UNA SCONFITTA DA ANALIZZARE PER NON RIPETERE GLI ERRORI
I dati elettorali devono essere studiati con attenzione per comprendere le scelte dei cittadini. Una forza politica che non si interroga sui risultati (positivi e negativi) delle elezioni, è destinata all’insuccesso. Purtroppo è il caso del nostro partito che, nonostante le recenti sconfitte, non ha mai voluto analizzare i risultati e ha preferito minimizzare i segnali di difficoltà e proseguire in una strategia autoreferenziale che ha inevitabilmente portato alla batosta di domenica 4 marzo. Questa volta si spera che il gruppo dirigente del Pd voglia prendere atto della pesante sconfitta e cercare di comprendere cosa è successo senza demonizzare o emarginare chi chiede un’analisi seria del risultato. Sul piano del metodo è utile analizzare i dati partendo dai numeri assoluti. Infatti i dati espressi in percentuale indicano dei rapporti che sono interessanti se riferiti alla propria forza ma diventano fuorvianti se riferiti all’intero bacino elettorale. Per portare un esempio evidente basta ricordare gli errori di analisi dopo il celebre 40% dei voti raccolti dal Pd alle elezioni europee del 2014. In realtà in quell’occasione il Pd raccolse 11.172.727 voti, quasi un milione in meno dei 12.095.306 delle elezioni politiche del 2008 e 800 mila in meno delle politiche del 2006. Nel 2008 i 12 milioni di voti valevano il 33%; nel 2014 gli 11 milioni di voti valevano il 40%. I 12 milioni del 2008 e gli 11 milioni e 900 mila del 2006 vennero interpretati come un risultato modesto. Gli 11 milioni e 100 mila del 2014 vennero giudicati come un trionfo assoluto. Non aver voluto capire che quel 40% rappresentava gli stessi elettori (in realtà un milione in meno) del 2008 e del 2006 ha contribuito a determinare una sorta di delirio di onnipotenza nei gruppi dirigenti che ha portato a un atteggiamento autoreferenziale e di chiusura verso i corpi intermedi e verso diversi settori sociali. Non a caso diversi analisti ritengono che il declino del Pd abbia avuto origine nell’incapacità di leggere il dato delle europee del 2014. Da allora Renzi e i numerosi dirigenti che l’hanno sempre assecondato e seguito in modo acritico hanno trasformato il Pd in un soggetto chiuso alla società, convinto di essere autosufficiente e in grado di superare i rapporti con i corpi intermedi. Nonostante una azione positiva di governo da allora il Pd ha perso tutte le elezioni senza mai riflettere su quanto stava accadendo. E’ emblematica la vicenda del referendum costituzionale del dicembre 2016. Renzi dopo aver fatto una campagna basata sulla sua leadership e non sui contenuti (giusti e da rivendicare) della riforma in esame, si è dimesso da segretario per poi ripresentarsi e stravincere le primarie dopo pochi mesi. Questa decisione, accompagnata da atteggiamenti arroganti e offensivi verso chi poneva critiche e osservazioni e chiedeva di discutere, ha determinato l’abbandono e la delusione di molti elettori e iscritti, che non hanno seguito la scissione rancorosa e autodistruttiva di Bersani e altri, e che hanno perso la fiducia nel Pd. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il Pd ha perso migliaia di iscritti e milioni di elettori e si è trasformato in un soggetto sempre meno rilevante e chiuso alla società; il Pd in alcuni territori è diventato un comitato elettorale al servizio di amministratori locali o rappresentanti istituzionali. L’analisi seria del dato elettorale serve per cercare di salvare il futuro del Pd e per correggere gli errori con l’obiettivo di fermare la deriva di molti elettori e di rilanciare il progetto originale del Pd.
