COSA NOSTRA A PADOVA: DITTA CHIUSA DAL PREFETTO GAZZETTINO 14 DICEMBRE 2017
IL PROVVEDIMENTO «Concreto e attuale rischio di infiltrazione mafiosa». Sette parole che dicono tutto e confermano un allarme già noto da tempo: quello legato alla presenza di Cosa Nostra nel Padovano. Queste sette parole sono scritte nel provvedimento di comunicazione antimafia interdittiva adottato martedì dalla Prefettura di Padova nei confronti della R.M. Trasporti Srl, una società con sede legale a Megliadino San Vitale, piccolo comune della Bassa Padovana. «É il primo provvedimento di questo genere emesso a Padova da quanto nel 2011 è entrata in vigore la nuova normativa - evidenzia il prefetto Renato Franceschelli -. Non bisognerà stupirsi se ne arriveranno altri nei prossimi mesi: ci sono altri dossier aperti e vedremo dove ci porteranno». L'interdittiva è una misura che impedisce il proseguo dell'attività di un'azienda in presenza di fondati sospetti di infiltrazioni mafiose. La documentazione relativa alla R.M. Trasporti (società con sede in via Bovoline 1 bis, impiegata nel settore dei trasporti di diverso genere, dai legnami ai rifiuti) è arrivata sulla scrivania del prefetto dopo gli accurati accertamenti fatti da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza assieme alla Direzione Investigativa Antimafia. Da una misura camerale dello scorso ottobre emerge che il capitale sociale era di 100mila euro e che l'attività era iniziata il 4 aprile 2016, con un conseguente trasferimento di proprietà il 24 ottobre 2016. Il legale rappresentante di questa azienda è un uomo nato a Este e residente a Ponso, ma gli investigatori hanno posato la loro lente d'ingrandimento soprattutto sul socio unico, il palermitano Michele Lo Greco. Il ragazzo, che proprio ieri ha compiuto 26 anni, è il nipote di Giuseppe La Rosa, un siciliano già condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, in passato legato al clan dei Brusca. La Prefettura parla di «perduranti frequentazioni con persone riconducibili ad organizzazioni criminali di stampo mafioso siciliano» ma anche di «vicende societarie anomale sia nella formale struttura della R.M. Trasporti sia nella concreta gestione della stessa». Lo Greco risultava proprietario anche della Commercial Company di Legnago (Verona), azienda impegnata nel commercio di pellet, colpita da interdittiva antimafia lo scorso settembre. IL PREFETTO «Non posso dire di essere soddisfatto - dice Franceschelli - perché se siamo arrivati ad adottare questo provvedimento significa che abbiamo avuto la conferma di una possibile infiltrazione mafiosa. Qui in Veneto ormai non è certo una novità, ma ora stiamo dando un messaggio chiaro a tutti: lo Stato è presente e impegnato fermamente nel contrasto delle mafie anche nel territorio del Padovano. Il lavoro interforze coinvolge Questura, Comando provinciale dei Carabinieri, Comando provinciale della Guardia di Finanza e Dia di Padova. Adesso gli accertamenti vanno avanti in altre direzioni, e non escludiamo che in futuro emergano altri casi simili». L'AZIENDA DI LIMENA Ieri si è chiusa anche un'altra importante operazione. La Guardia di Finanza di Crotone ha arrestato 13 persone (un avvocato, un commercialista e diversi imprenditori) legati ad un'organizzazione con un chiaro modus operandi: trasferiva in provincia di Crotone la sede legale di imprese del nord Italia in difficoltà creando nuove compagini sociali intestate a prestanome e, dopo averle svuotate degli asset positivi, le faceva fallire davanti al Tribunale della città calabrese. Il profitto complessivo era di un milione e mezzo di euro. Tra le otto società sequestrate e sottoposte ad amministrazione giudiziaria c'è anche la Rsp Srl con sede legale in via Pierobon a Limena (presso la Prima Fiduciaria Spa), azienda impegnata nel settore della lavorazione di prodotti in gomma, il cui amministratore è di Torino. L'indagine era partita due anni fa: le Fiamme Gialle hanno scoperto ogni altarino dopo essersi accorte che in numerosi fallimenti decretati dal Tribunale di Crotone figuravano, stranamente, sempre gli stessi rappresentanti legali.
