La
violenza politica e gli arresti
di Torino
Il
Mattino di Padova, 11 luglio
2009
Gli arresti di alcune persone,
accusate di avere attaccato le
forze dell’ordine al termine di
una manifestazione a Torino, il
ritrovamento, nel corso di una
perquisizione alla festa di
radio Sherwood, di 500 biglie di
ferro e le successive reazioni
violente e minacciose dei
cosiddetti appartenenti all’area
antagonista, dimostrano la
pericolosità dei gruppi che si
richiamano alla tragica e
sanguinosa esperienza
dell’autonomia operaia
organizzata.
L’inchiesta della procura di
Torino ha il grande merito di
portare alla luce e di
perseguire pratiche e azioni
illegali che troppo spesso sono
state ignorate, tollerate e
addirittura giustificate. La
mobilitazione rabbiosa scatenata
contro gli arresti, contro
magistrati e polizia dimostra
che gli autori delle violenze
sono preoccupati di essere stati
individuati e che il diffuso
senso di impunità che ha
protetto in passato analoghe
azioni possa finalmente essere
rimosso.
Alcuni provano a giustificare i
violenti parlando di montatura
giudiziaria e di mandanti
politici che vorrebbero
criminalizzare e arrestare un
movimento.
Ma la realtà dei fatti è
completamente diversa. Infatti,
i gruppi ai quali appartengono
gli arrestati hanno in più
occasioni organizzato azioni con
il volto coperto e indossando
caschi per non farsi
identificare, armati di mazze,
estintori, biglie e altri corpi
contundenti per colpire le forze
dell’ordine, utilizzando
carrelli e cassonetti delle
immondizie come arieti per
sfondare i cordoni della
polizia. E’ questo il modo di
manifestare idee e opinioni? E,
spesso, questi episodi di
violenza sono avvenuti in un
clima di sostanziale
disinteresse e sottovalutazione
da parte dell’opinione pubblica
che non vede, o finge di non
vedere, i pericoli di questa
situazione.
I gruppi violenti, oltre ai
danni materiali, hanno prodotto
danni gravissimi al nostro
sistema democratico. Il primo
danno consiste nel limitare la
libertà di manifestare idee e
opinioni di chi la pensa
diversamente da loro e non ne
condivide le pratiche violente.
In diverse circostanze, per
esempio proprio durante le
manifestazioni del G8
sull’università del maggio
scorso a Torino, sono comparsi
individui, tra cui alcuni sono i
padovani arrestati nei giorni
scorsi, con il volto travisato
che, con la violenza, hanno
attaccato le forze dell’ordine
per conquistare l’egemonia e il
controllo del movimento politico
in atto che coinvolgeva, in modo
del tutto pacifico, migliaia di
studenti.
Il secondo danno consiste nel
mantenere attivi e funzionanti
gruppi di persone che praticano
la violenza. Non si tratta, come
dimostrano le vicende del
passato, di un fenomeno
spontaneo. Gli episodi violenti
vengono programmati e
organizzati con precisione: le
violenze sono precedute da
incontri e riunioni che decidono
e predispongono mezzi,
protagonisti e tempi delle
azioni. Quindi ci sono ancora
persone, per fortuna poche, che
continuano, a distanza di tanti
anni dalla tragica stagione
dell’eversione e del terrorismo,
a teorizzare, mettere in pratica
ed organizzare in modo
sistematico l’uso della
violenza.
Il terzo danno è di tipo
culturale. La violenza fisica
viene accompagnata e spesso
preceduta dalla violenza
verbale, dalle offese e dalle
scritte sui muri, da volantini
che individuano i nemici da
colpire. Le scritte murali di
questi giorni sono esemplari e,
non a caso, ricordano e in parte
coincidono con le scritte dei
gruppi di estrema destra e degli
ultras.