I numeri A livello nazionale il Pd perde 2.511.307 voti: il 29% della propria forza. In base agli studi sui flussi il Pd perde voti al nord verso Lega e al centro sud verso 5 stelle. La perdita di voti verso Leu è molto contenuta: Leu prende quasi gli stessi voti di Sel nel 2013. Gli elettori che nel 2013 avevano scelto le liste di Monti scelgono prevalentemente i 5 stelle e il centro destra. Sul piano sociale l’elettorato del Pd si è ridotto ulteriormente e si concentra tra gli anziani con più di 65 anni in pensione con basso titolo di studio. Nelle altre categorie di lavoratori, in particolare tra liberi professionisti e lavoratori autonomi, il Pd arriva ultimo tra i grandi partiti e anche nel pubblico impiego perde il suo tradizionale primato. I giovani, in particolare la fascia tra i 18 e i 25 anni, hanno votato in prevalenza per i 5 stelle. Tra i giovani il Pd è l’ultimo tra i principali partiti. (si vedano di seguito gli studi Swg, Cattaneo e Pagnoncelli). In Veneto il Pd perde 151.141 voti: il 24% della sua già modesta forza. Poiché anche i 5 stelle perdono 79.977 voti e Leu prende pochi voti in più di Sel nel 2013, appare evidente che larga parte degli elettori in uscita dal Pd hanno scelto la Lega. Il dato dei collegi uninominali è indicativo: con l’eccezione delle città maggiori il centrosinistra è ormai la terza forza e in molte aree è sotto il 20%. In provincia di Padova il Pd perde 30.128 voti: il 24 % dei suoi pochi voti. L’andamento è simile a quello regionale. Come a livello nazionale e regionale nelle zone dove il Pd è più debole (molti comuni dell’alta padovana e alcune zone della bassa) il Pd perde meno perché ha già meno voti. Il Pd è ormai irrilevante in molti comuni della provincia, in particolare nei centri più piccoli. Lega e 5 stelle si sono radicati anche in territori dove fino alle scorse elezioni politiche il centrosinistra era maggioritario.
Dove vanno i voti del Pd del 2013 Il Pd ha un ridotto flusso in entrata dalle liste di Monti e diversi, consistenti flussi in uscita verso Lega e 5 stelle, più contenuti verso Leu. La fuga verso la Lega è molto evidente in Veneto e Lombardia dove ha influito la posizione del “sì critico” in occasione del recente referendum sull’autonomia. Infatti quella scelta ha sdoganato la proposta indipendentista della Lega e ha legittimato un giudizio positivo sulle giunte regionali leghiste. Alcuni elettori del Pd hanno votato sì al referendum e poi, alle elezioni politiche, hanno confermato il consenso verso le proposte leghiste: hanno scelto l’originale (la Lega) rispetto alla copia (il Pd). La dinamica è bene esplicitata dal voto alle elezioni regionali lombarde. Il candidato del Pd, Gori, ha condotto buona parte della campagna rincorrendo la Lega sul tema dell’autonomia e ha votato sì al referendum, convinto di sottrarre voti alla stessa Lega. Il risultato è stato opposto alle attese: la Lega è cresciuta, nonostante la rinuncia del governatore in carica Maroni, e Gori ha preso molti meno voti del precedente candidato di centrosinistra. A questo elemento in Veneto si deve aggiungere l’assoluta assenza dell’opposizione del Pd in consiglio regionale. Zaia governa senza problemi e senza essere contrastato in modo significativo; non esistono iniziative o proposte alternative del Pd. Tale situazione ha rafforzato il ruolo di Zaia e della Lega e ha ridotto il Pd a un ruolo subalterno alla maggioranza e ai 5 stelle. L’irrilevanza e la marginalità del Pd in Veneto aiutano a spiegare lo spostamento di nostri elettori verso la Lega.
Padova Nel comune di Padova il Pd perde 8.303 voti, il 23,5% del proprio consenso. Anche qui l’andamento è simile a quello regionale. I 5 stelle perdono 3.303 voti; Forza Italia perde 9.777 voti. Lega cresce di 18.475 voti; fratelli d’Italia di 2.919 voti. Leu prende 5.846 voti rispetto ai 4.665 che aveva Sel. Incrociando questi dati con gli studi sui flussi elettorali appare chiaro che larga parte dei voti del Pd del 2013 si sposta verso la Lega e una parte molto ridotta si sposta verso Leu. Inoltre il Pd non attrae nuovi voti né da Sel né dalle liste di centro che nel 2013 avevano sostenuto Monti. Il tentativo di Renzi di collocare il Pd al centro dello schieramento politico e di intercettare il voto moderato e centrista è fallito. In città il dato conferma la tendenza in atto dal 2010: il Pd perde consensi nelle zone periferiche e tra i ceti più deboli e concentra i voti nelle zone residenziali centrali e tra i ceti con redditi (comprese le pensioni) più elevati e tra i dipendenti pubblici. Al contrario Lega cresce e si radica sempre di più nelle zone periferiche e tra i ceti popolari. Il dato della candidata Lazzarini (superiore a quello di Bitonci del I turno 2017) indica che la Lega è presente in modo stabile in città e che ha conquistato un consenso ideologico crescente, soprattutto a scapito del elettorato in passato di sinistra. Il candidato Verlato non riesce a raccogliere il consenso dei candidati Giordani e Lorenzoni al I turno del 2017 (circa 13.366 voti in meno). A spiegare questa differenza non basta il voto a Leu (5.846 voti). Appare evidente che una parte degli elettori di Giordani e Lorenzoni non hanno votato Verlato e hanno preferito Lega e 5 stelle. Il dato merita di essere analizzato con attenzione per comprendere come consolidare l’esperienza amministrativa in corso e come recuperare al centrosinistra i voti persi.