NACCARATO: «IL PROVVEDIMENTO È UN CHIARO MESSAGGIO: I CONTROLLI SONO SERRATI» GAZZETTINO 14 DICEMBRE 2017
«Da questa misura interdittiva possiamo prendere due aspetti: uno negativo e uno positivo. Il primo è che abbiamo un'ulteriore conferma del serio rischio di infiltrazioni mafiose anche in questa provincia, il secondo è che è in atto un importante lavoro di controllo e prevenzione». Alessandro Naccarato, deputato Pd e membro della Commissione parlamentare antimafia, è considerato un esperto di questa tematica. Periodicamente redige dettagliati report sull'attività delle mafie in Veneto e recentemente, lo scorso 3 ottobre, aveva presentato un'interrogazione al ministro dell'Interno Marco Minniti chiedendo quali iniziative il Governo fosse pronto ad assumere per potenziare il contrasto alla criminalità organizzata in questa regione. L'interrogazione di Naccarato, presentata assieme alla collega Pd Giulia Narduolo, citava un'interdittiva antimafia emanata dal prefetto di Verona nei confronti della società Commercial Company di Legnago, riconducibile a Giuseppe La Rosa e al nipote Michele Lo Greco. In quell'interrogazione i due deputati snocciolano il lungo elenco di attività legate a La Rosa, e il provvedimento reso noto ieri dalla Prefettura di Padova non li ha certamente colti di sorpresa. L'ELOGIO Nel commentare la notizia, Naccarato rende merito alla Prefettura e alle forze dell'ordine padovane. «Questo provvedimento è un fatto importante - sottolinea il deputato Pd - perché testimonia perfettamente l'importante lavoro di prevenzione e di controllo in atto. In Veneto - prosegue il democratico - l'attenzione è sempre più alta e sempre più rigorosa. I prefetti di Verona e Treviso hanno emanato negli ultimi anni una lunga serie di interdittive, quello di Verona addirittura 14 in due anni. In passato questo tipo di misure venivano adottate soprattutto in Lombardia e in Emilia Romagna, ora invece anche dal Veneto stanno arrivando segnali molto importanti in questo senso. L'interdittiva del prefetto di Padova conferma gli allarmi già lanciati riguardo la presenza sul nostro territorio di gruppi mafiosi». IL MESSAGGIO L'interdittiva nei confronti della R.M. Trasporti è, secondo il deputato Naccarato, un chiaro avviso anche ad altre aziende che operano nel Padovano e a quelle che potrebbero in futuro indirizzare qui i propri interessi. «Provvedimenti di questo genere - evidenzia - sono forti messaggi alle imprese -. In questo modo lo Stato dice di essere presente e ribadisce che fa controlli serrati con estrema attenzione. Nell'Italia del nord - prosegue - la prevenzione si fa proprio così, con le interdittive. Questi strumenti, utilizzati prima che venga commesso un ipotetico reato, impediscono a personaggi che hanno un legame con la mafia di fare economia nel nostro territorio». LA SEDE La R.M. Trasporti ha sede a Megliadino Van Vitale, uno dei Comuni più piccoli della provincia di Padova che non a caso potrebbero presto fondersi con altri tre Comuni. Naccarato non si stupisce affatto: «Anche questo è un film già visto e rivisto - sottolinea -. La criminalità organizzata sceglie spesso luoghi poco visibili e poco controllati, spesso fuori mano, nella periferia delle province. Ci sono moltissimi casi di imprese simili collocate nei piccoli centri. Guardiamo cosa accade anche in altre province vicine, con moltissimi casi analoghi capitati nella Bassa Veronese. Sempre in piccoli paesi di provincia, non nel capoluogo».
