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NO AL CONDONO ELETTORALE


Ieri sera il Consiglio dei Ministri in appena 35 minuti ha varato un decreto interpretativo che dà, nei fatti, il via libera alla candidatura di Formigoni in Lombardia e alla lista del Pdl nel Lazio.

In sostanza si prevede che, nel valutare i termini di presentazione delle liste, ci si basi anche sul fatto che, con qualsiasi mezzo, si possa dimostrare di essere stati presenti nel luogo di consegna nei termini stabiliti dalla legge. Si prevede inoltre che la documentazione possa essere verificata anche in un secondo momento, per la parte che attiene ai timbri e alle vidimazioni.

E' un atto gravissimo:  è un condono elettorale. E' un attacco alla Democrazia.

Nei giorni scorsi il centrodestra aveva parlato di complotti, provando a scaricare il problema sui giudici. Come se chi è preposto a far rispettare le leggi dovesse avere un occhio di riguardo per le forze di maggioranza.  E' la solita storia: per Lega e Pdl la legge in questo Paese non è uguale per tutti. Con l'aggravante che stavolta tutto serve a coprire le divisioni interne alla maggioranza.

Il decreto appena approvato ripropone un principio troppo spesso affermato dalla Destra: le regole democratiche sono un vincolo e una seccatura: possono essere violate in qualsiasi momento se non rispondono alle necessità del Governo e della maggioranza che lo sostiene. Come possono chiedere ai cittadini  di rispettare le leggi, di pagare le multe, di versare correttamente le tasse, di fermarsi al rosso, se sono i primi a trasgredirle?

Chi governa dovrebbe rispondere al Paese e non anteporre al bene comune gli interessi di parte. Chi governa deve essere il primo a rispettare le norme che consentono al nostro Paese di essere una democrazia compiuta.

Fabio Rocco

Segretario provinciale PD

Sen. Paolo Giaretta
On. Margherita Miotto
 

On. Alessandro Naccarato


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Il caso del senatore Di Girolamo
Il Mattino di Padova, 6 marzo 2010
Il ruolo del senatore Nicola Di Girolamo nello scandalo Fastweb deve far riflettere sui gravi limiti del voto degli italiani residenti all’estero. Oltre ai profili criminali che stanno emergendo in questi giorni, trovano conferma le perplessità e i giudizi negativi sulle modalità di rappresentanza dei cittadini che vivono fuori dall’Italia. Bisogna riconoscere che la responsabilità ricade soprattutto sul centrosinistra che, per la prima volta al governo e in maggioranza in Parlamento, nel gennaio del 2001 approvò, insieme al centrodestra, due leggi che, modificando gli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione, introdussero le «Circoscrizioni Estero per l’elezione delle Camere».
 Da allora gli italiani residenti all’estero possono votare per le elezioni politiche senza dover venire in Italia e, cosa impossibile per gli altri italiani, possono farlo addirittura a domicilio. Presso le associazioni e le comunità italiane all’estero si sono diffuse le promesse di finanziamenti e di favori per conquistare i pochi voti necessari, visto che la grandissima maggioranza di aventi diritto non ha mai neppure preso in considerazione l’idea di votare per il Parlamento di un Paese sconosciuto ed estraneo.
 Il risultato è stato che le organizzazioni criminali possono facilmente influenzare il consenso e determinare gli eletti, aiutate dal basso numero di votanti e dalla scarsa attenzione dell’opinione pubblica italiana sulla campagna elettorale. Perciò in ogni elezione ci sono state accuse di brogli e, adesso, elementi certi di influenze criminali.
 Queste riforme, approvate con sorprendente superficialità per calcoli elettorali, hanno causato due effetti molto negativi: hanno creato le condizioni per favorire fenomeni clientelari, propedeutici alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali; hanno rafforzato una concezione chiusa, nazionalista e razzista del nostro ordinamento sulla cittadinanza, mettendo una seria ipoteca sulla possibilità di estendere il diritto di voto ai cittadini stranieri che hanno scelto di vivere in Italia.
 Il primo aspetto è d’attualità oggi ma era già emerso nella scorsa legislatura con i casi dei senatori Di Gregorio, dell’Italia dei valori, e Pallaro, del gruppo misto, che avevano esercitato il loro mandato ricattando costantemente governo e opposizione per ottenere maggiori finanziamenti e vantaggi per se stessi e per i loro referenti nelle comunità all’estero. Attorno a questo sistema hanno trovato grandi spazi le organizzazioni mafiose che si sono allargate utilizzando molti emigranti italiani. Per comprendere questo fenomeno basta guardare ai traffici di droga tra l’America del sud e l’Italia o alla strage di Duisburg in Germania.
 Il secondo aspetto riguarda la legge sulla cittadinanza. L’Italia, anche per il nostro passato razzista e fascista, è rimasto uno dei pochissimi paesi a fondare la cittadinanza soltanto sullo ius sanguinis, basato sull’appartenenza genealogica, e ad escludere lo ius soli, basato sul luogo di nascita. È ora di prendere atto che lo ius sanguinis costituisce un legame etnico di consanguineità e non determina l’appartenenza a una nazione. Su questo piano centrosinistra e centrodestra nel 2001 hanno commesso un errore grave: con le riforme per il voto degli italiani all’estero hanno rafforzato lo ius sanguinis e hanno allontanato l’introduzione di forme di ius soli. E così l’immigrato, che da anni risiede regolarmente in Italia e paga le tasse, non vota; il figlio o il nipote di emigrati, che è nato e vissuto sempre all’estero e non paga le tasse in Italia, vota per il Parlamento e lo fa pure a domicilio.
 La vicenda del senatore Di Girolamo può essere risolta, dal punto di vista penale, autorizzando il suo arresto e deve diventare l’occasione per riflettere su cosa significa essere italiani oggi e per rivedere, senza le scorciatoie e le furbizie del passato, le norme sulla cittadinanza. Allora sarà possibile estendere la cittadinanza e il voto agli immigrati che hanno scelto il nostro Paese per costruirsi un futuro e ai loro figli nati in Italia, e sarà possibile anche introdurre norme severe per correggere gli errori fatti sul voto degli italiani residenti all’estero.