Quando sui muri si scrive
«sbirri merde» o «quando i
pifferi suonano i porci
ballano», con un evidente
riferimento a un dirigente della
polizia, stimato e apprezzato
per le sue competenze e il suo
equilibrio, si manda un
messaggio intimidatorio, di
stampo mafioso, per impaurire e
minacciare.
Gli episodi di questi giorni
devono far aprire gli occhi a
quanti finora hanno finto di non
vedere le violenze e i
comportamenti aggressivi e
minacciosi dei gruppi sotto
inchiesta. Chi organizza e
pratica azioni illegali e
violente deve essere
delegittimato e isolato sul
piano culturale e politico.
Raffica di
arresti e l’Onda ritorna
A Torino
a maggio ci furono momenti di
guerriglia. Occupati i rettorati
DOMANI IL G8 Custodia cautelare
per 21 giovani.
Il gip: c’era il rischioblack
bloc per il summit abruzzese
Il Mattino di
Padova, 7 luglio 2009
TORINO. A due
giorni dall’inizio del G8
dell’Aquila, torna ad
arroventarsi la protesta
dell’Onda, dopo la resa dei
conti sugli scontri del maggio
torinese in occasione del
cosiddetto G8 delle università:
per protesta molti studenti in
diverse città hanno occupato i
rettorati. Poco più di un mese e
mezzo dopo i disordini di quel
G8 minore - il summit dei
rettori che si era tenuto a
Torino il 19 maggio - ieri la
Procura del capoluogo piemontese
ha emesso 21 ordini di arresto
per altrettanti manifestanti che
avevano partecipato a cinque
minuti di guerriglia. Il gip ha
motivato il provvedimento con il
rischio di reiterazione dei
reati, anche «in vista
dell’imminente apertura dei
lavori del G8» abruzzese.
Quel giorno, il dichiarato
“assedio al Castello del
Valentino”, dove si stava
tenendo il summit, era finito
come si temeva: da un lato,
cassonetti rovesciati e lancio
di sassi e uova; dall’altro
manganellate e fumogeni da parte
della polizia. Più in là,
distante dal cuore degli
scontri, la maggioranza
pacifica, tremila studenti scesi
in piazza con i loro striscioni.
Il bilancio era stato di 24
agenti feriti, danni ai negozi e
due manifestanti arrestati. Gli
altri, per lo più legati ai
centri sociali, non erano stati
identificati.
Ieri mattina all’alba è
scattata l’operazione Rewind: 21
persone arrestate a Torino,
Padova, Bologna e Napoli, di cui
16 in carcere e 5 ai
domiciliari. Li hanno
individuati partendo da
particolari dell’abbigliamento e
da segni distintivi come i
tatuaggi: tutto registrato nei
video degli scontri. Incrociando
le immagini con quelle
successive, quando i
manifestanti si erano ormai
tolti caschi e bandane, la Digos
è riuscita a identificare la
frangia più dura.
«Hanno usato una violenza
paramilitare premeditata - ha
spiegato il procuratore capo di
Torino Giancarlo Caselli -. Ci
sono prove video e fotografiche
inconfutabili». Il
provvedimento, sottolinea, non
ha intenti politici: «Su tremila
che hanno manifestato
pacificamente, i violenti non
erano più di trecento. E’ contro
di loro che abbiamo indagato.
Non è intenzione della Procura
colpire singoli gruppi politici
o controculturali, ma difendere
la libertà di manifestare
democraticamente».
I reati contestati sono
violenza, resistenza, lesioni e
danneggiamenti in concorso
aggravato. La maggior parte
degli arresti - dodici - è stata
eseguita a Torino, ma le manette
sono anche scattate ai polsi del
leader del centro sociale
Insurgencia di Napoli Egidio
Giordano, fermato all’Aquila.
La reazione dell’Onda non si è
però fatta attendere: in
mattinata gli studenti del
movimento hanno risposto
occupando gli uffici dei rettori
delle Università di Torino,
Bologna, Roma, Milano, Napoli,
Venezia e Pisa. «Il mandante di
questa operazione è il ministro
Maroni che, oltre a reprimere il
dissenso, compie un’operazione
preventiva in vista
dell’imminente G8 dell’Aquila»,
commenta l’Onda anomala
torinese.