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INTERDITTIVA DELLA PREFETTURA CONTRO LA ROSA DA MEGLIADINO SAN VITALE L'EX LUOGOTENENTE DI BALDUCCIO DI MAGGIO SI RAPPORTA CON "SOGGETTI DALL'ACCLARATO PROFILO CRIMINALE"
NACCARATO «SI È AVVIATO UN PROCESSO VIRTUOSO» IL DEPUTATO PD: «ANCHE A PADOVA SI FA CONCRETAMENTE PREVENZIONE» MATTINO DI PADOVA 14 DICEMBRE 2017
Ci aveva provato. Dopo l'interdittiva della Prefettura di Verona che aveva colpito, a fine settembre, la Commercial company di Legnago, formalmente intestata al nipote Michele Greco, Giuseppe La Rosa aveva messo a capo della R. M. Trasporti srl - sede legale a Megliadino San Vitale in via Bovoline 1 bis - Alessandro Zanin, un illustre sconosciuto, almeno alle forze dell'ordine, ma non è bastato. Ieri però La rosa è stato colpito da una interdittiva antimafia, la prima in assoluto promossa dalla Prefettura di Padova. Un risultato importante del gruppo interforze ricostituito presso la Prefettura dopo un lungo periodo di inattività. La lunga carriera criminale di La Rosa non lo fa passare inosservato. E gli investigatori hanno consistenti prove per dimostrare che a capo della R. M. Trasporti srl ci fosse effettivamente lui, il cinquantatreenne di Palermo Giuseppe La Rosa. Residente a Megliadino San Vitale, nella Bassa padovana, è stato luogotenente, e autista, fidato del boss di Cosa Nostra Balduccio Di Maggio, successore e antagonista di Giovanni Brusca, capo del mandamento di San Giuseppe Jato. A fianco di Balduccio Di Maggio partecipò alla guerra di mafia contro la fazione di Giovanni Brusca. E in quella guerra perse il suocero e il cognato. Insomma un uomo d'onore di un certo spessore. Condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso e per tentato omicidio, il suo ruolo come collaboratore di giustizia non ha significato un cambio di rotta nel suo stile di vita. Appartenenti alle forze dell'ordine che hanno avuto a che fare con lui in questi anni riportano l'impressione del tipico mafioso: arrogante e sprezzante. E forse è stata proprio la sua arroganza a metterlo nei guai, non curandosi di comunicare ogni anno, negli ultimi dieci anni, la variazioni del suo reddito e del suo giro d'affari, obbligo che aveva contratto con il suo status di collaboratore di giustizia. Le sue mancate comunicazioni hanno messo una pulce nell'orecchio degli investigatori della Guardia di Finanza che hanno cominciato ad indagare sui suoi affari. Proprio per questa sua mancanza peraltro, il 16 ottobre di quest'anno ha visto confermata la condanna da parte della Corte d'appello di Venezia. Residente a Padova fino al 2013, La Rosa vanta una preoccupante rete di relazioni: è infatti accusato di aver partecipato ad una truffa in compagnia di Fortunato Multari, fratello del più noto Domenico, residente nella Bassa veronese e famiglia gravitante nell'orbita 'ndranghetista e da Francesco Frontera, detenuto a Bologna, condannato a 8 anni e 10 mesi nel processo Aemilia e indagato nella recente operazione antimafia "Valpolicella". E poi Federico Turrini, Giuseppe Zambrella e Patrick Halabica: tutti con alle spalle l'appartenenza comune all'organizzazione Aspide, la finanziaria con sede a Padova promossa da un gruppo di campani, specializzata nell'usura e nelle bancarotte fraudolente. L'accusa è quella di aver preso in consegna merce che sarebbe dovuta arrivare ai legittimi destinatari all'estero ed averla invece rivenduta. Ma nel suo portafoglio di relazioni ci sarebbero, secondo i risultati delle indagini della Prefettura, "soggetti dall'acclarato profilo criminale" come i 'ndranghetisti Santo Maviglia o mafiosi come Ignazio Mustacchia oltre a Claudio Veronese di Saletto, implicato in un commercio clandestino di auto di lusso. La preoccupazione degli inquirenti è che La Rosa, dalla sua residenza di Megliadino San Vitale sia in realtà in grado di connettere ed attivare collaborazioni tra gruppi diversificati in tutto il Nordest.