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ENTI LOCALI

IL GOVERNO CONTRO I COMUNI


Giovedì 4 marzo il Governo ha posto per l’ennesima volta la questione di fiducia su un decreto legge:

quello sugli Enti Locali. Il provvedimento evidenzia la differenza tra le promesse e le azioni concrete del centrodestra. Infatti il decreto danneggia i Comuni, soprattutto quelli con i bilanci in attivo, e contrasta con i principi del Federalismo. Per evitare modifiche e miglioramenti da parte della Camera il Governo ha tagliato qualsiasi possibilità di dialogo e di confronto ed è ricorso alla fiducia. Il provvedimento non risolve la questione dei tagli ai trasferimenti ai Comuni, che aspettano ancora il rimborso di una parte dell’ICI 2008, e le problematiche aperte dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla tariffa d’igiene ambientale (TIA) che viene scaricata di nuovo sugli Enti Locali.

I tanto sbandierati tagli ai costi della politica (300 milioni di euro in tre anni) consistono nella riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori nei Comuni e nelle Province che andranno al voto e nella soppressione delle circoscrizioni nei Comuni con più di 250.000 abitanti. Mentre il Comune di Roma riceve per l’ennesima volta 600 milioni di euro per il 2010 e 1 miliardo per il 2011 e il 2012. Così il Governo del Federalismo toglie 300 milioni ai Comuni e regala 1 miliardo e 600 milioni al Comune di Roma. Ecco perché hanno posto la fiducia.

Per queste ragioni il Partito Democratico ha votato contro il decreto e ha proposto di sospendere qualsiasi decisione sugli Enti Locali in attesa della discussione sulla Carta delle Autonomie Locali e della riforma costituzionale per l’istituzione del “Senato delle Regioni”.
 
