RITIRATO IL DECRETO-TRUFFA SULLE
QUOTE LATTE
MA L'IMBROGLIO CONTINUA
Alla fine il Governo ha ritirato il
decreto legge sulle quote latte che
favoriva gli spafonatori a danno
degli allevatori onesti. Si tratta
di una vittoria dell'opposizione e,
in particolare, del Partito
Democratico che si è sempre battuto
in Parlamento contro questa palese
ingiustizia.
Purtroppo non è finita qui. La
destra e la Lega Nord, infatti, pur
di favorire pochi allevatori che
hanno continuato ad agire
nell'illegalità, ora pretende di
inserire le norme contestate "salva
disonesti" sulle quote latte in un
altro decreto legge in discussione
alla Camera dei Deputati, quello
sugli incentivi anticrisi al settore
auto. Come se non bastasse, il
Governo ha posto e ottenuto il voto
di fiducia sul decreto così
modificato nato dalla fusione di
questi due provvedimenti, azzerando
quindi ogni possibilità di
discussione e confronto
parlamentare.
E' un vero
e proprio colpo di mano, un segno
evidente dell'arroganza della
maggioranza di Governo che calpesta
le prerogative del Parlamento e non
permette una discussione trasparente
sul tema delle quote latte.
Così facendo, il messaggio che la
destra e la Lega Nord vogliono
mandare al Paese è tanto chiaro
quanto inaccettabile: chi fa il
furbo e non rispetta le regole non
solo viene premiato ma addirittura
viene messo nelle condizioni di
poter continuare a farlo a spese di
tutti i contribuenti.
Per questi motivi, il Partito
Democratico continuerà ad impegnarsi
con determinazione in Parlamento per
contrastare l'azione dell'Esecutivo
ed evitare la diffusione di
comportamenti illegali che poi
vengono di fatto condonati dal
Governo, dando un pessimo segnale a
tutto il Paese.
L'intervento dell'On. Naccarato
contro il decreto del Governo
sulle quote latte
Camera dei
Deputati, 25 marzo 2009
Signor
Presidente e colleghi, gli
emendamenti presentati dal Partito
Democratico hanno la finalità di
migliorare il decreto-legge in esame
e mirano a raggiungere tre obiettivi
fondamentali. Innanzitutto, quello
di assicurare che la distribuzione
delle quote venga fatta in modo
equo, tenendo conto di chi è già in
regola sulla base della legge n. 119
del 2003 e di chi, nel passato, ha
prodotto una maggiore quantità di
latte sapendo che stava violando la
legge.
Questo è un punto di grande
importanza, perché abbiamo provato a
spiegare nella discussione generale
e poi in Commissione, prima al
Senato poi alla Camera, che al
decreto-legge in esame noi avremmo
preferito l'applicazione integrale
della legge in vigore. Da questo
punto di vista vi è stata secondo me
una grande imprecisione e una grande
sottovalutazione, perché quella
legge fu frutto di un'intesa molto
larga in Parlamento, venne promossa
dall'allora Ministro Alemanno (e
ciò è stato ricordato con un certo
orgoglio da alcuni parlamentari del
centrodestra), eravamo e siamo in
presenza di una buona legge e non si
capisce per quale ragione questa
normativa non sia stata applicata.
Tra l'altro, si tenga conto che
quella legge aveva già prodotto una
scrematura a suo tempo ed era stata
immaginata ed attuata con
l'obiettivo di mettere la parola
fine alla questione delle quote, che
durava da lungo tempo. Sulla base di
quella legge, molti allevatori e
molti produttori fecero sacrifici
importanti, si indebitarono, si
assunsero dei rischi per rientrare
nella legalità e rispettare le
regole. Il decreto-legge in esame dà
uno schiaffo a queste persone e
premia chi, invece, in presenza di
quella legge rifiutò comunque di
aderire ad un principio di legalità.
Il secondo obiettivo è quello di
impedire che il decreto-legge in
esame introduca un premio verso chi
ha agito nell'illegalità. Anche qui
si tocca un tasto secondo me molto
importante. Peraltro, lo dicevano
alcuni colleghi prima di me, siamo
in presenza di alcuni conflitti di
interesse anche abbastanza palesi in
questa discussione, perché vi è, ad
esempio, un parlamentare che ha
totalizzato, nell'arco di questi
anni, un milione 700.000 euro di
multe e che avrebbe vantaggi
consistenti se il decreto-legge in
esame dovesse venire convertito in
legge. È un punto che va
considerato, bisogna tenerne conto:
visto che spesso si parla di
conflitti di interesse su larga
scala, qui siamo in presenza di
conflitti magari più piccoli, ma che
sono comunque molto grandi rispetto
al tema di cui si sta parlando.
Quindi, vi è il tema della legalità
e del rispetto delle regole.
Il terzo obiettivo è quello di
rispettare le competenze delle
regioni, assegnando ad esse le
funzioni che la legge già
attribuisce loro per l'assegnazione
finale delle quote. Anche qui siamo
in presenza della legge di cui
parlavo prima, che aveva risolto
questo aspetto, dando competenze
importanti su una materia di grande
rilevanza, quale l'assegnazione
delle quote, alle regioni, che, in
questo caso, vengono completamente
scavalcate dal decreto-legge in
esame e vedono addirittura
l'introduzione di un commissario
che, in qualche modo, richiama il
massimo del centralismo in termini
di funzioni e di potere. Questi sono
i tre punti fondamentali che tengono
insieme gli emendamenti del Partito
Democratico con i quali vogliamo
correggere le scelte sbagliate
contenute nel decreto-legge in
esame.
Vi sono due ingiustizie che vanno
cancellate assolutamente e mi auguro
che gli emendamenti, da questo punto
di vista, possano essere accolti
nelle prossime ore. Il primo è
quello del rispetto delle regole,
tema di cui si parla e viene evocato
molto spesso, in particolare anche
dai parlamentari eletti nelle liste
di maggioranza (penso alla forza
politica anche del Ministro
competente in materia); ci si
riempie la bocca di regole e di
legalità, poi quando bisogna
prendere provvedimenti che vanno in
questa direzione evidentemente si
preferisce premiare chi invece ha
fatto dell'illegalità e
dell'aggiramento delle norme un modo
di vivere e di operare. Peraltro
attenzione, perché qui si tocca una
materia molto delicata in termini
anche di concorrenza: infatti,
siccome siamo in materia di
produzione, capite che se noi
aiutiamo chi non ha rispettato le
regole favoriamo di fatto un
meccanismo di concorrenza sleale e
danneggiamo chi, invece, facendo la
stessa cosa ma in maniera regolare
si trova a doverlo fare in
condizioni assolutamente
svantaggiose.
Il secondo tema è quello del
rispetto delle competenze e dei
ruoli delle regioni.
