Fassino: in Italia è forte la maturità
democratica
Intervista
di Simone Collini - L'Unità
19-2-2007
«La manifestazione si è svolta in modo pacifico e sereno. Un
risultato molto positivo, che prova che in Italia è forte la
coscienza e la maturità democratica». Piero Fassino guarda ai
cortei di Vicenza ma anche al futuro. Per il segretario Ds «non
ci sono le condizioni per cambiare la decisione presa dal
governo, ma c’è spazio per discutere come deve essere realizzata
la base».
Il segretario dei Ds: la manifestazione è stata serena e
pacifica. Un fatto importante. Ma l’allarme di Amato era
doveroso. Nell’Unione è possibile avere posizioni diverse, anche
in politica estera: se ne discuta apertamente. Ma poi, nel voto,
la maggioranza ritrovi responsabilità e compattezza.
Intanto, segretario Fassino, si tira un sospiro di sollievo
per l’assenza di incidenti.
«Credo che abbia contribuito anche l’appello ai partecipanti
venuto da tanti, anche da noi, a mettere al riparo la
manifestazione da chiunque la volesse inquinare».
C’era uno striscione che chiedeva di liberare i “compagni
arrestati”, però.
«Non credo proprio che la stragrande maggioranza dei
partecipanti abbia condiviso il carattere provocatorio di quello
slogan. È molto importante che la manifestazione si sia svolta
in modo pacifico e sereno proprio alla luce di quello che è
accaduto in questi giorni. E cioè il riemergere di una
tentazione, da parte di nuclei estremisti, di organizzarsi per
reintrodurre nella vita italiana il ricorso alla violenza».
Giusto trent’anni dopo il ‘77...
«Sappiamo tutti di essere in uno scenario diverso da quello di
trent’anni fa e tuttavia non può essere mai sottovalutato nessun
episodio di questo genere. Non solo perché abbiamo visto anche
in anni recenti, con gli assassini di Massimo D’Antona e Marco
Biagi, come le Brigate rosse possano colpire in modo tragico e
luttuoso. Ma poi perché la società italiana ha bisogno, per
affrontare i suoi problemi, di non essere turbata da un clima di
intimidazione. Il fatto che a Vicenza un così grande numero di
persone abbia manifestato le sue opinioni in modo pacifico,
respingendo qualsiasi suggestione di ricorrere a forme di
intolleranza e sopraffazione, è confortante e importante».
Veniamo al merito della manifestazione: si contesta la
decisione di ampliare la base Usa. Dovrete tenerne conto, non
crede?
«Sarebbe sciocco non vedere che c’è stata una partecipazione
ampia. Anche se non può sfuggire a nessuno che in questa
partecipazione convivevano due diverse motivazioni. C’è chi è
andato a Vicenza per manifestare contro la presenza di una base
americana comunque e in ogni caso, posizione legittima ma
fortemente ideologica. E c’è chi, soprattutto abitanti di
Vicenza, invece ha manifestato il disagio che vive per un
insediamento che percepisce come negativo per la vita della
città e per l’impatto ambientale che può avere. Di questo
secondo aspetto si può e si deve tenere conto».
Come?
«Non mi pare ci siano le condizioni per una revoca
dell’autorizzazione all’insediamento della base militare,
impegno assunto dal governo Berlusconi che il governo Prodi si è
limitato a rispettare. Però credo che si apra ora uno spazio che
deve essere percorso per discutere come deve essere realizzata
la base. Il governo ha tutte le possibilità di promuovere un
tavolo di concertazione insieme a Regione, Provincia, Comune,
per discutere con le autorità americane come procedere».
Tra i manifestanti, da Cento a Casson, c’è chi polemizza per
l’allarme venuto nei giorni scorsi da Amato.
«Allarmi doverosi e cautelativi. Se fosse successo qualcosa e il
ministro dell’Interno non avesse detto nulla, gli si sarebbe
rimproverato di non aver prestato sufficiente attenzione. Amato
si è semplicemente limitato a evocare i rischi in modo tale che
gli organizzatori della manifestazione potessero mettere in
essere tutte le misure per evitarli. Quindi da questo punto di
vista l’atteggiamento di Amato ha contribuito a favorire una
manifestazione pacifica».
E il fatto che al corteo abbiano partecipato leader di forze
dell’Unione, non vi crea problemi?
«Non è un mistero che sulla base americana di Vicenza c’è nella
maggioranza una diversità di posizioni. Ne prendiamo atto».
Questa diversità rischia di riproporsi al momento di votare
il rinnovo della missione in Afghanistan, però. Come pensate di
evitare spaccature?