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MATTINO DI PADOVA 14 DICEMBRE 2017
CORRIERE VENETO 14 DICEMBRE 2017
IL GAZZETTINO 14 DICEMBRE 2017
COIMPO COME GOMORRA «RIFIUTI NEI CAMPI» 6 ARRESTI E 41 INDAGATI CORRIERE VENETO 12 DICEMBRE 2017
L’accusa è pesante: tonnellate di rifiuti, ovvero fanghi e fertilizzanti non lavorati in modo conforme alla legge, sversate abusivamente nei campi ad Adria. Per questo domenica mattina sono scattati sei arresti a carico dei vertici della «Coimpo». Non solo. L’inchiesta apre anche un preoccupante fronte di natura ambientale nel Comune di Adria. È stato infatti disposto il sequestro preventivo oltre che dello stabilimento Coimpo, anche di 280 ettari di terreni agricoli situati nei comuni di Adria.
NACCARATO: «VA ELEVATO IL LIVELLO DEI CONTROLLI» MATTINO DI PADOVA 12 DICEMBRE 2017
«I sei provvedimenti cautelari e i sequestri nei confronti dei responsabili delle ditte Coimpo srl e Agribiofert correttivi Srl nel Comune di Adria, confermano che il settore del trattamento dei rifiuti è spesso obiettivo di interessi illeciti e condotte criminali da parte di soggetti spregiudicati», commenta il deputato padovano del Pd Alessandro Naccarato; «Mossi da facili guadagni i titolari delle aziende hanno versato fanghi tossici su terreni agricoli senza occuparsi delle attività di bonifica e sono accusati di traffico illecito di rifiuti», continua il parlamentare «la Coimpo è già dal 2014 al centro di una complessa vicenda giudiziaria per l'omicidio colposo di quattro addetti legato alle medesime lavorazioni. Si tratta dell'ennesima vicenda che dimostra la necessità di innalzare il livello dei controlli nel nostro territorio soprattutto rispetto alle aziende che si occupano del ciclo integrato dei rifiuti e che sempre più spesso sono teatro di attività criminali che mettono in serio pericolo l'ambiente e la salute delle poplazioni locali».
RIFIUTI TOSSICI, PADRE E FIGLIA INDAGATI NEL 2016 GAZZETTINO 12 DICEMBRE 2017
Sono volti noti nel mondo dell'imprenditoria Gianni Pagnin, 66 anni e la figlia Alessia di 41 anni, entrambi residenti a Noventana, da sempre al timone di Co.Im.Po., azienda di Ca'Emo, ad Adria, leader nel trasporto e nello smaltimento di rifiuti speciali. Ieri mattina la notizia dell'arresto dei Pagnin ha creato imbarazzo ed incredulità tra i cittadini e soprattutto tra le persone a loro più vicine. Nessuno si è voluto pronunciare, ma nel più totale anonimato sono stati in tanti ad ammettere che determinati lavori come quelli legati allo smaltimento di rifiuti speciali rischiano di creare situazioni ambigue e pericolose. A settembre dell'anno scorso Gianni Pagnin, già presidente del consiglio di amministrazione della società, era finito al centro di un'indagine della magistratura toscana legata a scarti industriali altamente tossici smaltiti senza essere trattati. Secondo l'accusa venivano fatti sparire in atmosfera tramite l'incenerimento, mentre i fanghi nocivi venivano riversati in terreni di aziende agricole poi adibiti a coltivazioni di grano. Ad operare era stata la Guardia di Finanza di Firenze. Gianni Pagnin, arrestato, era poi finito agli arresti domiciliari mentre per la figlia Alessia, nel ruolo di amministratore delegato, era scattata la misura restrittiva del divieto di conduzione dell'azienda. Non vi è comunque dubbio che la notorietà dei Pagnin sia indissolubilmente legata alla clamorosa disgrazia del 22 settembre di tre anni fa quando all'interno di Co.Im.Po. morirono quattro dipendenti, uccisi da una nube di ammoniaca. Quel giorno Gianni Pagnin non si trovava in azienda: era in un letto di ospedale a Verona in attesa di un intervento chirurgico. Seppe in tempo reale via telefono del disastro che era capitato. Furono momenti terribili che costrinsero i medici ad interrompere la procedura per l'operazione visto lo stato di depressione in cui era caduto l'imprenditore. Per quel drammatico incidente costato la vita a quattro operai padre e figlia sono attualmente sotto processo al tribunale di Rovigo assieme ad altre sei persone con l'accusa di omicidio colposo. Ed ora questa nuova tegola giudiziaria, nata proprio dalle indagini dei carabinieri forestali dopo la morte dei quattro dipendenti. Pesanti in proposito le dichiarazioni del deputato del Pd Alessandro Naccarato. «Mossi da facili guadagni - queste le sue parole - i titolari delle aziende hanno versato fanghi tossici su terreni agricoli senza occuparsi delle attività di bonifica e sono accusati di traffico illecito di rifiuti. Si tratta dell'ennesima vicenda che dimostra la necessità di innalzare il livello dei controlli nel nostro territorio soprattutto rispetto alle aziende che si occupano del ciclo integrato dei rifiuti e che sempre più spesso sono teatro di attività criminali».