Se non ho capito male quanto
riportato dalle agenzie di stampa,
mi sembra che, mentre sul tema
dell'edilizia e del cosiddetto piano
casa, vi è una discussione in seno
alla maggioranza che, in qualche
modo, ha considerato il ruolo delle
regioni e degli enti locali, in
questa materia, sul ruolo delle
regioni si passa sopra, in
cavalleria. E siamo in presenza
anche di regioni - è stato citato,
in precedenza, il caso dell'Emilia
Romagna - che non solo avevano
voluto mantenere la competenza, ma
la avevano anche esercitata e si
erano rese promotrici di un criterio
di assegnazione delle quote.
Credo che procedere per
decreto-legge in questa materia,
spogliando le regioni di questa
competenza, sia un atto di arroganza
e di centralismo, che ricorda
stagioni che mi auguravo fossero
superate, soprattutto, nel momento
in cui questo Parlamento si parla
molto di federalismo e del ruolo
delle regioni e degli enti locali.
Questi sono i punti attorno ai quali
abbiamo provato a predisporre delle
proposte emendative, che, come
avrete visto, sono tutti di merito e
cercano di incidere e di migliorare
il provvedimento. Da questo punto di
vista, mi è parso di aver colto in
alcuni interventi dei colleghi del
«nascente» Popolo della Libertà, che
inizia a manifestarsi una certa
insofferenza tra chi, con
riferimento alla precedente
legislatura di Governo del
centrodestra, attorno alla legge
promossa dal Ministro Alemanno,
aveva incardinato il ripristino
della legalità sulle quote latte, e
oggi si vede palesemente beffato,
sbugiardato e tradito da un
provvedimento del Governo che va in
assoluta controtendenza rispetto a
ciò che si era fatto. Mi auguro che
questi segni di nervosismo e di
differenza si possano manifestare
apertamente in occasione delle
votazioni delle proposte emendative.
Vi sono alcuni colleghi del Popolo
della Libertà che hanno presentato
emendamenti assolutamente
condivisibili, che coincidono - mi
auguro che i colleghi che hanno
seguito il provvedimento se siano
accorti - con quelli presentati dal
gruppo dell'Unione di Centro e dal
Partito Democratico. Ciò significa
che in questo provvedimento vi è
qualcosa di più profondo che non
funziona. Non vi è solo un aspetto
politico: il fatto di voler premiare
i furbi e di non voler rispettare la
legalità ha colpito, ed è stato
colto al di là dell'appartenenza
politica e da come le forze
politiche si sono schierate sul
provvedimento. Spero che, in
relazione a questo aspetto, nelle
prossime ore, un po' di coraggio
possa portare all'approvazione di
alcuni emendamenti migliorativi del
testo.
Con riferimento alle proposte
emendative, insistiamo, in
particolare, su sei questioni. La
prima è legata al fondo dedicato ai
produttori che hanno rispettato le
regole: chiediamo che vi siano
risorse adeguate. Poiché in
relazione a questo aspetto, sono
stati ricordati i «balletti» in
Commissione bilancio ed i pareri
espressi, bisognerebbe avere il
coraggio di dire che i fondi non vi
sono e che il provvedimento, di
fatto, non ha una copertura
finanziaria adeguata. Nelle promesse
iniziali del provvedimento, si
parlava di 500 milioni di euro. Di
tali 500 milioni non vi è traccia da
nessuna parte; poi, sono diventati
25 milioni, poi, 35 milioni; ora, si
prova a sostenere che sono 45
milioni. Credo che se si vuole
davvero aiutare il settore e
risolvere il problema, sia
necessario destinare a tale
questione le risorse che servono
davvero. Se la quantificazione di
500 milioni di euro corrisponde alle
esigenze vere del settore, allora è
necessario prevedere 500 milioni di
euro. Non credo che sia un problema
di Bruxelles. A mio avviso, infatti,
ci si è vantati, in modo un po'
superficiale, di aver fatto la «voce
grossa» a Bruxelles e di aver
portato a casa chissà cosa. Credo
che il problema sia qui a Roma e che
sia necessario, in sede di Governo
centrale, trovare le risorse che,
invece, vengono utilizzate per altre
questioni e, magari, buttate via in
sprechi di varia natura e non
utilizzate nel settore di cui si sta
parlando.
La seconda questione è relativa
all'ormai famigerato, oserei dire,
articolo 4, comma 7: al Senato si
era ottenuto un punto di mediazione
dignitoso, mentre in Commissione
alla Camera, con l'introduzione del
termine «reiterato» si è deciso
sostanzialmente di introdurre, per
chi ha accettato la rateizzazione
del debito, la possibilità di
eludere l'obbligo di pagamento delle
rate, mantenendo contemporaneamente
la titolarità delle quote assegnate.
Siamo alla furbizia nella furbizia,
all'eccesso, mi sentirei di dire,
signor Ministro, nell'aggirare le
regole e le norme. Probabilmente, la
questione era stata colta al Senato
e si era deciso di migliorarla, ma,
in questa sede, si è voluto
scavalcare anche quel poco di lavoro
positivo che era stato svolto
nell'altro ramo del Parlamento. In
questo modo, il termine «
reiterato», ha il senso della beffa
rispetto a tutti coloro che si sono
messi in regola negli anni
precedenti.
Peraltro, ciò aprirà una serie di
contenziosi legali che credo
difficilmente si riuscirà a
fronteggiare, aprendo le porte, di
fatto, ad un altro provvedimento di
sanatoria da assumere nei prossimi
mesi.
La terza questione: chi aderisce
alla rateizzazione delle multe
precedenti, come previsto - non
ripeto l'argomento - dalla legge n.
119 del 2003, deve rinunciare ad
ogni azione giudiziaria intrapresa.
Anche in questo caso, si tratta di
un criterio minimale di giustizia
rispetto a chi ha compiuto scelte
diverse, altrimenti creiamo dei
doppi privilegiati rispetto a chi si
è attenuto al rispetto della norma.
Quarta questione: va modificato
l'ordine di priorità di assegnazione
delle quote; gli affittuari di quote
devono andare al secondo posto e gli
splafonatori devono andare al terzo.
Si tratta, anche qui, di un criterio
di giustizia minimale, anche sulla
base dei tanti ragionamenti svolti
negli anni scorsi, in particolare
proprio nel 2003, quando venne
varata la legge di cui si è parlato
a lungo. Quinta questione: la
rateizzazione deve essere contenuta,
secondo il nostro punto di vista, in
venti anni - per ragioni che non
credo di dover spiegare
all'Assemblea - perché questo
darebbe un'armonia e una razionalità
maggiore all'argomento. Infine,
prima dell'assegnazione delle quote,
i soggetti interessati dovranno
pagare almeno una rata di multe
pregresse.
