OSPEDALI DI PADOVA: UN ACCORDO CHE RINVIA LE SCELTE E DIFENDE L’OSPEDALE ATTUALE
Giordani ha raggiunto il risultato importante di difendere l’attuale ospedale impegnando la Regione a investire per ristrutturarlo. Ora l’accordo può essere migliorato precisando alcuni aspetti e vincolando la Regione a erogare le risorse promesse. Vista la situazione di partenza e le pressioni ricattatorie della Regione, che contava di trovare una giunta arrendevole come quella precedente, l’esito non era scontato.
Per il resto il clima natalizio ha consentito il miracolo mediatico di trasformare un documento confuso e generico in un’intesa risolutiva dei problemi della sanità padovana, veneta, nazionale e addirittura internazionale. Il tutto senza mai citare i livelli d’eccellenza del sistema sanitario padovano attuale che, anche senza nuove strutture, e utilizzando al meglio Giustinianeo, Sant’Antonio, Colli e Iov, continua a erogare servizi di altissima qualità e ad attirare pazienti da tutta Italia.
Leggendo con attenzione il testo appare evidente che Regione e Comune hanno siglato una dichiarazione di intenti che non produce impegni amministrativi concreti e rinvia le decisioni.
I due enti raggiungono un compromesso politico contraddittorio, molto costoso, poco realistico e privo delle risorse necessarie per concluderlo: il comune mantiene un presidio ospedaliero nel sito attuale; la regione ottiene il via libera per realizzare un nuovo ospedale a Padova est. L’accordo produce due effetti diversi: l’impegno a realizzare il nuovo ospedale a San lazzaro aumenta i valori delle aree private coinvolte nell’operazione; la permanenza di un ospedale nel sito attuale costituisce un elemento di certezza e continuità per la sanità padovana ed evita speculazioni sulle destinazioni future del complesso di via Giustiniani.
Testo dell'accordo firmato da Comune e Regione (PDF clicca qui)
Come si vede dal testo l'accordo è diverso da come è stato spiegato
Metodo democristiano? L’accordo ricorda le modalità amministrative del passato. Non a caso il sindaco ha dichiarato: “abbiamo risolto alla democristiana”. Questo elemento, che in maniera inopportuna è stato enfatizzato, preoccupa proprio per le conseguenze negative prodotte in precedenza da decisioni simili. L’accordo infatti contiene molti aspetti delle scelte sbagliate degli anni ’80, come il tribunale e lo stadio, caratterizzate da: previsioni superiori alle esigenze reali, progettazioni carenti, assenza di coperture finanziarie, iter amministrativi approssimativi e contraddittori.
Impegni confusi Il comune si impegna a cedere gratuitamente alla regione la proprietà dell’area di San Lazzaro per realizzare il nuovo ospedale. Quanto costa l’area di San Lazzaro? Per fare una cessione gratuita serve una perizia che stabilisca il valore dell’area. La regione si impegna a riqualificare e rigenerare a proprie spese l’attuale ospedale per mantenere il buon funzionamento dell’ospedale cittadino. Quanto costano riqualificazione e rigenerazione dell’attuale ospedale? La regione come sosterrà la spesa? La regione si impegna a mantenere l’area dello Iov con destinazione a uso pubblico. Questo impegno, a differenza di quanto sostenuto in commenti enfatici, non prevede che lo Iov resti a Padova; si limita a vincolare l’area a uso pubblico. Cosa succederà allo Iov che oggi è stato limitato dal trasferimento parziale a Castelfranco? La regione si impegna a riqualificare e bonificare a proprie spese l’area dell’ospedale che verrà dismessa e a cedere gratuitamente al comune la proprietà per realizzare il parco delle mura. La regione avrebbe comunque dovuto pagare la bonifica. Quanto costano riqualificazione e bonifica? La regione come sosterrà la spesa?