ARRESTI PER I RIFIUTI, TREMA BARBUJANI CORRIERE VENETO 12 DICEMBRE 2017
Tsunami nella maggioranza di centrodestra e sul sindaco di Adria Massimo Barbujani dopo il blitz giudiziario scatenatosi con gli arresti di sei persone e l’iscrizione sul registro degli indagati di 41 persone in totale per traffico illecito di rifiuti all’azienda «Coimpo» di Ca’ Emo ad Adria. Quello che sta emergendo conferma tutti i dubbi emersi l’estate scorsa. In primis quando il primo cittadino Massimo «Bobo» Barbujani aveva cacciato dalla giunta comunale l’assessore all’Ambiente Giorgia Furlanetto. Proprio la denuncia del caso- «Coimpo» da parte dell’assessore di Fratelli d’Italia alla Commissione parlamentare sulle eco-mafie, adombrando dubbi sui rapporti tra Barbujani e uno degli imprenditori arrestati domenica, Mauro Luise, aveva fatto cadere il rapporto di fiducia tra i due. Ma dopo qualche settimana Barbujani aveva ripreso con sé Furlanetto, riaffidandole in toto le deleghe ad Ambiente ed Ecologia, Politiche agricole, Parco del Delta del Po, Sicurezza, Caccia e pesca e Promozione del territorio. Sulla vicenda giudiziaria Barbujani parla di «grande tristezza per quanto avvenuto», e si dice «particolarmente dispiaciuto per quanto accaduto a Glenda Luise (figlia di Mauro, finita agli arresti domiciliari, Ndr ) per la sua giovane età». Barbujani auspica anche «un rapidissimo iter delle indagini e del giudizio della magistratura». Glenda Luise, 27 anni, è la compagna di Alessandro Duò, imprenditore nel settore del verde pubblico, presidente della municipalizzata del capoluogo «Asm Spa» per volere del sindaco rodigino Bergamin e figura rampante in Polesine a cavallo tra politica e amministrazione pubblica, trasversalmente ai partiti. «Non ho niente da dichiarare» s’è limitato a commentare ieri Duò. Si prende la sua rivincita invece Giorgia Furlanetto. «La mia battaglia sulla Coimpo aveva un senso — gongola — Ora grande preoccupazione di natura ambientale per i 280 ettari di terreni agricoli sequestrati». A sostegno della Furlanetto Sergio Berlato, consigliere regionale e coordinatore per il Veneto di Fratelli d’Italia. «Chiedere con forza che fosse messa come prioritaria l’azione di tutela e messa in sicurezza del sito “Coimpo” per evitare rischi di disastro ambientale, sono stati elementi importanti per far porre la dovuta attenzione di tutti gli organi di competenza» dichiara Berlato. A livello regionale la vicenda fu oggetto di un’interrogazione di Fratelli d’Italia. «All’epoca qualcuno, imprudentemente, ci accusò di voler strumentalizzare la vicenda per finalità di ribalta mediatica — ricorda Berlato — la magistratura farà il suo corso, ma la politica deve intervenire affinché si attivino al più presto le bonifiche». Anche Alessandro Naccarato, deputato del Partito Democratico, chiede più controlli nel settore dei rifiuti. «I sei provvedimenti cautelari e i sequestri nei confronti dei responsabili delle ditte Coimpo Srl e Agri.Bio.Fert correttivi Srl ad Adria confermano che il settore del trattamento dei rifiuti è spesso obiettivo di interessi illeciti e condotte criminali da parte di soggetti spregiudicati» affonda Naccarato che in estate aveva portato all’esame della Commissione parlamentare sulle ecomafie il caso-Coimpo. Intanto ad Adria insorge anche l’opposizione in consiglio comunale. Il Pd chiede le dimissioni di Barbujani. «Sta emergendo un quadro accusatorio pesante che, se reggerà alla prova dei fatti, delinea un collaudato sistema che vede molti protagonisti — spiega Sandro Gino Spinello, consigliere di opposizione del Pd — Molte e importanti le questioni per cui Barbujani si dovrebbe dimettere che sono emerse nei mesi scorsi. In questa vicenda le responsabilità maggiori stanno in capo alla Provincia che ha la titolarità del sistema autorizzativo. La vigilanza e il controllo dovrebbero essere appartenuti a vari organismi statali e regionali oltre che al Comune. La revoca e la riammissione dell’assessore Furlanetto è una vicenda ancora tutta da indagare». (...)