Come si vede, signor Ministro e
colleghi, il tentativo
dell'opposizione - e, mi pare di
capire e insisto su questo punto,
anche di una parte delle forze di
maggioranza - è quello di migliorare
il testo del decreto-legge, perché è
evidente a tutti che siamo in
presenza di una serie di
ingiustizie, di favori e di
premialità rispetto a chi si è
comportato in maniera irregolare ed
ha violato palesemente la legge
nell'arco di questi anni. Parliamo
di una minoranza di soggetti, a
fronte di una larga maggioranza di
persone che, invece, ha scelto, in
maniera faticosa e difficile, di
assumersi la responsabilità di
quanto era stato fatto in precedenza
e di sanare la situazione
precedentemente violata.
Se il Governo davvero andrà avanti
su questa strada e non verranno
accolte le proposte emendative di
cui parlavo poco fa, credo che ci
troveremo di fronte ad un atto di
grande gravità, a una sorta di
condono mascherato che rischia di
aprire un fronte di ulteriore
illegalità nei prossimi mesi e nei
prossimi anni, perché il messaggio
che si manda al Paese è che chi fa
il furbo e chi non rispetta le
regole viene premiato e viene messo
in condizione di continuare a farlo
a spese di tutti i contribuenti.
Credo che sarebbe un pessimo segnale
che il Parlamento può fare ancora in
tempo a correggere.
Fini minaccia la ‘tagliola’
per spingere la Camera a una
soluzione e il governo ritira il dl
agricolo per salvarlo oggi con la
fiducia
Quote latte inglobate
nel decreto incentivi
Si
è sfiorato lo scontro tra allevatori
pro e contro davanti a Montecitorio
Il Mattino
di Padova, 1 aprile 2009
ROMA. Il decreto legge
incentivi e quello ‘quote latte’,
due provvedimenti che hanno
viaggiato finora appaiati alla
Camera, con trattative parallele sui
due tavoli, finiranno oggi in un
unico testo. Le norme sulla filiera
lattiero-casearia fatte decadere in
Aula, saranno in un maxiemendamento
al decreto auto su cui oggi il
governo metterà la fiducia. «Io -
dice Umberto Bossi - mica li lascio
soli ‘sti poveretti allevatori.
Domani mettiamo la fiducia così
quote latte ed automobili vanno
insieme».
Si chiude così la vicenda del
travagliatissimo provvedimento
‘bandiera’ della Lega ma avversato
dagli allevatori ‘onesti’ che ieri
sono tornati a manifestare in piazza
Montecitorio e hanno esultato alla
notizia dello stop al decreto che
scadeva il 6 aprile. Ma «il decreto
quote latte - puntualizza il
capogruppo leghista alla Camera,
Roberto Cota - non verrà ritirato:
ci sarà una fusione con il decreto
incentivi e questo ne garantirà
l’approvazione superando gli
ingorghi parlamentari di questi
giorni». Ingorghi nati
dall’ostruzionismo di Udc e Pd.
Tanto che il presidente della
Camera, Gianfranco Fini con i
capigruppo arriva a usare la
‘minaccia’ della tagliola, uno
strumento più volte ventilato, da
Violante in poi, e che consente alla
presidenza di fissare il momento del
voto finale by-passando l’esame
degli emendamenti. Una minaccia
anche per il governo visto che una
scelta del genere, senza precedenti,
ha spiegato Fini, inasprisce il
confronto parlamentare, con il
rischio di ridurre a quel punto
l’Aula a una vera e propria cayenna
per la maggioranza, «praticamente un
Vietnam». A quel punto il governo
avrebbe accettato di lasciar
decadere il decreto, infilandolo nel
dl incentivi, ma nella versione
uscita dal Senato, considerata
dall’opposizione e da alcuni settori
del mondo agricolo un «male minore»
rispetto al testo uscito dalla
Commissione Agricoltura di
Montecitorio quantomeno perchè
contiene l’obbligo di rinuncia al
contenzioso per gli ‘splafonatori’
che vogliano accedere alle
ripartizione delle nuove quote
latte.
L’opposizione è scandalizzata
dall’inserimento di un provvedimento
nell’altro. «C’è estraneità di
materia», attaccano Pier Ferdinando
Casini e Antonio Di Pietro. La
presidenza, cui spetta il vaglio di
ammissibilità, vuole vedere il
maxi-emendamento prima di ogni
valutazione.
E ieri allevatori contro il decreto
quote latte e allevatori a favore
hanno manifestato davanti a
Montecitorio, mentre alla Camera si
decideva. La mattinata è cominciata
con forti tensioni fra i
dimostranti, soprattutto quando sono
arrivati gli allevatori pro-decreto
non autorizzati dalla Questura ed è
mancato poco che i pro e i contro
venissero a contatto. A distinguerli
solo i colori e le bandiere: i
pro-decreto con la mucca bianca e
nera dei Cobas; dall’altra parte le
bandiere dei ‘contro’, verdi per Cia
e bianche per Confagricoltura.
Diversi anche gli slogan. I
pro-decreto chiedevano al ministro
dell’agricoltura Luca Zaia «di
andare avanti», mentre dall’altra
parte si issava una manifesto di
Zaia truccato da Pinocchio.
LA SCHEDA
L'origine del decreto del
governo sulle quote latte
Il quadro di riferimento
Quello sulle quote latte è stato un
decreto legge che ha avuto origine
dal negoziato sulla verifica dello
stato di salute della politica
agricola comunitaria (Health check
della Pac) conclusosi a Bruxelles lo
scorso 20 novembre e che, per lo
specifico tema delle quote latte, ha
visto la conferma di quanto era
stato previsto nell’impianto di
proposta legislativa della
commissione europea.
Il
Governo ha parlato di un risultato
storico, ma non si capisce per chi e
perché.
Del
resto all’Italia è stato concesso un
ampliamento delle quote del 5%, come
per tutti gli altri partner europei,
ma il Governo esulta perché anziché
raggiungere il nuovo tetto di
produzione gradualmente, al nostro
paese è stato concesso di farlo in
maniera anticipata. Una misura che,
però, gli altri Paesi hanno concesso
all’Italia con un preciso obiettivo:
stabilizzare il mercato, sanando le
irregolarità di cui sono stati
protagonisti alcuni produttori
italiani (una modesta minoranza).
Il
rischio vero è che il risultato sia
storico non tanto per il comparto,
quanto per quei produttori che fino
ad oggi hanno trasgredito le regole,
a beffa di quelli che, invece, le
hanno rispettate mettendo a rischio,
in alcuni momenti, la sopravvivenza
stessa delle proprie aziende.
Se
questo è un risultato storico, cosa
è stato allora quello del 1999,
quando soltanto l’Italia riuscì a
portare a casa un aumento di 600.000
tonnellate di quote latte
all’interno di Agenda 2000?
Al di
la dei paragoni, è importante
evidenziare che questa politica
degli annunci non giova al paese.
L’agricoltura italiana affronta oggi
uno scenario fatto di mille
difficoltà, amplificate dalle sue
deficienze strutturali e
organizzative. Su questo occorre
riflettere. Altrimenti non si
capirebbe perché migliaia di
agricoltori sono pronti a scendere
nelle piazze per protestare.