Centro
Pedro, in cella Max Gallob
Ordine di arresto
anche per Omid Firouzi e altri
due giovani padovani
Il fondatore del
collettivo di Scienze politiche
è ancora irreperibile:
si trova in Iran
Il Mattino di Padova, 7
luglio 2009
La
«resa dei conti» a Padova è
arrivata una mattina d’estate.
Vista da un punto di vista
prettamente temporale, è
arrivata dopo gli scontri di
Vicenza fra no global e forze
dell’ordine, ma prima dei
possibili tafferugli per
protestare contro il G8 di
l’Aquila in programma nei
prossimi giorni. Ma è comunque
arrivata. Una «resa dei conti»
che suona come una nuova linea
di demarcazione fra il passato e
ciò che d’ora in poi non sarà
più consentito durante i cortei,
ovvero spaccare tutto. Pena:
l’arresto.
All’alba di ieri la Digos
padovana ha eseguito quattro
delle ventuno ordinanze di
custodia cautelare firmate dal
gip della procura di Torino. A
Padova sono stati arrestati
Massimiliano «Max» Gallob, 36
anni, lìder maximo del centro
sociale Pedro e Pauel Benjamin
Bondean, 24 anni, rumeno, no
global cresciuto a pane e
proteste al centro sociale
Rivolta di Marghera.
Irreperibili per il momento gli
altri due: Omid Firouzi Tabar,
29 anni, ricercatore
universitario a Urbino e
fondatore del Collettivo di
Scienze Politiche e Filippo
Caporale, padovano, 23 anni.
Perquisite anche i domicili di
altri due no global padovani:
Filippo Compagnin, 26 anni e
Sebastian Kohlsheen, 23 anni,
quest’ultimo indicato da molti
come uno dei futuri leader del
dopo-Gallob.
Gli arresti si riferiscono agli
scontri avvenuti al termine del
corteo di contestazione al G8
University Summit del 19 maggio
scorso in cui vennero feriti più
di 20 agenti. In un mese e mezzo
la polizia di mezza Italia ha
messo assieme elementi tali che
il gip torinese ha firmato 21
ordinanze: 7 custodie cautelari
in carcere e 5 arresti
domiciliari a Torino, 4 custodie
a Bologna, 1 a Napoli e, appunto
4 a Padova.
I reati contestati a vario
titolo sono violenza e minaccia
aggravata a pubblico ufficiale,
lesioni personali aggravate e
violenza privata. A Gallob viene
contestato che «abbia
partecipato attivamente ai
disordini (di Torino),
predisponendo barricate al
centro della strada al fine di
impedire alla polizia di
avanzare... Assicurando il
proprio apporto e concorrendo a
creare disordine». Di Firouzi il
gip scrive che «poco rileva che
egli non sia stato visto in
prima persona spintonare i
poliziotti, lanciare pietre o
altro contro le forze
dell’ordine, avendo egli con il
suo inequivoco comportamento
svolto un’evidente e manifesta
attività di istigazione e
determinazione degli altri
manifestanti alla violenta
contrapposizione».
Gallob, Firouzi, Bondean e
Caporale sono stati riconosciuti
grazie ai filmati. Nelle loro
abitazioni la polizia ha trovato
gli indumenti usati il 19 maggio
(Gallob era a casa, Bondean
dormiva all’interno dello
Sherwood Festival). Ma è nelle
motivazioni finali del
dispositivo che si intuisce che
la richiesta di arresto vale una
resa dei conti. «Risulta
confermata l’appartenenza degli
indagati a contesti dediti
all’organizzazione di
manifestazioni suscettibili di
sfociare in scontri in scontri
ai danni delle forze
dell’ordine. Si può inoltre
affermare che essi condividano
una personalità, incline a far
ricorso ad atti di aggressione
come modalità di espressione del
dissenso».
