CONTRO LE MAFIE A PADOVA SI USI ANCHE IL 416 BIS MATTINO DI PADOVA 10 FEBBRAIO 2018
Mafie in Veneto: perché utilizzare l'articolo 416 bis del Cp. Due inchieste recenti impongono una riflessione sull'utilizzo degli strumenti di contrasto alle mafie in Veneto. A fine dicembre il tribunale di Catanzaro ha disposto l'arresto di 179 persone, tra le quali Vincenzo Giglio, Antonio Bar- tucca e Giovanni Spadafora, attivi a Padova, per il reato di associazione mafiosa di cui all'articolo 416 bis del Cp. I tre sono accusati di appartenere alla 'ndrangheta, alla cosca Giglio di Strongoli, articolazione di una più vasta organizzazione. Gli arrestati si sono avvalsi del metodo mafioso, ovvero della forza d'intimidazione derivante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e di omertà diffusa che ne deriva, per rafforzare ed estendere il controllo della loro cosca anche in Veneto. Bartucca, Spadafora e Giglio sono accusati di aver rappresentato il gruppo a Pa- dova: di aver garantito il sup- porto logistico ed economico a dei detenuti; di aver investito denaro per l'apertura o l'acqui- sizione di nuove attività im- prenditoriali, una immobiliare, una che fornisce security, una della panificazione; di aver cercato di inserirsi in lavori pubblici fornendo i mezzi d'opera. A fine dicembre il tribunale di Padova ha arrestato per traffico di stupefacenti e reati economici 16 persone, tra le quali i sopra citati Vincenzo Giglio, Antonio Bartucca e Giovanni Spadafora. Secondo l'autorità giudiziaria si era costituita un'associazione a delinquere per commettere di- versi delitti come la gestione illecita di imprese, l'emissione di false fatture, il riciclaggio e l'autoriciclaggio.L'associazione, con base a Vigonza, operava tramite la locale filiale della Banca popolare di Vicenza, ed era composta da Bartucca e Spadafora, da un loro uomo di fiducia, dal direttore della citata filiale, da un suo collega e da un imprenditore. L'indagine ha coinvolto diverse persone pro- venienti dalla Calabria con precedenti penali rilevanti e in relazione con appartenenti alla 'ndrangheta. Il gruppo gestiva traffici di cocaina, marijuana e hashish; ingenti quantità delle ultime due erano prodotte in Calabria e venivano vendute in provincia di Padova. Le due inchieste, pur occupandosi di fatti diversi, coinvolgono le stesse persone accusate di appartenere a due associazioni criminali: una 'ndranghetista, e una "semplice", entrambe op- eranti qui. L'esperienza giudi- ziaria sulla 'ndrangheta in Lom- bardia, Piemonte ed Emilia in- dica che è necessario appro- fondire la natura delle associa- zioni criminali attive a Padova e in Veneto. L'elemento fonda- mentale dell'associazione di stampo mafioso consiste nella forza intimidatrice del vincolo associativo, da cui deriva la situazione di assoggettamento e di omertà. Pertanto il reato può realizzarsi anche per organizza- zioni che, pur senza controllare un certo territorio, hanno la finalità di assoggettare anche poche persone, avvalendosi di metodi mafiosi. Assoggetta- mento e omertà sono la con- seguenza del prestigio criminale del gruppo che, per il solo fatto di esistere o di aver operato, per la sua fama negativa, per la capacità di lanciare avverti- menti anche simbolici, si ac- credita come un effettivo centro di potere. Gli elementi raccolti dalla Dda di Catanzaro indicano che i tre affiliati alla 'ndrangheta hanno agito con metodo mafio- so in Veneto per rafforzare l'as- so ciazione. Due dei tre indagati hanno costituito, con altri, una associazione criminale a Pado- va. La conseguenza logica di queste acquisizioni è che l'asso- ciazione padovana ha utilizzato la forza intimidatrice derivante dal vincolo mafioso per svolgere le finalità criminali nel traffico di droghe, nei reati fiscali e nel ri- ciclaggio. In sostanza esiste una connessione criminale oggetti- va tra le due associazioni che ap- paiono come un'unica associa- zione mafiosa con rami- fica- zioni a Padova. Ciò evidenzia che nella lotta alle mafie in Veneto bisogna utilizzare tutti gli strumenti dall'ordinamento, tra cui il 416 bis, che con sente di disporre dei mezzi adeguati.