Il decreto legge n. 4/2009 approvato
dal Senato
Il
decreto legge reca una serie di
disposizioni urgenti volte a
disciplinare la produzione nazionale
di latte in vista dell'imminente
avvio della prossima campagna
produttiva, per assicurare la
prioritaria assegnazione del
quantitativo nazionale garantito di
latte e la rateizzazione dei debiti
relativi alle quote latte.
Le
disposizioni dirette
all’assegnazione della maggiore
quota nazionale sono contenute
nell’articolo 1, comma 2, che
novella il D.L. 49/2003, recante una
riforma organica della normativa
sull'applicazione del prelievo
supplementare nel settore lattiero
caseario, introducendo il nuovo
articolo 10-bis. In deroga a quanto
previsto dal citato D.L. 49/2003,
sia sul piano procedurale sia in
relazione ai criteri
dell’assegnazione, si prevede che i
descritti aumenti della quota
nazionale, anziché essere ripartiti
tra le regioni e da queste
riassegnati alle aziende, siano
attribuiti alla riserva nazionale e
quindi assegnati (dal Commissario
istituito dall’articolo 4)
prioritariamente alle aziende che
nel periodo 2007/2008 abbiano
realizzato consegne eccedenti
rispetto alla propria quota e che
risultino ancora in produzione nella
campagna di assegnazione. Il nuovo
articolo 10-bis specifica in
dettaglio condizioni, limiti e
priorità per le assegnazioni, che
sono peraltro revocate qualora le
imprese beneficiarie non siano o non
si mantengano in regola con i
pagamenti del prelievo supplementare
dovuto sulle eccedenze.
L’articolo 2 istituisce presso
l’Agenzia per le erogazioni in
agricoltura (AGEA) il Registro
nazionale dei debiti, nel quale sono
iscritti, mediante i servizi del
Sistema informativo agricolo
nazionale, tutti gli importi
accertati a debito dei produttori
agricoli, risultanti dai registri
degli organismi pagatori
riconosciuti nonché quelli
comunicati dalle regioni e dalle
province autonome, connessi a
provvidenze e aiuti agricoli dalle
stesse erogati. Nel Registro sono
iscritti anche gli importi dovuti a
titolo di prelievo supplementare del
regime delle quote latte;
l’iscrizione nel Registro
costituisce titolo esecutivo ai fini
delle procedure di riscossione
coattiva nei confronti dei
produttori interessati.
L’articolo 3 prevede (comma 1) che i
produttori agricoli possano chiedere
la rateizzazione dei debiti iscritti
nel Registro nazionale, derivanti
dai mancati pagamenti del prelievo
latte addebitati allo Stato italiano
dalla Commissione europea. Il comma
2, oltre a fissare la soglia minima
del debito che consente la
rateizzazione (25.000 euro),
definisce la durata massima della
rateizzazione. In particolare, a
seguito delle modifiche introdotte
dal Senato, la rateizzazione può
avere una durata:
§ non superiore a 13 anni per
i debiti di importo inferiore a
100.000 euro;
§ non superiore a 22 anni per
i debiti compresi tra 100.000 e
300.000 euro;
§ non superiore a 30 anni per
i debiti superiori a 300.000 euro.
L’articolo 4 disciplina le modalità
di rateizzazione e la connessa
sospensione delle procedure di
recupero (commi da 1 a 5). Tali
disposizioni sono state in più punti
modificate dal Senato, anche con
l’inserimento della previsione di
una rinuncia ai contenziosi in
essere come requisito per accedere
alla rateizzazione. Si prevede,
inoltre, la nomina con decreto del
Presidente del Consiglio dei
ministri di un Commissario
straordinario che, avvalendosi degli
uffici dell’AGEA, provvede:
§ ad assegnare le quote rese
disponibili dall’aumento della quota
nazionale;
§ a definire le modalità di
applicazione della rateizzazione;
§ a decidere sulle richieste
di rateizzazione entro 3 mesi dalla
domanda.
Il
Commissario resterà in carica sino
al 31 dicembre 2010.
Sono
inoltre disciplinati (commi 6, 7 e
8) i casi di revoca delle
assegnazioni di quote e di decadenza
dal beneficio della rateizzazione.
Il testo approvato dal Senato
prevede che gli organismi pagatori
di provvidenze ed aiuti comunitari e
nazionali recuperino per
compensazione quanto dovuto dai
produttori che hanno chiesto la
rateizzazione, fino a concorrenza
dell’importo della prima rata.
L’articolo 5 stabilisce che le
disposizioni sulla rateizzazione dei
debiti relativi alle quote latte
sono applicabili per l’intero
periodo della campagna lattiera
2008-2009.
L’articolo 6, modificato nel corso
dell’esame al Senato, prevede (comma
1) che le somme versate dai
produttori di latte ai sensi del
decreto in esame affluiscono ad un
apposito conto di tesoreria, per
essere destinate all'estinzione
delle anticipazioni di tesoreria
utilizzate in favore dell'AGEA, in
relazione alla mancata riscossione
dei crediti del settore agricolo. Si
stabilisce altresì che le eventuali
residue disponibilità del predetto
conto di tesoreria siano destinate
al settore lattiero caseario per
interventi rivolti alle operazioni
di ristrutturazione del debito, alle
misure di accesso al credito
previste dall'articolo 17 del D.
Lgs. 29 marzo 2004, n. 102
(essenzialmente garanzie concesse
dall’ISMEA) e a misure di
accompagnamento per il settore.
Il
comma 1-bis, introdotto dal Senato,
assegna alle misure di accesso al
credito a favore delle imprese
operanti nel settore agricolo
previste dal già citato articolo 17
del D. Lgs. 102/2004, la somma di 35
milioni di euro per l’anno 2009, da
destinarsi ai produttori che hanno
acquistato quote latte
successivamente al periodo di
applicazione del D.L. 49/2003.
Durante l’esame al Senato sono stati
introdotti gli articoli aggiuntivi
6-bis e 6-ter, vertenti entrambi su
questioni di previdenza agricola.
L’articolo 6-bis fornisce, ai fini
previdenziali, l’interpretazione
autentica dell’articolo 3, comma 3,
della legge 457/1972, in materia di
indennità giornaliera di malattia
per i lavoratori agricoli.
L’articolo 6-terproroga al 31
dicembre 2009 le agevolazioni
contributive per le imprese agricole
operanti in determinate zone
svantaggiate, di cui all’articolo
1-ter del D.L. 3 novembre 2008, n.
171.
Considerazioni
Sulle
considerazioni di carattere
generale, in primo luogo, va detto
che sarebbe stato preferibile
applicare una legge già vigente, la
119 del 2003 - all’epoca votata da
larga parte della maggioranza e
dell’opposizione in Parlamento
all’insegna del partito
dell’agricoltura - dal momento che,
in un passato non lontano, ha
prodotto buoni esiti.