Obiettivi condivisi da regione e comune Realizzazione di un nuovo ospedale a San lazzaro e di un nuovo ospedale nel sito attuale con pari dignità dimensionale di 900 posti letto con funzioni diverse e complementari. L’accordo non stabilisce tempi e modalità di realizzazione, e non individua risorse necessarie per intervenire. Contenuti sanitari dei due ospedali soddisferanno bisogni di Padova e del territorio regionale, nazionale e internazionale. Aldilà delle finalità propagandistiche, cosa sono i bisogni del territorio nazionale e internazionale? Chi li stabilisce? Come si pagano? L’accordo sarà sottoposto sollecitamente a organi rappresentati dal sindaco e dal presidente della regione. Cosa significa “sollecitamente”?
Cosa manca L’accordo non individua: - risorse per interventi di riqualificazione e rigenerazione dell’attuale ospedale; - risorse per bonifica e realizzazione del parco delle mura; - risorse per realizzare nuovo ospedale a San lazzaro; - risorse per realizzare le infrastrutture per rendere l’area di San lazzaro adeguata ad ospitare il nuovo ospedale; - modalità di finanziamento necessarie a sostenere gli interventi proposti; - destinazioni urbanistiche e previsioni edificatorie delle aree private di San lazzaro coinvolte nell’operazione; - i contenuti sanitari dei due ospedali previsti.
Una proposta alternativa meno costosa e più realistica In un periodo di riduzione della spesa pubblica e di riorganizzazione dei servizi pubblici per limitarne i costi mantenendo elevati standard qualitativi non è realistico proporre di realizzare nella stessa città due nuovi ospedali e di aumentare l’offerta complessiva di posti letto. Sarebbe stato più serio e meno costoso accordarsi su tre aspetti urgenti per mantenere l’eccellenza del servizio sanitario padovano: proseguire gli interventi di ristrutturazione nell’attuale ospedale; riportare a Padova lo Iov, che in realtà, nel silenzio quasi assoluto degli operatori, è stato depotenziato e dimezzato con il trasferimento di parti rilevanti a Castelfranco; rafforzare il presidio territoriale del Sant’Antonio con investimenti adeguati a mantenerlo efficiente. Un accordo su questi tre punti comporta costi minori e tempi più brevi di realizzazione senza il rischio di speculazioni urbanistiche.
OSPEDALE, MALUMORI NEL PD: «È UN ACCORDO IRREALISTICO» LE SCELTE DI GIORDANI NON PIACCIONO AD UNA PARTE DEGLI ESPONENTI DEM PADOVANI. IL DEPUTATO NACCARATO: «NON CI SONO NÉ SOLDI NÉ PROGETTO, VA CAMBIATO IN REGIONE» MATTINO DI PADOVA 29 DICEMBRE 2017
Acque agitate nel Pd padovano dopo l'accordo sul "doppio polo" tra il sindaco Sergio Giordani e il governatore Luca Zaia, che porterà alla cessione gratuita dell'area di Padova Est (quella individuata dall'ex sindaco Bitonci) per la realizzazione del polo sanitario d'eccellenza e innovazione. Se il neo-segretario Vittorio Ivis si è subito affrettato a comunicare la benedizione ufficiale del Pd all'accordo, in casa dem non mancano le irritazioni. C'è chi come il consigliere regionale Claudio Sinigaglia, sostenitore della soluzione Padova Ovest, mastica amaro ma rimane in silenzio. E chi, come il parlamentare "orlandiano" Alessandro Naccarato, non esita a definire l'accordo «confuso e generico». «La premessa che nessuno fa mai è quella che il sistema attuale, utilizzando al meglio Giustinianeo, Sant'Antonio, Colli e Iov, eroga servici di altissima qualità e attira pazienti da tutta Italia - ragiona il deputato - Poi bisogna dire che Giordani ha raggiunto un risultato importante nel difendere l'ospedale attuale e non è stato per nulla