Dopo gli
arresti dei no-global. Il
sindaco Flavio Zanonato:
«Io sto con Giancarlo Caselli»
«Questi signori
ragionano come mafiosi. La legge
non esiste
soltanto per gli altri»
«Le
manifestazioni sono legittime ma
non la violenza»
Il Mattino
di Padova, 8 luglio 2009
«Ammiro
Giancarlo Caselli, un grande
magistrato: è giusto arrestare chi è
violento e viola la legge». Flavio
Zanonato commenta davanti alle
telecamere gli arresti avvenuti
lunedì scorso nell’area no global. E
nel farlo guarda con fiducia al gran
lavoro della Procura di Torino,
senza dimenticare ovviamente anche
quella padovana. «I fatti sono
chiari e dimostrati da precise
riprese televisive - approfondisce
il sindaco - Siamo in presenza di
persone che arrivano alle
manifestazioni per creare
l’incidente e mi pare difficile
sostenere il contrario. E’ successo
diverse volte anche in città». Non è
la prima volta, infatti, che
fotografie e riprese immortalano
scontri e incidenti durante una
manifestazione: tutto materiale che
poi viene utilizzato nei processi
contro chi è sospettato di aver
commesso un reato.
E’ la prima volta però che si
arriva a far scattare le manette.
«Le manifestazioni contro le basi
militari o contro il G8 sono
liberissime. E la loro forza è nella
capacità di mobilitare tanta gente -
sostiene Flavio Zanonato - Quando
invece vengono mobilitate pochissime
persone violente ed aggressive che
producono devastazioni, allora
questi signori devono trovarsi di
fronte anche una reazione molto
ferma. Non possono pensare che la
legge esista solo per gli altri».
Non un passo indietro dunque, nel
rapporto con l’area antagonista: il
rispetto delle leggi, sempre e
dovunque, prima di tutto. E anche di
fronte alla minaccia di ritorsioni
Zanonato non esita ad attaccare:
«Questi signori hanno la struttura
mentale tipica dei mafiosi,
arrivando perfino a minacciare
pensando di intimorirmi», sottolinea
il primo cittadino, che da due anni
vive «sorvegliato» da una scorta. Un
agente delle forze dell’ordine,
infatti, lo segue in ogni suo
spostamento, dalla mattina quando
esce di casa fino al rientro che
spesso è a tarda notte. Un
provvedimento deciso dalla questura
subito dopo lo sgombero del centro
sociale Gramigna, motivato con il
rischio di eventuali ritorsioni. Un
rischio che adesso è forse ancora
più alto. Dopo gli arresti di
lunedì, infatti, Zanonato è stato
indicato come il «mandante politico»
dell’operazione, avvenuta qualche
settimana dopo il voto che lo ha
riconfermato sindaco di Padova. «Non
esistono i mandanti in queste cose -
ribatte il primo cittadino - Ci sono
i fatti: le forze dell’ordine hanno
trovato un sacchetto con 500 biglie
di ferro e alcune fionde per
lanciarle contro la polizia.
Un’attività che non è concessa né a
loro né a nessun altro. E se uno lo
fa viene perquisito, denunciato e
spero anche condannato». Una
perquisizione, quella a cui si
riferisce Zanonato, avvenuta
nell’area della festa di radio
Sherwood, nel parcheggio nord dello
stadio Euganeo. Un fatto che rende
ancora più tesi i rapporti tra
l’amministrazione di centro sinistra
e l’area antagonista dell’Onda e
degli attivisti del Pedro. Nel 2010,
infatti, anche il centro sociale di
via Ticino dovrà essere sgomberato,
per far posto a un piano di
riqualificazione che prevede un
centinaio di alloggi di edilizia
popolare. «Queste persone si rendono
conto che non hanno più alcuno
consenso in città? - chiude il
sindaco - I loro voti sono un sotto
insieme di quelli che ha preso la
candidata Aurora d’Agostino. Ormai
sono isolati».