Per
esempio, quella legge individua
nelle Regioni gli organi deputati
all’amministrazione delle quote dei
rispettivi territori.
E’
strano che un Governo che spinge sul
Federalismo e dunque sul
protagonismo delle Regioni e dei
poteri locali, poi accentri nelle
proprie mani incombenze
squisitamente gestionali che già
oggi, a legislazione vigente, non
dovrebbe assumere.
Più
strano ancora appare tutto ciò in
relazione all’appartenenza politica
dell’attuale titolare del MIPAAF.
La prima lettura al Senato ha
introdotto alcune modifiche:
-
è
prevista la rinuncia espressa ai
contenziosi intrapresi per tutti
coloro che aderiscono alla
rateizzazione delle multe
pregresse (modifica introdotta
in seguito ad un parere
vincolante della Commissione
Bilancio e non per volontà del
Governo che si era sempre
dimostrato contrario).
-
è
stato stabilito che la figura
del Commissario Straordinario
che gestisce il sistema delle
quote sia individuato
all'interno dell'Amministrazione
del Mipaaf (prima era prevista
una nuova nomina)
-
è
stata abolita la franchigia del
5% per gli splafonatori che si
vedranno assegnate nuove quote.
Restano irrisolte una serie di
problematiche (alcune introdotte in
Commissione alla Camera) e,
pertanto, è necessario perseguire,
in sede di dibattito parlamentare,
uno schema di modifica così
articolato:
o
condizionare
l'assegnazione delle nuove quote
alla rinuncia ai contenziosi
completando così il percorso avviato
al Senato che ha stabilito che chi
aderisce alla rateizzazione deve
rinunciare ai contenziosi.
o
assicurare l’effettivo
pagamento delle multe prima
dell’assegnazione delle quote
facendo confluire in riserva
nazionale le assegnazioni previste
per i produttori con prelievo
supplementare non versato fino alla
definizione del procedimento di
rateizzazione. È un passaggio
fondamentale per condizionare la
rinuncia ai contenziosi
all'ottenimento delle nuove quote ed
assicurare l’effettivo pagamento
delle multe. Le quote devono essere
assegnate in riserva nazionale prima
delle adesioni alla rateizzazione e
devono riguardare tutti i produttori
con prelievo non versato.
o
invertire l’ordine di
priorità di assegnazione delle quote
portando gli affitti al secondo
posto e gli splafonatori di pianura
e zone svantaggiate al terzo (è
fondamentale per garantire la
copertura piena delle quote degli
affittuari che sono una
manifestazione del rispetto delle
regole).
o
assegnazione di
risorse sufficienti e immediata
operatività del Fondo dedicato ai
produttori di latte che hanno
acquistato le quote. (Il Governo ha
previsto 45 milioni di accesso al
credito – fideiussioni– tagliando 20
mln dai Piani nazionali di settore
stanziati dalla finanziaria 2007 per
l’anno 2009 e 10 milioni dal fondo
sulla meccanizzazione agricola). È
necessario che le risorse vadano ad
"abbattere" gli interessi, non
servono garanzie di accesso al
credito ma riduzione dell'entità
delle rate per gli allevatori
onesti.
o
Eliminare il termine
"reiterato" (articolo 4 comma 7),
introdotto in Commissione
agricoltura dalla Lega Nord, con il
quale si stabilisce che soltanto in
caso di mancato reiterato versamento
delle rate è prevista la revoca
della quota assegnata ai
beneficiari.
o
Nella restituzione del
prelievo pagato in eccesso portare
la franchigia (di cui all’articolo 1
comma 1 capoverso 4-ter lettera b)
dal 6% al 20% e conseguentemente
sopprimere il capoverso 4-ter dello
stesso articolo (va bene anche la
soppressione dell’intero comma 1
articolo 1). È una modifica
importantissima sia per evitare che
chi ha splafonato oltre il 6% della
propria quota produttiva, pur
essendo in regola con i versamenti
delle multe, si veda escluso dalla
restituzione del prelievo pagato in
eccesso. (La legge 119/2003
all'articolo 9 ha disciplinato con
risultati positivi questa
fattispecie prevedendo una soglia
del 20%) sia per evitare, a danno
dei produttori che pur splafonando
hanno pagato regolarmente le multe,
che si vada ad alimentare il fondo
per il settore lattiero-caseario con
eventuali somme residue del prelievo
in eccesso.
o
Pagamento anticipato
almeno della prima rata della multa
e trattenuta preventiva dei premi
Pac di spettanza del debitore da
utilizzare a scalare per il
versamento delle singole rate non
solo sulla prima rata come è stato
approvato al Senato. È un passaggio
importante per garantire continuità
nei pagamenti degli splafonatori che
aderiscono alla rateizzazione anche
dopo il 2013 anno in cui le quote
latte non ci saranno più.
o
Rifinanziamento del
Fondo di solidarietà nazionale con
coperture adeguate (no tassa su vino
e birra o nuovi "tagli" al settore)
Oltre
alle possibili modifiche, fare
attenzione agli emendamenti (Lega
Nord) presentati in Aula.
Si
tratta di proposte che, per la
maggior parte, tendono a favorire i
pochi allevatori che nel corso degli
anni non hanno pagate le multe
(Cobas latte) a beffa dei tanti
onesti che le regole le hanno sempre
rispettate!
L'origine delle quote latte
Inizio anni '80:
fase di avvio del regime delle quote
latte all'interno di uno scenario
caratterizzato da una Politica
Agricola Comunitaria orientata alla
smobilitazione parziale e graduale
della garanzia dei prezzi, nata
dall'esigenza di contenere e
controllare la spesa agricola
attraverso la riduzione della
produzione.
1984:
la Comunità Europea, per risolvere
il problema delle crescenti
eccedenze di produzione di latte e
suoi derivati (burro, latte in
polvere) da un lato e contenere le
spese del bilancio comunitario per
il sostegno del settore dall'altro,
decide di regolamentare la
produzione. Il regime alla base del
sistema delle quote latte, di cui al
Reg. (CE) n.857 del 1984, è quello
del prelievo supplementare (prelievo
finanziario sulle eccedenze
produttive) che persegue l'obiettivo
di un controllo sul volume della
produzione, attraverso la fissazione
di un quantitativo di riferimento
globale, garantito a livello di
ciascuno Stato Membro e di un
quantitativo di riferimento
individuale, assegnato a ciascun
produttore. La Comunità chiede agli
Stati Membri di valutare i dati
produttivi nazionali. In Italia la
mancanza di un efficiente sistema di
rilevamento rende inizialmente la
"ricognizione" difficoltosa e
complessa con la conseguente
rappresentazione di un dato non del
tutto rispondente alla realtà
produttiva nazionale. I quantitativi
prodotti eccedevano di gran lunga la
quota assegnata e, in virtù del
regime sanzionatorio cui era stato
deciso di sottoporre il settore, si
determina la comminazione da parte
della Comunità di multe pagate non
direttamente dagli allevatori ma dal
sistema paese con ilo meccanismo
della minore erogazione dei fondi UE
complessivi
1988/'89 -
1992/'93: lo Stato Italiano,
non avendo rispettato il tetto
produttivo è condannato al pagamento
di una somma di euro 1.869.751.000
per le eccedenze accertate dai
servizi della Commissione Europea,
senza possibilità di rivalersi sui
produttori come stabilito
nell'accordo Ecofin del 21/10/1994.