arrendevole rispetto a Zaia come invece era Bitonci». Dal canto suo però Naccarato evidenzia anche tutti i nodi critici dell'accordo. E lo fa a partire dal "metodo democristiano" rivendicato proprio dallo stesso Giordani: «Come nelle scelte sbagliate degli anni '80 (tribunale e stadio per tutte) ci sono previsioni superiori alle esigenze reali, progettazioni carenti, assenza di coperture finanziarie, iter amministrativi approssimativi e contraddittori», sottolinea.Tante le domande cui l'accordo non dà alcuna risposta: «Quanto costa l'area di San Lazzaro? Per fare una cessione gratuita serve una perizia che ne stabilisca il valore - osserva il parlamentare Pd - Quanto costano riqualificazione e rigenerazione dell'attuale ospedale? E quanto costa la bonifica dell'area del Parco Mura? La regione come sosterrà queste spese?». «Non è realistico proporre di realizzare nella stessa città due nuovi ospedali e di aumentare i posti letto», prosegue Naccarato che propone una soluzione alternativa: «Sarebbe stato più serio e meno costoso accordarsi su tre aspetti urgenti: proseguire la ristrutturazione dell'attuale ospedale, riportare a Padova lo Iov e rafforzare il presidio territoriale del Sant'Antonio».Da qui l'appello a «implementare» l'accordo in consiglio regionale: «I padovani dovrebbero muoversi di più, come fanno i leghisti - è la conclusione - Giordani non è aiutato da nessuno in Regione».
Per saperne di più leggi l'approfondimento:
TESTO DELL'ACCORDO SULL'OSPEDALE DI PADOVA
MATTINO DI PADOVA 29 DICEMBRE 2017
'NDRANGHETA IN VENETO
NACCARATO: «UNA MINACCIA PER LA LEGALITÀ BISOGNA AGIRE CON INTERDITTIVE E SEQUESTRI» MATTINO DI PADOVA 10 GENNAIO 2018
«L'operazione Stige di oggi della Dda di Catanzaro conferma l'intensa attività della 'ndrangheta in Veneto e a Padova come già segnalato in diverse interrogazioni parlamentari», è la reazione del parlamentare del Pd Alessandro Naccarato (foto), membro della commissione antimafia. «La fitta rete di traffici illeciti della cosca Farao-Marincola ha esteso la sua influenza dalla Calabria sino alla Germania passando per Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Lazio realizzando un sistema capace di controllare molti settori. Tra gli arresti, oltre al veneto Alessandro Gabin, ci sono soggetti da tempo operanti nella nostra regione come Antonio Bartucca, Giovanni Spadafora ed esponenti della famiglia Giglio. La presenza della 'ndrangheta in Veneto è ormai accertata e costituisce una grave minaccia per l'economia e per la legalità. È necessario utilizzare anche in Veneto tutti gli strumenti di prevenzione previsti dalla legge, come le interdittive e i sequestri patrimoniali».
'NDRANGHETA. I CLAN A NORDEST: TRA I 4 ARRESTATI IL PRESIDENTE DEL MOGLIANO CALCIO NACCARATO (PD): «MINACCIA PER L'ECONOMIA» GAZZETTINO 10 GENNAIO 2018
«I tentacoli della ndrangheta avviluppano anche il Veneto. Sono quattro gli arresti tra Padova, Treviso e Venezia che rientrano nella maxi-operazione dei carabinieri del Ros e del comando provinciale dell'Arma di Crotone, contro l'organizzazione criminale calabrese, che ha fatto scattare le manette per 169 persone in Italia e in Germania. Nella rete degli arresti di Stige è finito anche il presidente del Mogliano Calcio, Marco Gaiba, 55 anni, che ora si trova ai domiciliari, il più noto dei quattro veneti con le manette ai polsi. Tra le persone che hanno ricevuto l'ordinanza di custodia cautelare ci sono anche il presidente della Provincia di Crotone Nicodemo Parrilla, il sindaco di Strongoli Michele Laurenzano e quello di Mandatoriccio Angelo Donnici.