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MATTINO DI PADOVA 12 DICEMBRE 2017
CORRIERE VENETO 12 DICEMBRE 2017
CORRIERE VENETO 12 DICEMBRE 2017
IL GAZZETTINO 12 DICEMBRE 2017
SMANTELLATA LA COSCA MAFIOSA DEI TROIA DUE ARRESTI ANCHE NELLA CITTÀ DEL SANTO CORRIERE VENETO 13 DICEMBRE 2017
Trentasette persone sono state arrestate ieri all’alba in un’operazione dei carabinieri di Napoli, due dei quali fermate nel padovano. Su di loro capi d’accusa pesantissimi: associazione di tipo mafioso, associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti e smercio di banconote false. I militari del capoluogo campano, nelle indagini dirette e coordinate dalla direzione distrettuale antimafia, hanno smantellato un sodalizio operante a San Giorgio a Cremano riconducibile alla famiglia Troia. I due arrestati padovani sono i fratelli Emanuele e Felice Corteggio, 25 anni il primo, 22 il secondo entrambi di origine campana, che sono stati ammanettati dai carabinieri di Albignasego. Emanuele si trovava all’interno di un bed and breakfast ad Albignasego, Felice in un hotel in città. Nel corso delle indagini i militari hanno documentato la gestione delle piazze di spaccio di cocaina, marijuana, hashish e crack. Un sistema che nell’hinterland napoletano ha portato a numerose azioni violente tra cui l’autobomba dell’aprile del 2016 fatta esplodere sotto la casa di uno dei boss. Il clan dei Troia, capeggiato da Ciro conosciuto come Gelsomino che è finito in carcere insieme ai figli Francesco e Vincenzo, aveva affidato la sua gestione a due donne, Immacolata Iattarelli, la moglie del capo clan e la nuora Concetta Aprea. La zona di spaccio principale era nella piazza di San Giorgio dove avveniva la compravendita delle sostanze stupefacenti. Toccherà ora ai militari di Padova ricostruire come mai i due fratelli fossero nel capoluogo euganeo. Da prime verifiche sembra che entrambi lavorassero in zona alle dipendenze di una ditta con sede fuori regione che stava svolgendo dei lavori in provincia. Quello dei due fratelli Corteggio è solo l’ultimo di una serie di arresti avvenuti nel capoluogo euganeo. Lo scorso 27 novembre la Dia insieme alla squadra mobile ha ammanettato Giuseppe Avignone, 79enne di Taurianova in provincia di Reggio Calabria, ergastolano che beneficiava del regime di libertà condizionata. A fine gennaio scorso a finire in manette era stato Rosario Pompeo Tavella, 27enne di Vibo Valentia, mentre alloggiava in un piccolo bed and breakfast in via Jacopo della Quercia e che era ricercato dall’antimafia di Catanzaro per una rapina del 13 giugno 2015. Il ’ndranghetista si era rifugiato nella città del Santo e in Calabria aveva il compito di chiedere il pizzo ai pescatori. Nel 2016 poi erano finiti in manette Antonio Bartucca, 47enne impresario edile e Giovanni Spadafora, 43enne, entrambi di origini cosentine che gestivano un’impresa edile con stoccaggio a Vigonza. L’ultimo camorrista arrestato a Padova risale invece al 2012 quando un pericoloso latitante venne preso a Brugine: Nicola Imbriani, napoletano 56enne di Quarto Flegreo, esponente di spicco del clan Polverino. «Il fatto che vengano arrestati dei mafiosi a Padova è una cosa ormai ricorrente - spiega l’onorevole Alessandro Naccarato, che lavora in commissione anti-mafia - in alcuni casi sono veri e propri latitanti che scelgono il Veneto per nascondersi, altre volte si tratta di trasfertisti che hanno interessi economici in regione. E’ l’ennesima conferma della presenza delle mafie in Veneto. Del resto le regioni del nord sono state scelte da diverso tempo come aree adatte al riciclaggio. Di solito nel sud vengono compiuti reati violenti che al nord non si perpetuano per evitare l’attenzione delle forze dell’ordine. Le maggiori infiltrazioni mafiose si hanno a Verona, Padova e Venezia, nelle aree più dinamiche e ricche».