1992-1995:
con la legge n.468 del 1992, il
regime delle quote latte è recepito
a livello nazionale. Nel biennio
1993-1995 non sono stati superati i
quantitativi di riferimento
nazionali.
1995-2001/2002: le eccedenze
produttive accertate dalla
Commissione Europea comportano un
prelievo supplementare di circa 1,39
miliardi di euro posto a carico del
bilancio statale con l'onere di
recuperarlo dai produttori
(attribuzione delle multe a chi
realmente produceva in eccesso). In
questi anni nel Nord Italia si
accende la protesta dei Comitati di
base del latte (Co.Ba.S. - latte)
composti da lavoratori
autorganizzati. Al centro della
contestazione ci sono i tagli alle
quote di produzione decisi per la
campagna 1998/1999. tagli
ingiustificati - denunciano i
comitati spontanei - perché la
produzione italiana risulterebbe
sovrastimata e quindi inferiore a
quella, troppo elevata, che ha fatto
scattare le multe a Bruxelles.
Agenda 2000:
con la riforma della Politica
Agricola Comune il settore del latte
e, nello specifico delle quote
produttive, rispetto alla precedente
impostazione vede la proroga del
regime fino al 31 marzo 2008 ed un
aumento delle quote. L'Italia riesce
ad ottenere un incremento specifico
delle quote pari al 6% con
un'assegnazione, in termini
assoluti, di circa 6 milioni di
quintali.
2003:
nel quadro della revisione di medio
termine di Agenda 2000 (Riforma
Fischler), le proposte di
regolamento del gennaio 2003
stabiliscono la proroga del sistema
delle quote fino al 31 marzo 2015.
in Italia è l'anno della legge n.119
del 30 maggio che riforma il sistema
lattiero-caseario e rende possibile
riscrivere la normativa nazionale in
tema di applicazione del prelievo
supplementare. Una legge che è stato
il banco di prova di una
collaborazione tra maggioranza e
opposizione, (il cui supporto è
stato determinante per
l'approvazione del provvedimento),
nel segno del "partito
dell'agricoltura". Gli elementi
essenziali introdotti dalla legge
n.119/2003, che ha riformato la
gestione del regime delle quote
latte sono:
la rateizzazione del prelievo per le
campagne pregresse;
la maggiore liberalizzazione del
mercato delle quote;
il versamento mensile del prelievo e
la sostituzione del meccanismo della
compensazione con quello della
restituzione.
In 14 anni di applicazione del
prelievo supplementare relativo alle
campagne 1995/1996 -
2001/2002
aderiscono alla rateizzazione oltre
15.000 produttori, per un importo
complessivo di 340 milioni di euro.
Le prime due rate (2004 e 2005) sono
regolarmente versate da parte della
quasi totalità dei produttori.
Scelgono invece di proseguire la
contestazione per via
giurisdizionale delle imputazioni di
prelievo supplementare le restanti
10.000 aziende debitrici, con un
prelievo complessivo per le campagne
interessate di 700 milioni di euro.
La maggiore liberalizzazione del
mercato delle quote produce come
effetto un incremento delle quantità
contrattate in virtù della
possibilità di contrattare la quota
anche tra produttori di regioni
diverse. Nel dettaglio per le
campagne 2004/2005 - 2006/2007 sono
trasferite 1 milione 315 mila
tonnellate di quota attraverso
19.600 contratti.
L'introduzione degli adempimenti
mensili degli acquirenti
riconosciuti, relativi alla
dichiarazione delle consegne e al
versamento del prelievo
supplementare maturato, consente la
sostituzione del precedente
meccanismo della "compensazione" con
quello di "restituzione" del
prelievo imputato in eccesso. Questo
nuovo sistema "premia" i produttori
che si sono posti in regola con il
versamento, i quali ottengono la
restituzione del prelievo versato.
Nella prima campagna di
applicazione, la 2003/2004, l'onere
finale è rimasto a carico di 2.000
produttori (nella campagna
precedente erano oltre 12.000).
Nella campagna successiva, la
2004/2005, i produttori cui è
rimasto imputato il prelievo
diminuiscono ulteriormente a 1.200
unità.
2004-2006:
periodo di fasi alterne
dell'andamento della produzione
nazionale di latte consegnato agli
acquirenti e del corrispettivo
prelievo nazionale. Nelle prime due
campagne di applicazione della legge
di riforma si verifica un
contenimento della produzione che
dimezza il prelievo nazionale
rispetto al 2003. Nella campagna
2005/2006 si ha un'inversione di
tendenza che riporta su livelli più
elevati l'importo complessivo del
prelievo supplementare dovuto dai
produttori italiani di latte all'UE
(188,8 milioni di euro) per aver
superato di quasi 611.000 tonnellate
(il 5,9%) le quote di produzione
loro assegnate.
2007:
la Commissione Europea rende noti i
dati provvisori - basati sulle
dichiarazioni annuali degli Stati
Membri - sui prelievi imposti ai
Paesi dell'UE che hanno "splafonato"
le loro quote latte durante la
campagna 2006/2007. Dei 221 milioni
di euro di multa complessiva, quasi
l'80%, circa 176 milioni di euro,
deve essere pagato dall'Italia (sono
46.651 i produttori di latte che
detengono una quota) in seguito ad
un esubero produttivo di 617.623,3
tonnellate (+6%).
2008:
il Consiglio dei Ministri
dell'agricoltura dell'Ue, dopo un
articolato dibattito, da il via
libera, dal primo aprile 2008, ad un
aumento del 2% delle quote di
produzione di latte da ascrivere a
riserva nazionale. All'interno di
tale intesa l'Italia riesce ad
ottenere, per la campagna in corso,
un incremento di oltre 2 milioni di
quintali di latte per una quota
nazionale di 10.74 milioni di
tonnellate contro i 10,53
inizialmente assegnati.
__________________________________
TAGLI ALLA SCUOLA
Sugli
effetti reali del decreto Gelmini il
Partito Democratico ha avuto
ragione. I tagli degli
organici denunciati da tempo dal PD
sono stati confermati: in Veneto ci
saranno ben 2.227 insegnanti in
meno, con un grave danno per le
famiglie della nostra Regione.