LE INFILTRAZIONI Al centro dell'inchiesta le attività criminali della cosca Farao-Marincola, una delle più potenti della Calabria con ramificazioni anche nel Nord e Centro Italia, in particolare Emilia Romagna, Lazio, Lombardia e, appunto Veneto, oltre che in Germania: estorsioni, traffico di droga, appalti. Le indagini hanno documentato l'infiltrazione mafiosa in diversi settori economici e imprenditoriali, sia in Italia che all'estero, circostanza che ha consentito alla cosca di strutturarsi come una vera a propria holding criminale capace di gestire affari per milioni di euro. Le ordinanze sono arrivate al termine di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Gaiba è accusato di aver fatto da prestanome nella costituzione di società, nel campo della progettazione e dello sviluppo di materie plastiche, allo scopo di riciclare il denaro della cosca. Oltre a lui sono stati arrestati nel Veneziano Alessandro Gabin, residente a Marghera, e nel Padovano Antonio Bartucca, 49 anni, e Giovanni Spadafora, di 45, entrambi originari di San Giovanni in Fiore (Cosenza) e residenti a Vigonza, considerati vicini alla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, che erano già finiti in carcere nell'aprile del 2016, condannati per spaccio di stupefacenti e detenzione di armi.
L'ANTIMAFIA A dare la notizia degli arresti veneti è stato il deputato Alessandro Naccarato, componente della commissione Antimafia, da tempo impegnato nel contrasto alle infiltrazioni criminali in Veneto. Questi arresti, per il parlamentare del Pd, sono indice dell'evidente presenza della mafia nel Nordest: «L'operazione Stige conferma l'intensa attività della ndrangheta in Veneto, come già segnalato in diverse interrogazioni parlamentari. La fitta rete di traffici illeciti della cosca Farao-Marincola ha esteso la sua influenza dalla Calabria sino alla Germania passando per Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Lazio realizzando un sistema capace di controllare molti settori della vita economica e sociale». Naccarato sottolinea: «La presenza della ndrangheta in Veneto, oggetto di numerose denunce spesso sottovalutate, è ormai accertata e costituisce una grave minaccia per l'economia e per la legalità. È necessario utilizzare anche qui tutti gli strumenti di prevenzione previsti dalla legge, come le interdittive e i sequestri patrimoniali, e potenziare le iniziative di contrasto e repressione dell'autorità giudiziaria e delle forze dell'ordine».
I PATRIMONI Nel corso dell'operazione sono stati anche sequestrati beni ritenuti riconducibili alla cosca Farao-Marincola per oltre 50 milioni di euro. Si tratta di patrimoni, viene sottolineato dagli investigatori, accumulati illecitamente nel corso degli anni. Le indagini hanno ricostruito uno scenario definito dai carabinieri di «pervasiva infiltrazione mafiosa» in diversi settori economico-imprenditoriali, dal commercio di prodotti vinicoli e alimentari alla raccolta dei rifiuti, dai servizi funebri agli appalti.