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Con il reato di clandestinità
danni a tutto il sistema sociale
Il Mattino di Padova, 8 luglio 2009
Dopo
i proclami della campagna elettorale
l’azione del governo Berlusconi
inizia a mostrare crepe profonde e
la propaganda non basta più a
nascondere l’incapacità e gli errori
della destra. L’introduzione del
reato di clandestinità, contenuto
nel nuovo disegno di legge sulla
sicurezza approvato qualche giorno
fa dal Senato, è l’esempio evidente
di una norma manifesto inefficace
che produrrà effetti negativi. La
prova è sotto gli occhi di tutti
dopo che il sottosegretario
Giovanardi ha proposto un’altra
sostanziale sanatoria per
regolarizzare colf e badanti per
correggere le conseguenze disastrose
del provvedimento sulla sicurezza.
Le nuove norme si applicano a tutti
i lavoratori irregolari che si
trovano in Italia e puniscono con
una sanzione amministrativa tra
cinque e diecimila euro non solo
l’ingresso di immigrati clandestini
ma anche il loro soggiorno sul
nostro territorio.
Si tratta di una situazione
paradossale e pericolosa che,
secondo le stime delle Acli, mette a
rischio processo circa seicentomila
badanti e colf irregolari che già
lavorano nel nostro Paese e che non
possono essere regolarizzate a causa
della mancanza del decreto flussi
per il 2009 voluta dal ministro
dell’Interno Maroni come
dimostrazione del «pugno di ferro»
del governo contro l’immigrazione
clandestina. Ora, l’introduzione del
reato di clandestinità non farà
altro che spingere i molti immigrati
che lavorano in Italia a restare
nascosti, chiusi in casa per paura
di essere scoperti e finire sotto
processo. Inoltre, bisogna anche
considerare il fatto che questo
provvedimento danneggia non solo gli
immigrati occupati in attività di
assistenza alle famiglie ma anche
tutti coloro che lavorano, ad
esempio, nel settore dell’edilizia o
in quello agricolo come stagionali.
Si tratta, quindi, di numerose
persone, da tempo presenti in Italia
su richiesta di imprese e famiglie,
che svolgono lavori necessari alla
nostra economia e all’assistenza
sociale e che, per la sicurezza di
tutti, hanno bisogno di essere
regolarizzate. Per di più il
provvedimento prevede che gli
immigrati irregolari, una volta
scoperti, vengano puniti con una
semplice ammenda in attesa del
processo.
Nel frattempo, quindi, avrebbero
tutto il tempo per far perdere le
proprie tracce. Perciò, la nuova
fattispecie di reato individuata dal
governo favorisce di fatto la
clandestinità invece di combatterla
e colpisce in modo insensato
anzitutto i cittadini stranieri che
sono stati chiamati nel nostro Paese
proprio dalle famiglie italiane e
che svolgono presso di loro servizi
essenziali come, per esempio,
l’assistenza agli anziani o ai
bambini piccoli mentre entrambi i
genitori sono al lavoro. Si tratta
di un’attività fondamentale che oggi
è ancora più indispensabile se si
pensa ai pesanti tagli alle
politiche familiari decisi dalla
destra. Sulla famiglia, infatti,
finora il governo ha operato solo
tagli: ha ridotto i fondi sociali
destinati alle Regioni, ha diminuito
pesantemente i fondi per
l’assistenza domiciliare agli
anziani, ha tagliato il tempo
scuola, ha bloccato i finanziamenti
per la realizzazione di nuovi asili
nido. Di fronte a queste scelte
insensate, le famiglie italiane non
hanno potuto far altro che affidarsi
alla preziosa opera di badanti e
colf, spesso straniere, che hanno
rappresentato una valida alternativa
all’assenza di iniziative del
governo Berlusconi.