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MATTINO DI PADOVA 10 FEBBRAIO 2018
 ORLANDO: INCHIESTA SU MASCOLO «MAFIA, IL PERICOLO È REALE» MATTINO DI PADOVA 10 FEBBRAIO 2018
L'ordinanza del giudice di Treviso Angelo Mascolo che ha rimesso in libertà Luca Furlan, indagato per omicidio preterintenzionale? «Sto valutando se esistano gli elementi per avviare un procedimento disciplinare», dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando, mentre sale le scale del municipio di Padova accompagnato dall'onorevole Alessandro Naccarato per partecipare a un dibattito elettorale. Il Pd ha deciso di schierare i big di governo per recuperare il gap con il centrodestra che pensa di vincere 28 collegi a 0 e il ministro torna sul "caso Treviso" e anche sull'allarme lanciato da Rosy Bindi, secondo cui l'infiltrazione dei clan in Veneto è stata sottovalutata.Ministro Orlando, l'onorevole Bindi che presiede la Commissione Antimafia, nella sua relazione conclusiva parla di una "insufficiente attività di prevenzione e contrasto" e lascia intendere che in passato il pericolo sia stato ridimensionato: lei che impressione ne ha ricavato?«Io non parlo sulla base di impressioni personali. Ci sono rapporti molto dettagliati della Direzione nazionale antimafia e anche le analisi svolte nel corso di questa legislatura dalla Commissione Antimafia che documentano come il fenomeno della criminalità organizzata non risparmi nessuna regione italiana. Laddove c'è un dinamismo economico elevato il rischio delle infiltrazioni è reale. La mafia ormai è un grande soggetto economico e finanziario e anche il Veneto è a rischio perché il suo dinamismo imprenditoriale può essere oggettivamente nel mirino dei clan. Alcune inchieste lo hanno dimostrato e credo sia importante non cedere a nessuna forma di allarmismo ma mantenere sempre alta l'attenzione e continuare l'analisi perché negli anni in cui si è fatto finta che il pericolo non ci fosse, la mafia si è invece sviluppata e ha messo solide radici. Non solo in Veneto».Cosa ne pensa del giudice di Treviso Mascolo che avrebbe fatto copia-incolla di un'ordinanza e così il tribunale del riesame ha dovuto scarcerare un indagato?«Ho chiesto all'ispettorato del ministero di Grazia e Giustizia di acquisire tutti gli elementi per valutare se esistano i presupposti per avviare un procedimento di carattere disciplinare».C'è un altro caso che tiene banco: la sentenza del gup di Vicenza è l'esatto opposto di quella del gup di Roma sulla responsabilità civile di Banca Intesa nei confronti dei risparmiatori di Bpvi e Veneto Banca travolti dal crac: lei che ne pensa?«Non commento mai le sentenze della magistratura, ma solo i fenomeni che in qualche modo possono costituire abnormità e che sono quindi connessi all'azione disciplinare. Le sentenze che seguono le regole del procedimento non possono mai essere oggetto della mia attenzione».A Macerata dopo tanti dubbi è stata autorizzata la manifestazione antifascista, per lei è un segnale positivo?«Quando si manifesta contro il razzismo in modo pacifico è sempre un segnale positivo, anche se io non ci sarò per impegni istituzionali ma condivido il corteo».Lei ha anche detto che i "processi non si fanno in piazza". Cosa significa?«Significa che ci sono delle procedure e delle regole che non possono essere funzionali a questo o a quel teorema, influenzate o influenzabili dal sentimento che si può determinare da un fatto gravissimo, perché il processo è finalizzato all'accertamento della verità e non alla creazione del consenso di un partito. Grazie al cielo, il nostro sistema giudiziario non è legato al consenso. Altrimenti si produrrebbero dei mostri».Dopo il folle raid di Luca Traini a Macerata la campagna elettorale si è incattivita, che piega sta prendendo?«Non mi pare che prima fosse particolarmente edulcorata. Ma sta prendendo una bruttissima piega. Di fronte a fatti come quelli di Macerata si dovrebbe costruire la massima unità fra tutte le forze democratiche e antifasciste nel formulare una condanna senza aggiungere nient'altro, perché qualunque dubbio finisce per incrinare un fronte che va tenuto unito».
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MATTINO DI PADOVA 10 FEBBRAIO 2018
IL PROCURATORE DISTRETTUALE CHERCHI: PER COMBATTERLE SERVONO UOMINI E MEZZI
L'ex giudice Papalia: «Difficile il coordinamento tra Venezia e le procure» «Mafie sottovalutate anche dalla società civile»
"Abbiamo assistito negli anni a una generale sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata in Veneto, anche da parte della società civile". Così il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi, che guida anche la Direzione distrettuale antimafia del Veneto, all'indomani del quadro a tinte fosche che esce dalla relazione della Commissione parlamentare antimafia. A pesare sulla macchina della giustizia già ingolfata, ricorda Cherchi, c'è la cronica mancanza di personale. Solo in Procura a Venezia, riferimento distrettuale per il Veneto, su un organico di 22 magistrati ci sono 5 posti vacanti. E pensare che di recente la pianta organica è stata aumentata di due unità, ma solo sulla carta. Il personale amministrativo, fondamentale perché i magistrati possano lavorare, è inferiore al 30% rispetto al fabbisogno. Ma da parte del procuratore capo, arrivato a Venezia lo scorso giugno, c'è la volontà di stringere ancora di più le maglie della lotta alla criminalità organizzata: è in stesura un protocollo con le altre Procure per migliorare il coordinamento anche sulle infiltrazioni.Secondo Guido Papalia, ora in pensione, sostituto procuratore a Verona dal 1980 al 1993, "c'è un problema di coordinamento tra la Procura distrettuale di Venezia e le procure territoriali. Richiesi al tempo che venissero distaccati a Verona dei magistrati dalla procura antimafia per collaborare alle diverse indagini e intercettare così gli aspetti che potessero riguardare le mafie nelle diverse vicende, ma non successe nulla". Alcuni reati comuni - incendi, danneggiamenti, estorsioni, ma anche bancarotte e false fatturazioni - possono essere spia di una più ampia strategia criminale, ma rimangono competenza delle singole procure territoriali. Per questo il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, il 416bis, è stato usato raramente in questa regione malgrado sia stato ipotizzato in diverse inchieste, dal racket del Tronchetto a Venezia all'intermediazione di manodopera nel trevigiano.Fatto sta che la maggioranza di arresti per mafia effettuati nella nostra regione avviene per iniziativa di procure di altre regioni. Papalia, che difende l'operato della magistratura veneta, "sensibile e attiva nel contrasto alle mafie", ritiene che la 'ndrangheta che più si è insediata in Veneto, quella di origine crotonese, è più sfuggente di quella che già dagli anni '70 è di casa in Piemonte, Lombardia e Liguria: "Quella più potente e pericolosa, quella originaria di Reggio Calabria, nel Veneto ha i suoi interessi soprattutto nel riciclaggio del denaro, ma la 'ndrangheta crotonese qui è prevalente ed è più difficile da riconoscere".