‘NDRANGHETA, BLITZ E CINQUE ARRESTI «PADOVA È NOSTRA» APRIVANO AZIENDE CON I SOLDI DELLE COSCHE CORRIERE VENETO 10 GENNAIO 2018
Venezia L’operazione «Stige», coordinata dalla procura di Catanzaro, è scattata all’alba di ieri e ha portato a 169 arresti in diverse regioni, quasi tutti imprenditori e amministratori. Cinque gli uomini – accusati di collegamenti con la ‘ndrangheta - che risiedevano in Veneto. Operavano per investire i soldi della malavita in imprese «pulite». Come le aziende rilevate nel Padovano: una società immobiliare, una che forniva buttafuori ai locali, altre nel settore della panificazione. L’intercettazione: «Ci prendiamo Padova». Il giudice per le indagini preliminari di Catanzaro, Giulio De Gregorio, li definisce «contatti prodromici tutti a imbastire attività nel territorio veneto». In pratica: uomini legati alla ‘ndrangheta operavano al Nord per investire i soldi della malavita in imprese «pulite». Come le aziende rilevate nel Padovano: una società immobiliare, una che forniva buttafuori ai locali notturni, altre nel settore della panificazione. O come la pizzeria a Trissino, nel Vicentino, gestita da Gaetano Aloe, il figlio di Nick, storico boss calabrese fatto ammazzare nel 1987 dagli altri capi-clan che lo accusavano di non aver spartito in modo equo i proventi delle attività criminali. Gaetano e suo fratello Francesco avevano però ottenuto di restare nella cosca grazie alla protezione derivata da un intreccio di parentele con i nuovi padrini.
L’operazione «Stige», coordinata dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e dall’aggiunto Vincenzo Luberti, è scattata all’alba di ieri e ha portato a 169 arresti, quasi tutti imprenditori e amministratori locali. Cinque gli uomini – tutti accusati di collegamenti con la ‘ndrangheta - che risiedevano in Veneto. Oltre al «vicentino» Gaetano Aloe; a Vigonza (Padova) vivevano Antonio Bartucca e Giovanni Spadafora (tutti di origini calabresi), mentre Alessandro Gabin era residente a Marghera anche se domiciliato in Germania. Sono destinatari di un ordine di carcerazione per associazione a delinquere. Il quinto è l’ingegnere (ed ex promessa del calcio) Marco Gaiba finito ai domiciliari nella sua casa in centro a Mogliano e accusato di interposizione fittizia, in pratica avrebbe fatto da «schermo» intestandosi società trevigiane che in realtà appartenevano alla mafia.
C’è di tutto nelle oltre 1.300 pagine dell’ordinanza che riassume il lavoro della Dda. Anni di indagini che fanno luce non soltanto sul controllo capillare del territorio di Crotone e Cosenza da parte della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina e del clan Giglio di Strongoli, ma anche sugli affari che legano la criminalità organizzata al Veneto. In un colloquio in carcere, uno dei boss spiega chiaramente che la terra di conquista è soprattutto la provincia di Padova: «Qua c’è il ben di dio!», assicura. Perché proprio la città del Santo? Perché qui c’è il carcere di massima sicurezza all’interno del quale sono reclusi diversi esponenti di spicco della mafia, che approfittavano dei colloqui settimanali con i familiari per continuare a gestire gli affari illeciti.
Bartucca e Spadafora, per l’accusa rappresentano gli «uomini di fiducia della cosca sul territorio padovano» da dove garantivano «supporto logistico ed economico alla famiglia di Salvatore Giglio (il capo cosca, ndr ) ogni qualvolta si sono recati a colloquio col congiunto detenuto, nonché ad Assunta Cerminara, moglie di Giuseppe Farao (un altro boss di Cirò, ndr ), anch’egli detenuto presso la Casa di Reclusione di Padova». Ma non si limitavano a ospitare i parenti dei mafiosi, che a Padova avevano a disposizione case e auto di lusso. I due calabresi trapiantati a Vigonza sono accusati di «essersi occupati, unitamente a Vincenzo Giglio (il figlio Salvatore, ndr ), e su disposizione del capo cosca, di investire denaro per l’apertura o l’acquisizione di nuove attività imprenditoriali nelle zone del Padovano quali ad esempio una società immobiliare, una società che fornisse la security per i locali del padovano, nel settore della panificazione, «nonché per aver cercato di inserirsi in lavori pubblici, con ditte agli stessi riconducibili, fornendo i relativi mezzi d’opera…».
Gaetano e Francesco Aloe, invece, facevano affari infilandosi nelle società aperte in Veneto, ad esempio la Film Srl del trevigiano Gaiba, come soci occulti «al fine di agevolare la consorteria di ‘ndrangheta» .