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MATTINO DI PADOVA 13 DICEMBRE 2017
CORRIERE VENETO 13 DICEMBRE 2017
IL GAZZETTINO 13 DICEMBRE 2017
OSSERVATORIO NORDEST: INDAGINE DE IL GAZZETTINO SULLA PERCEZIONE DEI CITTADINI RISPETTO ALLA PRESENZA DEL FENOMENO MAFIOSO
BIOTESTAMENTO E' LEGGE NORME IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO E DI DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO
La legge, attesa da diversi anni, affronta due questioni di grande rilevanza: il tema del consenso informato ai trattamenti sanitari e del modo in cui può essere espresso e revocato, e quello delle disposizioni anticipate di trattamento, le cosiddette DAT, con le quali il dichiarante esprime i propri orientamenti sul “fine vita”, nell’ipotesi in cui in futuro sopravvenga una sua perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere. Si tratta di una legge che rientra in una visione “mite” del diritto. È cioè una legge “di principi” e non contiene un’elencazione puntuale di situazioni, cosa peraltro non realizzabile, considerando tutte le fattispecie possibili. Il principio da cui partire è quello stabilito dall’articolo 32 della Costituzione, e cioè che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Il provvedimento, che alla sua base ha innanzitutto la relazione tra medico e paziente, non si riferisce solo alle ipotesi di fine vita, ma a tutti i casi in cui si è sottoposti ad un esame, una terapia o un intervento chirurgico. In tali ambiti, l’intento è quello di dare finalmente certezza all’azione di medici e operatori sanitari, facendo tesoro delle migliori prassi messe in atto in questi anni, nonostante il vuoto legislativo in cui essi sono stati costretti a muoversi. Parliamo dunque di un intervento “stabilizzatore” del legislatore. Un intervento che da oltre un decennio è presente nei principali paesi europei e che da tempo è fortemente sollecitato anche nel nostro Paese proprio da quanti lavorano nel settore sanitario, così come dalla giurisprudenza e da una larga parte dell’opinione pubblica. In sintesi, gli aspetti principali della legge riguardano il consenso informato, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e la pianificazione condivisa delle cure. Tra i punti fondamentali c’è il fatto che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Il medico è tenuto quindi a rispettare la volontà espressa dal paziente. Sono previste norme a tutela dei minori e degli incapaci. In previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari e di scelte diagnostiche o terapeutiche, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Infine, nel caso di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da una inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, il provvedimento prevede che ci possa essere una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, pianificazione alla quale il medico stesso sarà tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o si trovi in una condizione di incapacità.
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
TESTO DEL PROVVEDIMENTO
DOSSIER DI APPROFONDIMENTO GRUPPO PD
LA CAMERA APPROVA LA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE SUL CASO MORO E QUELLA SULLA MORTE DEL MILITARE SCIERI
Dopo un lungo lavoro di indagine delle relative Commissioni la Camera ha approvato le relazioni sul caso Aldo Moro e sulla morte del militare Emanuele Scieri.
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
Relazione Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro
Relazione Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del militare Emanuele Scieri
AGENDA
LUNEDI' 18 DICEMBRE ORE 18.30
PRESENTAZIONE DEL LIBRO:
LE MAFIE IN VENETO PRESENZA E ATTIVITA' DELLA CRIMINALITA' ORGANIZZATA
SALA ANZIANI - MUNICIPIO DI PADOVA

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