I numeri, purtroppo, sono chiari e
indiscutibili. Tutto il resto è solo
propaganda portata avanti per
nascondere la realtà dei fatti e la
decisione del Governo Berlusconi di
non investire nella scuola, colpendo
pesantemente i servizi alle famiglie
soprattutto nella nostra regione
dove, attraverso il cosiddetto
"tempo lungo" nelle scuole, si è
sempre offerto un servizio
essenziale a migliaia di genitori
impegnati quotidianamente nelle loro
attività lavorative.
Il comunicato stampa del PD Padova
Risorse Scuola, il
Centro-Destra illude i genitori
veneti
Esprimiamo il nostro sostegno
all'iniziativa dei Sindaci della
Regione Veneto che dovrebbe
portare il Ministro
dell’Istruzione ad accogliere la
richiesta di mantenere nel Veneto il
numero di insegnanti necessari per
garantire il tempo lungo nelle
scuole elementari della nostra
regione.
Tale ipotesi, non suffragata da
nessun tipo di documentazione
ufficiale, contrasta sia con i dati
riguardanti la ripartizione
regionale degli organici, pubblicati
dal ministero, sia con le
dichiarazioni del dirigente
dell’Ufficio Scolastico Provinciale
di Padova, dottor Venturella,
secondo cui i tagli previsti sono
stati confermati ed essi non
consentirebbero di mantenere
l’attuale offerta del tempo scuola
nella primaria.
Chiediamo che il
centro-destra faccia chiarezza sui
presunti 600 insegnanti in più
assegnati dal ministero al Veneto e
quindi sulle effettive possibilità
che venga mantenuto il tempo lungo.
In caso contrario è plausibile
pensare che tale azione sia solo
frutto di una mera
strumentalizzazione a fini
elettorali, sulla pelle delle
famiglie e della scuola.
Il pericolo è che tali
informazioni, non suffragate da dati
certi, alimentino aspettative
infondate nelle famiglie e in quanti
operano nel mondo della scuola,
aumentando il caos e le tensioni
già innescati dalla riforma
scolastica.
Fabio ROCCO
Segretario Provinciale PD
Floriana RIZZETTO
Responsabile
provinciale Istruzione PD
Ma la vera strage di
cattedre avverrà nelle medie
superiori
Cifre
ministeriali Polemiche reazioni da
parte di docenti presidi e
dirigenti
Il Mattino di Padova, 31
marzo 2009
A
febbraio, in via ufficiosa, i tagli
di cattedra preannunciati dal
ministero dell’Istruzione nelle
scuole venete erano 2.100, dei quali
circa 500 nel Padovano. Ora il
dicastero di viale Trastevere ha
comunicato ai sindacati di categoria
- Cgil, Cisl, Uil, Gilda e Snals -
l’aggiornamento (sempre ufficioso)
diviso per regione: il totale è
salito a 2.227, 550 quelle padovane.
Nel dettaglio, tuttavia, ci sono
marcate differenze. Nelle scuole
elementari, ad esempio, a fronte
delle 900 annunciate, le cattedre
tagliate sarebbero scese a 779:
insomma, ne sarebbero state
recuperate in extremis 121. Analoga
operazione nelle medie inferiori: da
1.030 si è passati a 916, con un
«salvataggio» di 124 cattedre.
Morale della favola: i tagli
preannunciati a febbraio sono stati
scaricati sugli istituti superiori
dove sono balzati da 280 a 532. «A
fronte di questi numeri», commentano
Nereo Marcon e Tiziano Sandonà,
segretari regionale e provinciale
della Cisl-scuola «a settembre nel
Padovano avremo 1.700 studenti in
più. Purtroppo la matematica non è
un’opinione: il Governo, dopo aver
compromesso il tempo lungo nella
primaria e quello prolungato nelle
medie, ha colpito anche la media
superiore. Ringrazio i politici e i
sindaci che hanno tentato di fare
squadra in Parlamento per difendere
il diritto al tempo pieno e alla
mensa; purtroppo, il loro impegno è
stato vano e i tagli sono stati
confermati secondo le peggiori
previsioni».
Duri anche i commenti del
segretario regionale della Cgil, il
padovano Totò Mazza, e dei presidi
del Tito Livio e dell’Istituto
Comprensivo di Sant’Angelo di Piove:
Daria Zangirolami e Francesco Arnau.
«La scure del ministro Tremonti si
abbatte sulla scuola media
superiore», afferma Mazza «i più
penalizzati, naturalmente, ancora
una volta saranno i precari».
Sintetico e pungente il giudizio
della dirigente del liceo classico:
«La coperta che ci offre la Gelmini
è troppo corta da qualsiasi lato la
si tiri. Già oggi abbiamo classi di
27 alunni. Vuoi vedere che ci
costringeranno a formarne di 30-31?
Non è accettabile abbassare così
drasticamente la qualità della
scuola pubblica. Ci rimetterà
l’intera società del futuro».
Pragmatico l’intervento di Arnau:
«Con queste cifre, anche alcune
delle mie classi a tempo lungo e a
tempo prolungato, sia nelle
elementari che nelle medie, saranno
a rischio», afferma il preside «mi
metto nei panni dei tanti genitori,
che il prossimo anno non sapranno
dove mettere i figli al pomeriggio».
Ulteriori notizie arriveranno
comunque venerdì, quando la
responsabile dell’ufficio scolastico
regionale, Carmela Palumbo,
incontrerà i cinque segretari
regionali dei sindacati scolastici -
Nereo Marcon (Cisl), Totò Mazza
(Cgil), Roberto Checcacci (Uil),
Leopoldino Lago (Snals) e Francesco
Bortolotto (Gilda) - per fare il
punto della difficile situazione.

LA LEGGE
I numeri ufficializzati dal
ministero dell'Istruzione:
al Sud spariranno due posti su tre
La più penalizzata è la scuola ex
media,
che avrà 15.541 docenti in meno pari
al 10%
Salteranno 37 mila
cattedre
più della metà nel Meridione
La
Repubblica, 24 marzo 2009
di SALVO INTRAVAIA
Dopo un tam tam durato settimane, il
ministero dell'Istruzione rende
ufficiali i tagli agli organici del
personale docente. Ed è il Sud che,
soprattutto nella scuola primaria,
viene penalizzato due volte: per la
mancanza di servizi e per i posti
che perde. Il tutto a prescindere
dal calo degli alunni, che pure c'è.
Ma andiamo con ordine. Più di metà
degli oltre 37 mila posti che
svaniranno dal prossimo settembre
verranno tagliati nelle regioni
meridionali. Il dato diventa
imbarazzante nella scuola
elementare, dove due cattedre su tre
salteranno proprio al Sud. Da mesi i
sindacati parlavano di accanimento
verso la scuola nel Sud.