COSA NOSTRA "INVESTE" IN VENETO
MATTINO DI PADOVA 11 FEBBRAIO 2018
La scoperta di consistenti investimenti economici nel vicentino, a Montecchio, curati da Cristoforo Palmieri, un imprenditore ritenuto vicino ai clan di Gela, riporta alla mente altri episodi che collegano il Veneto con la criminalità gelese e in generale della provincia di Caltanissetta. Secondo gli inquirenti Cristoforo Palmieri era garante degli investimenti per i diversi gruppi mafiosi gelesi tra cui la famiglia Rinzivillo, antagonista degli Emmanuello, che nella complessa geografia di Cosa nostra, risulta da sempre alleata dei Madonia, famiglia a capo del mandamento di Caltanissetta. Un'alleanza che deve aver avuto deve aver avuto delle ripercussioni anche in Veneto, come vedremo. Nel 2010 i carabinieri di Chioggia stroncano un traffico di cocaina gestito anche dalla famiglia gelese dei Curvà, parenti della moglie di Palmieri. La droga proveniva dalla Colombia e veniva poi smistata tra Spagna e Veneto. Il traffico era orchestrato dai gelesi Angelo Curvà, Salvatore Lopez, Nunzio Ferracane e Ignazio Missud. Ferracane e Missud in particolare, titolari della ditta edile «Fe. Mi. srl», erano residenti a Chioggia da una quindicina d'anni. I quattro sono stati condannati nel dicembre del 2017 a pene variabili tra i quattro e i quattro anni e mezzo. Il commercio era stato scoperto in seguito ad un denunciato tentativo di estorsione avvenuto a Chioggia ai danni di due piccoli imprenditori edili siciliani. Ma è sempre Vicenza a far registrare una certa consuetudine della criminalità gelese e nissena in Veneto. Nel 2010 viene arrestato Massimo Dall'Asta di Caltanissetta implicato in giri di estorsione ai danni di imprenditori edili. A Montecchio, lo sesso paese dove sono stati sequestri ieri i beni intestati all'imprenditore Palmieri, nel 2016, viene bloccato dai carabinieri un personaggio di primo piano della mafia gelese alleata ai Madonia, Giuseppe Barbieri, considerato il vero e proprio reggente della cosca mafiosa di Gela. Ritornando indietro nel tempo scopriamo che lo stesso "Piddu" Madonia, rappresentante provinciale del mandamento di Caltanissetta, in provincia di Vicenza, a Longare, ci ha vissuto per quasi dieci anni, impiegato in una ditta vicentina con forti interessi in Sicilia, fino alla cattura avvenuta nel 1992. "Dopo Salvatore Riina veniva lui" disse di Madonia, il pentito Leonardo Messina. Spostandoci di pochi chilometri e di pochi anni scopriamo che Pasquale Messina, pluriomicida, appartenente alla cosca retta dallo stesso "Piddu", viene arrestato, nel 1999 a Bassano del Grappa, dopo sette anni di latitanza. Tornando nel vicentino, a Trissino, nel 2006, viene sventato dalla polizia un tentativo di sequestro di persona ai danni di un orafo vicentino da parte di cinque affiliati alla mafia nissena. Ricorrenze di un certo interesse, verrebbe da pensare.
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MATTINO DI PADOVA 10 FEBBRAIO 2018
AGENDA
STASERA 15 FEBBRAIO ORE 21.00 SALA LA BRENTA - VIGODARZERE

DOMANI 16 FEBBRAIO ORE 21.00 VIA BRENTA 7 - SAN MARTINO DI LUPARI

DOMENICA 18 FEBBRAIO ORE 12.30 PRANZO DEI 500 - STANGHELLA

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