Infine, la figura di Gabin: pur risiedendo nel Veneziano, in realtà viveva in Germania dove con altri indagati aveva messo in piedi una banda specializzata in truffe e furti di auto di lusso. Le vetture venivano noleggiate all’estero e vendute in Italia a ignari clienti. I criminali le dotavano però di un sistema di localizzazione, grazie al quale dopo aver intascato i soldi dell’acquisto le rintracciavano e le rubavano, per poi riconsegnarle alla società di noleggio tedesca.
IL BOSS DAL CARCERE «PADOVA È ZONA NOSTRA. COMPRATE I PANIFICI» DAL DUE PALAZZI GLI ORDINI AGLI AFFILIATI DELLA COSCA CORRIERE VENETO 10 GENNAIO 2018

Tra il 2014 e il 2015 nel carcere di Padova è recluso il boss Salvatore Giglio. E da lì continua a impartire ordini e direttive ai suoi familiari e agli uomini della cosca. Lo fa durante i colloqui, usando frasi in codice e gesticolando. Non è sempre facile anche perché, dopo che nel luglio del 2014 alcune guardie sono state arrestate per aver fatto entrare droga al Due Palazzi, «i controlli sono diventanti più minuziosi», spiega il capo. Anche la moglie se ne lamenta, dice che «non volevano far entrare nemmeno le melanzane che gli ha portato». E Giglio annuisce: «È successo un casino», ogni volta che si muovono vengono sottoposti a perquisizione «prima e dopo i colloqui». Ispezioni frequenti, quindi. Anche se dall’ordinanza del gip di Catanzaro emerge che «il direttore del carcere gli regala un colloquio (oltre a quelli previsti, ndr ) da eseguirsi in palestra, luogo in cui i detenuti giocano a calcio». I messaggi filtrano dal carcere per raggiungere gli affiliati. È sempre Giglio ad avere le idee chiare su come impegnare il denaro della cosca: «Con farina e acqua si fanno i soldi». E la moglie, guardando il figlio (presente anche lui al colloquio) dice: «C’è assai guadagno, capì ». E quando gli chiedono se devono farlo a Strongoli (Crotone), il boss risponde secco: «Qua!», intendendo nelle zone del Padovano. Per l’accusa, «fa capire che a Padova devono iniziare e inserirsi nel mercato della panificazione» che in Calabria è già controllato, di fatto, dalla mafia e suggerisce «di interessarsi e vedere se riesce a trovare qualche forno che si vende». Di «rilievo» viene anche definito il colloquio del 29 gennaio 2015 tra il boss, la moglie e il figlio Vincenzo, che nell’ordinanza viene definito «la mente imprenditoriale della cosca». Emergono piccoli problemi con l’affiliato a un altro clan che rifiutava la restituzione di una somma di denaro, e Salvatore Giglio risolve la questione rivolgendosi al boss di Cirò Superiore, Giuseppe Farao, pure lui detenuto a Padova, «affinché mandi a dire all’affiliato di cambiare atteggiamento e comunque non farli andare nelle zone del Padovano in quanto “loro zona” (inteso del clan degli strongolesi). Farao gli risponde «che mo’ che vanno da lui, glielo dice che quando vengono a Padova si devono comportare bene». E Giglio ribatte «che se non ci vengono proprio a Padova, è meglio». Per il gip Giulio De Gregorio, «il colloquio mostra la particolare sinergia fra l’articolazione strongolese e la locale di ‘ndrangheta cirotana. Soprattutto mostra la vera e propria edizione di una stabile compenetrazione degli accoscati strongolesi nel territorio padovano» al punto che un pezzo da novanta come Giglio «si preoccupa di evitare problematiche ai suoi affiliati nella conduzione delle loro attività nel nord Italia». Non c’è solo il Padovano nelle mire della ‘ndrangheta. Più in generale, il giudice osserva che «l’attività di polizia