studi della Camera e un articolo di approfondimento.
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
TESTO DEL PROVVEDIMENTO
DOSSIER SERVIZIO STUDI DELLA CAMERA
IL CORRIERE 12 OTTOBRE 2017
AGENDA
DOMANI 13 OTTOBRE ORE 20.45 IL PERICOLO DELLE INFILTRAZIONI MAFIOSE
SEDE PD - VIA VALVERDE 65 - VERONA

SABATO 14 OTTOBRE ORE 8.00 LEGALITÀ E MAFIE IN VENETO COLTIVA LA LEGALITÀ: INCONTRO-LEZIONE CON GLI STUDENTI LICEO G. GALILEI - DOLO (VE)
SABATO 14 OTTOBRE ORE 18.00 GRAMSCI, UNA NUOVA BIOGRAFIA CIRCOLO ARCI XXV APRILE - VICOLO MAGENTA II - PADOVA

LUNEDI' 16 OTTOBRE ORE 20.45 MAFIA E LEGALITÀ IN VENETO SALA DANTE - CONSELVE (PD)

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