Per conoscere il testo del decreto sugli Enti Locali
collegatevi al link
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0032890.pdf

 
 
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Cosecon, non doversi procedere
Prosciolti dieci imputati per l’accusa di falso in bilancio
Il Mattino di Padova, 2 marzo 2010
 
CONSELVE. Sentenza di non doversi procedere a carico di 10 imputati per il reato di falso in bilancio, riunificazione di tre procedimenti e rinvio dell’udienza al 25 ottobre. Si è chiusa così, ieri mattina, la prima udienza del processo per l’affaire Cosecon-uno al tribunale di Padova.
 Il proscioglimento è scattato nei confronti dell’ex sindaco di Tribano Natalino Zambolin e di Robertino Scapolo di Candiana, già presidenti del consiglio di amministrazione di Cosecon spa, il consorzio per lo sviluppo del Conselvano ora diventato Attiva; degli ex consiglieri di amministrazione Maffeo Businari di Conselve, Mario Rasi di Bagnoli, Loris Tomiato di Anguillara, Gabriele Zanon di Padova e Antonio Zorgati di Arre; dell’ex presidente del collegio sindacale Luciano Falomo di Pordenone e degli ex sindaci Gianni Baraldo di Monselice e Maurizio Boccalon di Montagnana. A far rilevare l’estinzione del reato di false comunicazioni sociale per intervenuta prescrizione è stato l’avvocato Fabio Pinelli, difensore di Rasi. I colleghi dei coimputati si sono associati e il tribunale ha accolto la richiesta. Tuttavia l’avvocato Giorgio Fornasier (difensore di Daniele Morello di Maserà, pure ex presidente di Cosecon) non ha reclamato la prescrizione, preferendo affrontare il processo. Attiva si è costituita parte civile con l’avvocato Piero Someda che ha presentato una richiesta di risarcimento per 7 milioni di euro. Restano in piedi le altre accuse (truffa, abuso d’ufficio e falso) contestate a vario titolo, anche se il rischio della prescrizione è sempre all’orizzonte. Sul banco degli imputati l’imprenditore Giancarlo Andolfo con i titolari del Centro Riciclo Monselice (Ennio Bertin, Umberta Bertin e Fernanda Ghedin); gli ex consiglieri di amministrazione Cosecon Massimo Bison di Tribano, Luigi Valmer Masiero di Anguillara e Giuseppe Violato di Bagnoli; l’ex presidente Cosecon Renato Marcolin di Bagnoli, il commercialista Francesco Marchesini di Este con Natalino Zambolin.
 
Naccarato: «La prescrizione ha cancellato il falso in bilancio, ma bisogna accertare la verità»
Vertici Cosecon graziati dalla
legge salva-Berlusconi
Il Mattino di Padova, 3 marzo 2010
 
Si è finalmente svolta la prima udienza del cosiddetto processo Cosecon-uno (quello riguardante la compravendita di Trasporti Ecologici). Rammarica il fatto che uno dei reati - falso in bilancio - sia già caduto per intervenuta prescrizione grazie al decreto legislativo 61 del 2002, una delle tante leggi «salva Berlusconi» approvate dal Parlamento tra il 2001 e il 2006.
 Prima di quella norma il falso in bilancio era punito con pene più severe e la prescrizione scattava dopo 15 anni. Purtroppo, come si vede anche nel caso ex Cosecon, le leggi «salva Berlusconi» hanno ricadute su tutto il sistema giudiziario e rendono molto difficile la conclusione dei processi e le eventuali condanne dei colpevoli di gravi reati contro il patrimonio.
 Per questo bisogna evitare che altri reati commessi dai protagonisti della vicenda (e per i quali il processo continua) rimangano impuniti solo perché è trascorso un certo periodo di tempo dai fatti: è necessario invece accertare fino in fondo la verità. Gli episodi al centro del processo hanno investito con forza la sfera della pubblica amministrazione - quasi tutti i soggetti coinvolti erano amministratori comunali e le società coinvolte, Cosecon e Trasporti ecologici, erano entrambe a maggioranza pubblica - creando un danno diretto alle casse dei Comuni soci e quindi ai cittadini. Spetta ai magistrati, che hanno avuto il merito di sollevare il velo che ricopriva l’intera vicenda, il compito di accertare le responsabilità individuali dei singoli protagonisti.
 In ogni caso, aldilà degli aspetti penali e civili, rimangono i danni enormi causati ai comuni e ai cittadini dalle scelte scellerate degli amministratori che con il loro comportamento hanno prodotto una quantità tale di debiti da portare al sostanziale fallimento delle società pubbliche coinvolte. Trasporti Ecologici non esiste più e l’ex Cosecon (oggi Attiva) è di fatto in mano alle banche, che hanno preteso il controllo della società a garanzia degli enormi debiti accumulati proprio a causa dei fatti oggetto del processo.
 