Ora il reato di clandestinità mette
a rischio tale sistema ed è per
questo che, aprendo gli occhi con un
clamoroso e colpevole ritardo,
alcuni esponenti del governo
propongono una sostanziale sanatoria
come quella già promossa (guarda
caso sempre dal centrodestra di
allora) nel 2002. Non c’è che dire,
anche su un tema come quello della
sicurezza tanto agitato dalla destra
e dalla Lega Nord in campagna
elettorale, quando si passa dalle
parole ai fatti, emergono le
contraddizioni e la palese
incapacità dell’attuale maggioranza
di governo di dare risposte efficaci
ai problemi dei cittadini: tutto si
perde nella propaganda a cui la
destra e la Lega ci hanno purtroppo
abituati. In una tale situazione, un
comportamento responsabile dovrebbe
portare il governo a stralciare la
norma che introduce il reato di
clandestinità: è un provvedimento
pericoloso, demagogico e inefficace
che avrà come unica conseguenza
concreta quella di intasare
ulteriormente la macchina della
giustizia senza aumentare la
sicurezza dei cittadini. E’ urgente,
invece, individuare tutti gli
strumenti necessari per mettere in
regola e integrare gli immigrati che
da tempo lavorano in Italia per non
creare, altrimenti, pesantissimi
danni a tutto il sistema sociale,
economico e produttivo del nostro
Paese.
Quei
bisogni ignorati
di Chiara Saraceno
La Repubblica,
7 luglio 2009
Badanti,
una parola entrata nel lessico
quotidiano e persino in quello
giuridico-amministrativo. È stato
coniato allorché il fenomeno delle
donne immigrate che si prendono cura
di persone non autosufficienti si è
diffuso. Ed è diventato visibile
nella vita e negli spazi quotidiani.
È una parola sottilmente svalutativa,
sia per chi "bada" che per chi "è
badato". Quasi si volesse sminuire,
specie quando si tratta di persone a
pagamento e per di più straniere,
non solo il lavoro, ma il mondo di
significati e l’intensità
relazionale che si producono
inevitabilmente nelle relazioni di
cura. E tuttavia è una parola che
designa una categoria di immigrati
che molti ritengono "meritevoli",
per cui fare una eccezione rispetto
alla durezza delle norme sulla
immigrazione. Persino il ministro
per la famiglia Giovanardi si è
svegliato da un lungo sonno per
avanzare una proposta in questo
senso. Lo chiede anche il
responsabile per le migrazioni della
Conferenza episcopale italiana.
Perché le badanti e le colf appaiono
ai cittadini, ai politici, ai
vescovi, come più meritevoli di
indulgenza rispetto al manovale
sfruttato in nero, all’operaio che,
perso il lavoro regolare e con ciò
il permesso di soggiorno, se non si
allontana subito dal territorio
italiano diventa automaticamente un
clandestino? Perché sono diventate
un pezzo indispensabile di quel
welfare familiare che le famiglie
italiane si sono inventate per far
fronte ai bisogni di cura posti da
un lato dall’invecchiamento,
dall’altro dal, pur lento e
difficile, aumento della occupazione
delle madri con figli piccoli. In un
paese in cui i servizi per bambini
sotto i tre anni sono cresciuti del
3 per cento in dieci anni, in cui i
servizi domiciliari per le persone
non autosufficienti sono una
chimera, in cui anche il tempo pieno
scolastico viene ridotto per ridurre
i costi, l’immigrazione ha fornito
una alternativa a basso costo -
tanto più se irregolare.
Lasciate sole da un welfare
inefficiente - per riprendere il
titolo di un pamphlet ricco di dati
di Daniela Del Boca e Alessandro
Rosina appena uscito dal Mulino
(Famiglie sole. Sopravvivere con un
welfare inefficiente), le famiglie
si sono inventate il welfare fai da
te delle badanti, da integrare nel
patchwork della solidarietà
famigliare allargata. È un welfare i
cui costi sono tutti a carico delle
famiglie e delle donne migranti.