Adesso? Dopo una sconfitta così pesante renzi deve dimettersi ed è necessario aprire una riflessione su cosa fare per tornare al progetto originale del pd. Non servono primarie più o meno plebiscitarie o congressi senza dibattito come l’ultimo; non servono conte interne. Il nostro problema non è il leader. Renzi e la sua finta rottamazione hanno già prodotto danni gravi, forse irrecuperabili. Bisogna aprire il pd e avviare un percorso per ricostruire identità e programmi per una sinistra riformista. Per farlo bisogna essere umili e disponibili ad ascoltare critiche e osservazioni di chi ha scelto di non votarci e dei settori sociali che ci hanno abbandonato. L’esatto contrario di quanto è stato fatto dai nostri gruppi dirigenti. Il punto di partenza è un’analisi rigorosa dei dati elettorali.
Per saperne di più leggi gli approfondimenti:
ANALISI ISTITUTO CATTANEO
ANALISI FLUSSI 2018 SWG
SEGMENTI SOCIALI 2018 SWG
CORRIERE DELLA SERA 6 MARZO 2018
CORRIERE DELLA SERA 6 MARZO 2018
LA REPUBBLICA 6 MARZO 2018
LA STAMPA 7 MARZO 2018
LA REPUBBLICA 7 MARZO 2018
ANALISI DEI DATI
CONFRONTO RISULTATI PARTITI 2013 - 2018 (pdf)
CONFRONTO DATI UNINOMINALE - AMMINISTRATIVE DI PADOVA (pdf)
CONFRONTO RISULTATI 2013 - 2018 IN PROVINCIA (pdf)
Il Pd nelle zone della città Il Pd perde dappertutto con l’eccezione del centro storico, dove guadagna il 4% dei propri voti in assoluta controtendenza.
CONFRONTO RISULTATI PARTITI 2013 - 2018 (pdf)
Ecco il rapporto tra i voti del PD nel 2013 e quelli nel 2018

CONFRONTO RISULTATI 2013 - 2018 IN PROVINCIA (pdf)
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ANALISI SULLA SCONFITTA PD MATTINO DI PADOVA 7 MARZO 2018
Colpisce, nel disastro elettorale dem, la tendenza del gruppo dirigente a eludere l'impietoso messaggio delle cifre, imputando la responsabilità della sconfitta - di volta in volta - al vento populista e xenofobo, alla misconoscenza del contributo assicurato dal centrosinistra alla ripresa del Paese, all'arroganza respingente di Matteo Renzi, a un dazio ingiustamente versato al disagio sociale persistente. E allora, con l'ausilio di Alessandro Naccarato - un veterano parlamentare vicino ad Andrea Orlando che non ha smarrito l'abitudine di distinguere i fatti dalle opinioni - ricapitoliamo la recente dinamica elettorale e i numeri (arrotondati) a cascata, che documentano l'erosione progressiva e incessante dei consensi democratici.Con un'avvertenza iniziale, riguardante il fatidico 40% centrato dal Pd alle europee del 2014: «Un'illusione ottica, determinata dall'astensione che ha pressoché dimezzato i votanti, gonfiando una percentuale destinata a svanire allorché l'affluenza elettorale è tornata a quote fisiologiche». Il raffronto probante, allora, investe le politiche del 2013 allorché il partito bersaniano raccolse circa 8,6 milioni di consensi, crollati a 6,1 nelle urne del 3 marzo, mentre in Veneto la flessione si attesta sui 150 mila voti (da 628 a 477 mila).E nel Padovano? In ambito provinciale i 124 mila elettori calano a 94 mila, nella città di Padova la perdita è più contenuta sul piano percentuale ma tutt'altro che trascurabile: da 35 circa a 27 mila voti, un'emorragia pari a un quarto della dote precedente. «Cifre che parlano da sole», commenta Naccarato. E cita un esempio vistoso per tutti: «Alle politiche precedenti la formazione di Mario Monti raccolse 17.700 voti a Padova. Poi si sciolse e molti