 
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Interrogazione a risposta scritta
presentata dall’On. Naccarato
Preoccupazione per i suicidi di piccoli imprenditori e lavoratori schiacciati dalla crisi economica 
Camera dei Deputati, 3 marzo 2010
 

Al Ministro del Welfare e al Ministro dell’Economia

premesso che:

 

Lunedì 1 marzo a Camposampiero, in provincia di Padova, un piccolo imprenditore edile, Oriano Vidos, si è tolto la vita a causa del fallimento della sua azienda schiacciata dalla crisi economica;

 

Si tratta dell’ennesimo tragico suicidio di un imprenditore, travolto dalla crisi economica che sta colpendo con particolare violenza le piccole e medie imprese che sono esposte in maniera drammatica agli effetti della crisi e che non possono, se non in minima parte, ricorrere agli ammortizzatori sociali. Tra il 2008 e il 2010, infatti, in Veneto hanno deciso di togliersi la vita ben tredici piccoli imprenditori. Solo nei primi mesi del 2010 in Veneto si sono già verificati altri tre casi di suicidi legati alla crisi economica: il 3 gennaio a Noventa Padovana (Padova) un impresario edile di 39 anni, Pietro Tonin, si è ucciso; qualche giorno dopo, l’11 gennaio, il titolare del supermercato “A&O” di Castelmassa (Rovigo), Alberto Ottino di 40 anni, si è impiccato; il 22 febbraio si è tolto la vita nella sua casa di Vo’ Euganeo (Padova) il titolare della società “Tri-Intonaci”, Paolo Trivellin di 46 anni;

 

Tali fatti evidenziano che la crisi economica mondiale sta causando conseguenze molto negative proprio nelle aree del Paese dove operano numerosissime piccole imprese che non riescono più ad accedere al credito bancario e non possono utilizzare gli ammortizzatori sociali;

 

Il principale problema che determina la chiusura e il fallimento di molte piccole e medie imprese è la contrazione del credito da parte delle banche, nonostante il fatto che – per le piccole e medie imprese -  i Consorzi fidi garantiscano il 50% del prestito. Basti pensare che, solo nella Provincia di Padova, il 16,5% delle imprese si è visto respingere – negli ultimi mesi – una richiesta di finanziamento mentre il 14,6% delle aziende ha ricevuto una richiesta di rientro dei capitali precedentemente finanziati dagli istituti di credito;

 

Come ha rilevato pubblicamente anche il Governatore della Banca d’Italia Draghi, il credito al settore privato sta velocemente rallentando. Ad esempio, da aprile 2009 la variazione su tre mesi è divenuta negativa e, a maggio 2009, era pari a  –0,9% su base annua;

 

Di fronte alla crisi di liquidità che colpisce le piccole e medie imprese, molte organizzazioni di categoria lamentano la mancanza di misure efficaci da parte dello Stato per fronteggiare la crisi economica;

 

In particolare, le associazioni di categoria delle piccole e medie imprese e le altre organizzazioni imprenditoriali individuano, quali fattori scatenanti dei numerosi fallimenti aziendali e licenziamenti di lavoratori, i ritardi nei pagamenti alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione (di fronte alla necessità di pagare ogni mese gli stipendi dei propri dipendenti) e la contrazione delle risorse destinate agli Enti Locali per promuovere piccole opere pubbliche sul territorio. Infatti, per molte piccole e medie imprese, gli appalti degli Enti Locali hanno rappresentato una quota consistente delle loro commesse;

 

 

Se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti; quali concrete misure i Ministri interrogati intendano porre in essere per fronteggiare la crisi economica; in particolare quali concrete misure i Ministri interrogati intendano porre in essere per le piccole e medie imprese che sono esposte in maniera drammatica agli effetti della crisi e che non possono, se non in minima parte, ricorrere agli ammortizzatori sociali; quali interventi intendano adottare per supportare la produzione industriale agevolando, per quanto di competenza, l’erogazione dei finanziamenti necessari alle piccole e medie imprese per mantenere adeguati livelli di produzione e di occupazione degli addetti.

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