«Mercoledì il ministro D’Alema esporrà in Parlamento le linee
della politica estera italiana. Sottolineerà come questo governo
abbia messo in campo una politica estera nuova, che ha
restituito all’Italia profilo, ruolo e funzione sulla scena
internazionale che invece con Berlusconi avevamo del tutto
perso. Questo ruolo lo abbiamo soprattutto affermato con una
politica di forte impegno per la sicurezza, la stabilità e la
pace. Abbiamo fatto rientrare i soldati italiani dall’Iraq,
coerentemente con il giudizio negativo che di quella guerra
abbiamo sempre dato, ma al tempo stesso abbiamo riconfermato il
forte impegno di presenza politica e militare dell’Italia nei
Balcani e abbiamo assunto un ruolo di guida della presenza dei
Caschi blu in Libano. In questo contesto confermiamo anche la
nostra presenza in Afghanistan, dove siamo su mandato Onu
insieme a tutti gli altri paesi europei, per una missione che
punta a debellare i santuari di Al-Qaeda e impedire ai Talebani
di tornare al potere».
È ciò che viene contestato da esponenti della sinistra
radicale. E al Senato bastano pochi voti contrari per creare
problemi.
«Penso che anche chi non condivide la presenza militare in
Afghanistan abbia un mezzo per manifestare questo suo dissenso.
Intervenga nel dibattito in Parlamento. Certamente quella
posizione non solo verrà verbalizzata ma avrà ampio spazio sui
giornali. Quindi avrà tutta la visibilità che si ritiene
necessaria. Ma questo non impedisce che al momento del voto,
secondo un principio di lealtà e di unità della maggioranza,
anche chi è in dissenso esprima un voto favorevole al decreto.
Mi auguro che prevalga questo senso di responsabilità».
Lo strumento della fiducia potrebbe essere più convincente,
non crede?
«È il governo che deve valutare. Vedremo in base a ciò che
matura nei prossimi giorni cosa sia più opportuno e utile».
Ipotizziamo che non venga posta la fiducia e che voti il
decreto anche l’opposizione.
«Non credo che questo debba essere vissuto come un problema o un
dramma. Perché il centrodestra non voterebbe quel decreto per
fare un favore al centrosinistra, ma perché corrisponde a un
interesse del Paese. Se l’opposizione vota un provvedimento del
governo perché lo considera giusto siamo di fronte a una regola
normale della democrazia parlamentare».
Se però i voti della Cdl fossero determinanti per
l’approvazione del decreto non si aprirebbe un problema
politico?
«Sarebbe certamente un problema politico ma non ne deriva la
conseguenza di una crisi di governo. Per due ragioni. La prima,
perché se il governo presenta un provvedimento che viene
approvato dal 90% del Parlamento diventa difficile spiegare che
quel governo debba dimettersi. E in secondo luogo perché anche
durante il governo di centrodestra è accaduto che importanti
provvedimenti di politica estera siano stati approvati con i
voti determinanti del centrosinistra. Uno per tutti la ratifica
del trattato costituzionale europeo, che la Lega non votò».
C’è anche un altro provvedimento su cui rischiate di non
avere la maggioranza, quello sulle unioni di fatto. Preoccupato?
«E perché? Si tratta di un disegno di legge innovativo,
equilibrato e giusto, che riconosce dei diritti civili che
chiunque può considerare di buon senso e condividere».
La Chiesa non condivide.
«Ritengo significativa sia la presa di posizione a favore di
questo provvedimento di sessanta parlamentari cattolici della
Margherita che le opinioni espresse da autorevoli esponenti
della gerarchia cattolica, dal vescovo di Pisa al cardinale di
Milano. Ciò dimostra che legge non è né estrema né pericolosa
per le famiglie, come settori clericali integralisti sostengono,
e che dunque anche l’esame in Parlamento può svolgersi in modo
più sereno di come si è svolto finora».
Il Papa ha appena parlato di “pressioni di lobbies capaci di
incidere sui processi legislativi” contro la famiglia.
«Io sono tra quelli che ha sempre ritenuto sbagliato chiedere
alla Chiesa di tacere. Perché non si chiede a nessuno di
rinunciare alle proprie posizioni e perché sarebbe curioso che
la Chiesa non esprima le sue opinioni in materie così rilevanti
sul piano etico e morale. Però proprio perché difendo il diritto
della Chiesa di parlare, dico con altrettanta forza che hanno
diritto di parlare anche tutti coloro che hanno un’idea diversa.
E quindi non capisco a quale lobby si possa fare riferimento. Se
si riconosce a ciascuno il diritto di esprimere le proprie
valutazioni, non si deve demonizzare nessuna opinione».
E la nota “impegnativa” annunciata dalla Cei?
«Un conto sono le ragioni di una fede, che sono non solo
legittime ma che vanno anche ascoltate, altra cosa è la funzione
dello Stato, che non può adottare nelle sue decisioni un punto
di vista etico religioso. Compito dello Stato è garantire
l’uguaglianza dei diritti dei cittadini, il rispetto delle
scelte di vita di ciascuno e l’esercizio della libertà di ogni
persona nella responsabilità. È sulla base di questi tre criteri
che lo Stato legifera. E la legge sulle coppie di fatto
corrisponde pienamente a questa impostazione. È opportuno che
tutti si sforzino di concorrere a un clima più sereno e più
civile, a favorire un confronto che consenta un esame
parlamentare liberato da ogni forma di radicalità».