Il taglio all'organico nella scuola
primaria, che incide per quasi un
terzo del taglio complessivo,
colpirà soprattutto il cosiddetto
tempo normale: le 24, 27 e 30 ore
settimanali. Il tempo pieno di 40
ore viene risparmiato. A pagarne le
conseguenze saranno quindi le realtà
del Paese dove le lezioni
pomeridiane alle elementari sono una
specie di miraggio. Gli addetti ai
lavori sapevano già che le classi di
scuola elementare a tempo pieno al
Sud sono soltanto otto su 100 mentre
al Nord sono il 36 per cento.
Stornare dai tagli le classi a tempo
normale sarebbe equivalso a
penalizzare le regioni del Sud. Ed è
proprio quello che è avvenuto.
I numeri, del resto, dicono tutto.
Su 9.967 cattedre di scuola primaria
che salteranno 6.141 (pari al 62 per
cento) si perderanno nelle otto
regioni meridionali: Abruzzo,
Basilicata, Calabria, Campania,
Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.
L'effetto si attenua se si considera
il taglio complessivo (su scuola
primaria, media e superiore): su
36.854 cattedre tagliate 20.311
salteranno al Sud. Un effetto che la
Flc Cgil considera "disastroso".
Il taglio più consistente si
abbatterà sulla scuola secondaria di
primo grado (l'ex scuola media) che,
soprattutto per effetto del calo
delle ore di lezione, vedrà svanire
di botto 15.541 cattedre: una su
dieci. Saranno i docenti di Italiano
e Tecnologia i più tartassati. Segue
la scuola secondaria di secondo
grado che, attraverso la formazione
di classi più affollate, perderà
11.346 cattedre.
E per comprendere che, riguardo alla
primaria, il calo della popolazione
scolastica non c'entra nulla basta
citare un paio di numeri. Secondo le
previsioni di viale Trastevere sul
cosiddetto organico di diritto, il
prossimo anno le regioni meridionali
perderanno 6.718 alunni (pari allo
0,66 per cento) e i posti tagliati
saranno quasi altrettanti. In
sostanza, le regioni del Sud
perderanno un posto per ogni alunno
in meno. Complessivamente, la
regione che dovrà subire il taglio
maggiore sarà la Campania: 5.628
cattedre in meno. La Lombardia, che
per numero di alunni supera tutte le
altre regioni, perderà poco meno di
4.000 cattedre (3.998 in tutto)
Dal ministero previsti 2.500
accorpamenti,
ma le Regioni ne fanno meno del 10%
L'assessore del Piemonte:
"Non prevediamo gli effetti delle
riforme. Meglio attendere"
Scuole con meno di
500 studenti
Così è fallita l'operazione-tagli
La
repubblica, 23 marzo 2009
di
SALVO INTRAVAIA
ROMA - Respinti,
almeno per il momento, i diktat del
governo sulla razionalizzazione
della rete scolastica. A fronte di
oltre 2.500 istituzioni scolastiche
con meno di 500 alunni (considerate
sottodimensionate) le regioni ne
hanno tagliate soltanto 240: 14 su
cento, considerate le scuole che
possono sfruttare la deroga fino a
300 alunni. Le 240 scuole in meno
scaturiscono dalla differenza fra
320 istituzioni soppresse e 80
centri per l'educazione degli adulti
di nuova istituzione. La situazione,
regione per regione, è trapelata
dalle stanze del ministero alcuni
giorni fa e ridimensiona i propositi
dell'esecutivo di tagliare più
scuole e plessi possibile.
In Piemonte, per esempio, sono otto
le istituzioni scolastiche accorpate
anche se quelle sottodimensionate
sono molte di più. Ma perché le
regioni continuano a tenere in vita
istituzioni che secondo la norma
dovrebbero perdere l'autonomia
scolastica? "Abbiamo preferito
attendere", spiega l'assessore alla
Pubblica istruzione, Giovanna
Pentenero. "Ancora - aggiunge - la
riforma della scuola secondaria di
secondo grado deve partire e non
sappiamo neppure quale sarà
l'impatto della riforma sulla scuola
primaria e sulla secondaria di primo
grado". In base a un decreto del
1998 le scuole dovrebbero mantenere
un numero di alunni compreso fra 500
e 900 alunni. Con deroga fino a 300
alunni per gli istituti comprensivi
(di materna, elementare e media) nei
comuni di montagna e nelle piccole
isole.
Lo scorso ottobre, un decreto legge
imponeva alle regioni di effettuare
in tutta fretta il dimensionamento
della rete scolastica: l'insieme
degli smembramenti e dei successivi
accorpamenti di plessi che
consentono di riportare il numero
degli alunni all'interno del range
prescritto. Le regioni
"inadempienti" sarebbero state
esautorate da commissari ad acta
governativi, ma secondo la
Costituzione la competenza è dei
governi regionali. Il blitz creò un
tale terremoto politico, con le
regioni che minacciavano il ricorso
alla Corte costituzionale, che il
governo fu costretto a fare marcia
indietro attenuando, in fase di
conversione del decreto, la formula
perentoria del provvedimento.
L'operazione serve a tagliare posti:
accorpando due scuole saltano un
dirigente scolastico e un
segretario. Il 27 febbraio il
Consiglio dei ministri ha approvato
un decreto che prevede la revoca
dell'autonomia scolastica nei
confronti di 700 istituti con meno
di 300 alunni. Ma, secondo i dati
forniti dalla Flc Cgil, in diverse
regioni italiane (Sardegna, Puglia,
Marche, Emilia Romagna, Lombardia e
Friuli) il dimensionamento non ha
prodotto effetti tangibili. In altre
regioni, come la Sicilia, il numero
delle scuole soppresse è irrisorio:
appena 27. Per rastrellare posti di
bidello e assistente amministrativo
l'esecutivo ha intenzione di
sopprimere parte dei plessi con meno
di 50 alunni. "Su questo punto -
dice la Pentenero - siamo davvero
critici: sopprimere la scuola nei
piccoli centri può determinare il
loro spopolamento".
__________________________________
APPUNTAMENTI
SABATO 4 APRILE
ORE 10.30 PRESSO L'ACCADEMIA PALACE
HOTEL, VIA DEL PESCAROTTO 39 -
PADOVA
PRESENTAZIONE
DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA SULLA
LEGGE ELETTORALE
ORE 16.30 IN
VIA ROMA, 64 A BRUGINE (PD)
INAUGURAZIONE DELLA SEDE
ELETTORALE DELLA LISTA CIVICA
"VIVERE BRUGINE E CAMPAGNOLA"
DOMENICA 5
APRILE ALLE ORE 10.30 PRESSO LA
TRATTORIA "TRE PORTEGHI"
VIA ROMA, 42/44 - NOVENTA PADOVANA
(PD)
INCONTRO PUBBLICO SULLE
PROPOSTE ANTICRISI DEL PD
VENERDI 10
APRILE ALLE ORE 19.00 PRESSO LA SEDE
REGIONALE PD
PIAZZA DE GASPERI, 28 - PADOVA
DIREZIONE REGIONALE DEL
PARTITO DEMOCRATICO VENETO
visita il sito
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