Eccettuate alcune eccezioni locali,
lo stato non si assume alcuna
responsabilità, salvo, nel migliore
dei casi, quella di chiudere gli
occhi. Nel peggiore, come oggi,
l’unica iniziativa è di tipo
repressivo. In ogni caso, vengono
ignorati sia i bisogni delle
persone, sia la fatica delle
famiglie (in particolare delle
donne), sia i diritti delle
lavoratrici immigrate ad un compenso
adeguato, ad un minimo di sicurezza
sociale, alla possibilità di
mantenere rapporti con le proprie
famiglie. Ci sono immigrate che non
vedono i propri figli e propri
genitori per anni. Non solo perché
il viaggio costa troppo, ma perché,
essendo presenti irregolarmente, non
possono rischiare di uscire
dall’Italia per timore di non poter
più rientrare. Proprio a coloro che
ci aiutano a prenderci cura dei
nostri famigliari spesso viene
negato il diritto ai propri rapporti
famigliari. Il risultato è una
permanente situazione di incertezza,
che rende facili sfruttamenti, ma
anche ricatti, da una parte e
dall’altra. Tutto il contrario
dell’obiettivo della sicurezza tanto
sbandierato per giustificare le
nuove norme.
Ma anche altre figure di immigrati,
oltre alle badanti, si trovano in
situazioni simili. Se ci appaiono
meno "meritevoli" di eccezioni è
perché le viviamo come meno
indispensabili al funzionamento
della nostra vita quotidiana. E
perché ci aspettiamo da loro una
dedizione che va al di là del puro
rapporto di lavoro. C’è una non
tanto sottile forma di egoismo nel
mettere a fuoco solo la situazione
delle badanti. Anche la tardiva
resipiscenza di Giovanardi risponde
a questa logica: un governo che
nulla ha fatto e fa per sostenere le
famiglie, teme di vedersi presentare
il conto da chi è riuscito ad
arrangiarsi da sé e ora vede
vanificati i propri sforzi. Ma non
basterà una eccezione per le badanti
a modificare un welfare slabbrato e
diseguale. Non basterà neppure a
restituire dignità a un paese che ha
inventato l’aggravante del reato di
clandestinità per rendere ancora più
precaria, e più ricattabile, la
situazione di chi neppure volendo
riesce a regolarizzare la propria
presenza - onesta, laboriosa, spesso
necessaria - in Italia.
Presi d’assalto gli
sportelli
di Acli e Caritas
Marco
Ferrero: «Migliaia di famiglie sono
senza assistenza»
Castagna (Cgil) Provvedimento
vessatorio e razzista.
Una ferita profonda nel nostro
ordinamento
Il Mattino, 8 luglio
2009
PADOVA. Padova è una delle
province italiane dove è più alta la
presenza delle badanti straniere,
che lavorano all’interno delle
famiglie ad accudire gli anziani non
autosufficienti, spesso 24 ore al
giorno e con sola mezza giornata di
libertà alla settimana. Attualmente
quelle con regolare permesso di
soggiorno sono 9.871, mentre quelle
irregolari sono circa 3500, tra cui
tantissime ucraine, moldave e russe.
Tra pochi giorni entrerà in vigore
la nuova legge sulla sicurezza, che
prevede anche pene severe sia per le
badanti e le colf sans papier e sia
per le famiglie che le ospitano.