esponenti di Scelta Civica confluirono nelle nostra fila. Ecco, di quel flusso d'opinione noi non abbiamo intercettato nulla, è stato risucchiato da 5 Stelle e centrodestra. Evidentemente il Pd è stato giudicato irrilevante rispetto a quell'esperienza politica».Ma c'è di più. «A Padova la sfida all'uninominale tra Fabio Verlato e Arianna Lazzarini presenta analogie con il doppio turno alle comunali tra Sergio Giordani e Massimo Bitonci. Quest'ultimo, con una campagna martellante ad ampia visibilità mediatica, raccolse 39.400 voti mentre Lazzarini, sindaco di Pozzonovo pressoché sconosciuta nel capoluogo, è arrivata a 43 mila. Viceversa, se il blocco Giordani-Lorenzoni sfondò quota 51 mila, Verlato si ferma a 37.500; anche includendo i 5800 di LeU, all'appello mancano settemila elettori che hanno voltato le spalle al centrosinistra. La destra, invece, è compatta, radicata e in fase di crescita».Che dire? Sarebbe ingeneroso presentare il conto della disfatta al vertice padovano del partito, dove il dirigente di fresca nomina Vittorio Ivis si è battuto con coraggio, arginando la deriva e mantenendo, pur di misura, il primato sui leghisti in città. Assai peggio è andata al segretario regionale e sindaco di Noventa Alessandro Bisato, travolto dal centrodestra e preceduto anche dal candidato a 5 Stelle nel collegio che ha rieletto senatore Antonio De Poli; «La sconfitta nettissima, è cambiato totalmente il vento, abbiamo scontato la rabbia per i problemi legati all'accoglienza dei migranti e gli effetti della crisi che morte ancora. Errori di linea politica? Li verificheremo nelle sedi interne», le sue parole. Che molti tra idem interpretano come una felpata presa di distanza dalla politica del Nazareno.Ecco, degli otto deputati e senatori uscenti, uno soltanto - Alessandro Zan - farà ritorno in Parlamento e la ferale circostanza innesca il tam tam delle accuse incrociate, alimentata non soltanto da bocciati ed esclusi. «Io, che non ho mai appoggiato Renzi, dico che non è tempo di liti né di polemiche. Il segretario nazionale deve dimettersi davvero, non per finta, ma mi aspetto che faccia altrettanto il gruppo dirigente veneto», sbotta Naccarato «perché in Regione l'opposizione del Pd è irrilevante e in occasione del referendum sull'autonomia voluta da Zaia si è tradotta in un sostanziale assenso alle scelte della Lega, con conseguenze disastrose».Facile profezia, i pentiti del renzismo sono alle porte: «Già e sarà un triste spettacolo».
Per saperne di più leggi l'approfondimento
MATTINO DI PADOVA 7 MARZO 2018
AGENDA
VENERDI' 9 MARZO ORE 9.00 INCONTRO - LEZIONE SULLA LEGALITÀ E IL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA - LICEO CLASSICO DI ODERZO
LUNEDI' 12 MARZO ORE 18.30 PRESENTAZIONE DEL LIBRO LE MAFIE IN VENETO CASA DEL POPOLO - VIA PONTEVIGODARZERE

Come ho già avuto modo di spiegare nei mesi scorsi ho deciso di non candidarmi alle elezioni e pertanto questa è l'ultima newsletter che invio. In questi anni ho cercato di mantenere un rapporto con iscritti ed elettori attraverso incontri, iniziative e una newsletter contenente documenti, riflessioni e informazioni sull'attività parlamentare.
Mi auguro che lo strumento sia stato utile e vi ringrazio per l'attenzione.
Un sincero augurio di buon lavoro ad Alessandro Zan che è stato confermato deputato e un saluto a tutti
Alessandro Naccarato
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