giudiziaria rivelava la presenza di un presidio di sodali insediato al Nord, sempre pronti ad adoperarsi per le esigenze, anche semplicemente logistiche, di esponenti di vertice (della cosca, ndr )». Tra i 169 arrestati di ieri, c’è Gaetano Aloe che gestiva una pizzeria a Trissino, chiusa poche settimane fa in seguito a un’interdittiva dell’Antimafia. Ora si scopre che il 18 febbraio 2016 proprio nel Vicentino si presentò Pino Sestito il super-boss di Cirò «con ogni probabilità per gestire investimenti che la cosca aveva in quei territori». Uno dei dipendenti di Aloe, attende fuori dal ristorante che i due finiscano di cenare, e quando riceve la telefonata del padre sembra eccitatissimo: «Oggi … è arrivato il boss di Cirò … il boss di Cirò … proprio il vero … sì … Pino Sestito… è venuto qua non so perché, ora infatti sono a cena fuori…». Nelle carte dell’accusa, compare (in modo marginale) anche la figura della compagna di Gaetano Aloe, la vicentina Erika Lovato, che non rientra nell’elenco delle persone arrestate. Per il gip, da alcune intercettazioni emerge l’interesse della cosca di Cirò a «ingerirsi nel redditizio settore imprenditoriale del riciclaggio delle materie plastiche». Vengono trascritte le parole del boss Giuseppe Spagnolo (pure lui imparentato con la famiglia Aloe e arrestato), secondo il quale «gli introiti avrebbero dovuto essere divisi in parti eguali con una donna, la quale avrebbe dovuto assumere il controllo di una delle nuove società in fase di costituzione». Si tratta, secondo gli inquirenti, proprio di Erika Lovato. «Praticamente la plastica la danno a me - spiega Spagnolo - la vanno a scaricare nell’azienda nostra… e poi si fa al 50 per cento … il 50 io e il 50 lei». Il messaggio è chiaro: gli affari si fanno insieme e tutti devono guadagnarci qualcosa. Con una regola, però: nei clan mafiosi è vietato sbagliare. E infatti, quando il pregiudicato con il quale il boss sta parlando gli chiede notizie sul comportamento di Gaetano Aloe, Spagnolo replica che non avrebbe tollerato alcun passo falso: «Sono tre anni che non ha fatto neanche un errore … Il primo che farà ne pagherà tutto!».
LE PROMESSE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE E I RIFLESSI SUL DEBITO PUBBLICO
Con l'inizio ufficiale della campagna elettorale già in questi primi giorni di gennaio abbiamo assistito al fiorire delle più diverse proposte da parte degli esponenti delle forze politiche. Di fronte a questa modalità di condurre il confronto appare utile e opportuno riflettere sui riflessi che queste promesse avrebbero ad esempio sul debito pubblico del nostro Paese. Di seguito riportiamo tre interessanti approfondimenti su questi aspetti.
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
SOLE 24ORE 2 GENNAIO 2018
CORRIERE DELLA SERA 30 DICEMBRE 2017
CORRIERE DELLA SERA 3 GENNAIO 2018
LETTURA IN ITALIA: DATI CHE FANNO PENSARE
I dati sulla lettura in Italia meritano una riflessione seria. La situazione di fragilità culturale e il diffuso analfabetismo di ritorno, causato dall'abbandono in età adulta di qualsiasi attività di studio e di approfondimento, favoriscono l'affermazione di posizioni populiste e autoritarie che indeboliscono la democrazia. Riportiamo qui un Report ISTAT e un interessante punto di vista per approfondire
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
REPORT ISTAT SU PRODUZIONE LIBRI E LETTURA
CORRIERE DELLA SERA 31 DICEMBRE 2017
AGENDA
VENERDI' 12 GENNAIO ORE 21.00 SALA CIVICA - CASALE DI SCODOSIA

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