Alla luce del nuovo pacchetto
sicurezza del governo divenuto legge
introducendo, tra le altre cose,
anche il reato di clandestinità, il
presidente delle Acli provinciali di
Padova, Marco Ferrero, analizza la
situazione locale: «Rispetto ai
primi mesi dell’anno, il flusso di
immigrati irregolari provenienti dai
paesi dell’Est è aumentato, come,
d’altronde, è aumentato il numero
delle famiglie padovane che, a causa
della crisi economica, abbandonano
colf e badanti assunte regolarmente
optando per lavoratrici pagate in
nero e non in regola con il permesso
di soggiorno. Il problema di base
non cambia - precisa Ferrero - nel
nostro paese, per gli stranieri in
cerca di lavoro, non esistono canali
di ingresso legalizzati. Né agenzie
che gestiscono all’estero la domanda
e l’offerta di lavoro relative
all’Italia. Chi entra deve comunque
scontrarsi con peripezie illegali».
Secondo il presidente Acli, poi, c’è
un altro problema: «Dal dicembre
2007, i flussi di ingresso sono
bloccati e, quindi, chi dal gennaio
2008 avesse bisogno di assumere in
regola badanti e colf, non può
farlo».
Da una settimana sia i datori di
lavoro che le assistenti familiari
stanno prendendo d’assalto gli
sportelli delle Acli, della Caritas
e dei sindacati per chiedere
informazioni a riguardo. «Alcune
donne straniere sono letteralmente
terrorizzate - sottolinea Alessandra
Vitali, responsabile della Cgil per
l’immigrazione -. Tra queste ci sono
anche tutte quelle badanti, i cui
datori di lavoro hanno presentato da
tempo la richiesta per la
regolarizzazione, ma le domande sono
ancora ferme nei cassetti della
questura o del Ministero
dell’Interno. Il rischio è che anche
a Padova e provincia migliaia di
famiglie restino all’improvviso
senza assistenza per i loro cari più
anziani e che tantissime donne siano
costrette a salire sui primi bus
diretti verso est».
Sulle badanti, infine, prendono
posizione anche il segretario
generale della Cgil, Andrea Castagna
ed il consigliere regionale del Pdl,
Raffaele Zanon. «Le nuove misure
contro gli stranieri aprono una
ferita profonda all’interno del
nostro ordinamento giuridico e,
soprattutto, della nostra
democrazia, comprimendo gli spazi di
libertà - osserva il numero uno del
sindacato di via Longhin -. Siamo
davanti ad un provvedimento
vessatorio e razzista, che, tra
l’altro, coinvolge tantissime donne
straniere che lavorano notte e
giorno per venire incontro ai
bisogni degli anziani non
autosufficienti». Diversa la
posizione di Raffaele Zanon, che
però si dimostra favorevole a
risolvere subito la questione delle
assistenti domestiche. «No a nuove
sanatorie indistinte, sì a
regolarizzazioni serie per le
badanti che ne hanno i requisiti»,
sostiene tout court il consigliere
regionale azzurro. Intervengono
anche le dirette interessate.
«Assisto, da cinque anni, un anziano
con il morbo di Alzheimer di 86 anni
all’Arcella - spiega Ludmilla,
un’ucraina irregolare di Lvov, 47
anni -. Prima, per altri tre anni,
avevo lavorato come badante tutto
fare, sempre in nero».
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APPUNTAMENTI
LUNEDI 13 LUGLIO
ORE 17.30 PRESSO LA SEDE REGIONALE
PD, PIAZZA DE GASPERI 28 - PADOVA
DIREZIONE
REGIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO
ORE 19.00 PRESSO IL CENTRO CULTURALE
ALTINATE/SAN GAETANO
VIA ALTINATE - PADOVA
CERIMONIA DI
INSEDIAMENTO DEL NUOVO CONSIGLIO
COMUNALE DI PADOVA
GIOVEDI 16 LUGLIO ALLE ORE 21 -
BATTAGLIA TERME (PD)
ASSEMBLEA DI
CIRCOLO DEL PARTITO DEMOCRATICO
VENERDI 16 LUGLIO ALLE ORE 9.30
PRESSO IL CASELLO AUTOSTRADALE DI
PADOVA Z.I.
PARTECIPAZIONE
ALL'INIZIATIVA: "VIAGGIO NELLA
CRISI" PROMOSSA DA CNA E UPA
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