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Venerdì scorso il Governo ha approvato a
tempo di record un decreto legge per salvare le
liste del PDL nel Lazio e in Lombardia. Dopo le
leggi ad personam per tutelare interessi privati del
premier, ecco che si fanno le leggi su misura per le
liste regionali del Pdl per sanare i pasticci
provocati dai loro dirigenti locali. Il decreto del
Governo Berlusconi è un vero e proprio condono, un
provvedimento che prova ad occultare gli errori e le
divisioni, a sanare il vero e proprio pasticcio
combinato da una destra che pensa di vincere
calpestando le regole.
Con il decreto
salva-liste la destra ha dato l'ennesimo esempio di
arroganza:
la piena responsabilità politica di
questa palese violazione delle regole democratiche è
e rimane del governo. Il tentativo di coinvolgere il
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella
vicenda del decreto è la squallida dimostrazione che
il centrodestra è consapevole di aver varato un
provvedimento sbagliato. Infastidisce molto che
l'Italia dei Valori abbia deciso di seguire la
destra nelle accuse a Napolitano. E' bene aver
chiaro che il Presidente non ha alcuna
responsabilità rispetto al decreto che, come come
prevede l'articolo 77 della Costituzione, è adottato
dal Governo sotto la propria responsabilità.
Infine è utile segnalare che, almeno finora,
il decreto si è rivelato del tutto inutile. In
Lombardia il listino di Formigoni è stato riammesso
prima dell'entrata in vigore del decreto; in Lazio,
finora, il TAR e il Tribunale hanno respinto la
lista del PDL.
Per questi motivi il Partito Democratico, insieme a
tutte le altre forze politiche del Centrosinistra,
ha deciso di manifestare sabato 13 marzo a Roma,
Milano e Venezia (Mestre) in difesa della
democrazia, per il lavoro e il rispetto delle regole
della convivenza civile con la parola d'ordine:
"Si alle regole. No ai
trucchi".
IL DECRETO SALVA-LISTE
Un atto arrogante
del governo
Il Mattino di Padova, 11 marzo 2010
Il
decreto legge approvato dal governo Berlusconi venerdì 5
marzo per provare a sanare gli errori commessi dal
centrodestra nella presentazione delle liste per le
elezioni regionali in Lombardia e in Lazio si sta
rivelando uno strumento inutile che manifesta
l’arroganza e il disprezzo delle regole da parte del
centrodestra.
I tribunali amministrativi di Lazio e Lombardia e
l’ufficio elettorale di Roma hanno emesso sentenze che,
almeno finora, dimostrano che il decreto non ha cambiato
le leggi in vigore, e, quindi, non ha influito sulle
decisioni degli organi competenti ad accogliere le
liste.
In questa situazione tesa e confusa Di Pietro e altri
suoi colleghi di partito hanno individuato Giorgio
Napolitano come responsabile del decreto e ne hanno
invocato a gran voce l’impeachment, che nel nostro
ordinamento si chiama messa in stato d’accusa e
sospensione. Questa richiesta è sbagliata perché il
presidente Napolitano non ha alcuna responsabilità
rispetto al decreto e rischia di aprire un
pericolosissimo conflitto istituzionale e di indebolire
il Presidente.
La Costituzione, all’articolo 77, stabilisce che «il
governo adotta, sotto la sua responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge», e,
all’articolo 87, che il Presidente della Repubblica
«emana i decreti aventi valore di legge». Il decreto
legge, dunque, è adottato dal governo, che ne assume la
piena responsabilità, ed è emanato dal Presidente. Egli
può agire diversamente soltanto di fronte ad una legge
già approvata dal Parlamento: il Presidente può, con un
messaggio motivato, rinviare la legge alle Camere, e, in
caso di nuova approvazione, deve promulgarla.
Nel nostro ordinamento il Capo dello Stato garantisce e
rappresenta l’unità nazionale, non é né un giudice
amministrativo né una corte costituzionale. Infatti
tutte le leggi dichiarate incostituzionali dalla Corte
Costituzionale sono state firmate dai diversi Presidenti
della Repubblica. Appurato che la richiesta di Di Pietro
di mettere in stato d’accusa Napolitano è priva di
qualsiasi ragionevole fondamento, cosa accadrebbe se
qualcuno, ad esempio Berlusconi, prendesse sul serio il
leader dell’Italia dei valori? Il Presidente sarebbe
sottoposto ad un’indagine istruttoria del comitato
parlamentare per i procedimenti d’accusa.
Il comitato, dove il centrodestra ha la maggioranza,
presenterebbe una relazione al Parlamento che, in seduta
comune e a maggioranza assoluta, approverebbe, sulla
base degli attuali schieramenti politici, la messa in
stato d’accusa. A questo punto il Presidente sarebbe
giudicato dalla Corte Costituzionale, integrata da 16
componenti estratti da un elenco compilato dal
Parlamento.
In caso di una prevedibile sentenza di condanna il
Parlamento procederebbe all’elezione di un nuovo
Presidente, che, con molte probabilità potrebbe essere
l’attuale Presidente del Consiglio. E’ questa la
strategia dell’Italia dei valori? Consegnare al
centrodestra e a Berlusconi la possibilità di eleggere
il presidente della Repubblica? Mi auguro di no ma,
comunque, la richiesta di impeachment ha danneggiato il
centrosinistra e reso più complicato il già molto
difficile lavoro del Presidente Napolitano.
La posizione di Di Pietro punta, accreditandosi in modo
demagogico come il nemico più duro di Berlusconi, a
sottrarre voti al Partito Democratico. Così in realtà si
producono solo liti e scontri, si indebolisce
l’autorevolezza del Presidente della Repubblica e si
perde un’occasione per far riflettere gli elettori di
centrodestra sui limiti e gli errori del Governo.
Di fronte a un esecutivo che ha approvato un decreto
inutile e arrogante l’opposizione non deve tirare in
ballo il Presidente Napolitano, deve impegnarsi per
spiegare agli italiani le responsabilità del
centrodestra e per impedire in Parlamento la conversione
in legge del decreto.
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Per
reagire alla grave violazione delle regole
democratiche compiuta dal Governo Berlusconi con il
c.d. "decreto salva-liste PDL" e per ostacolare la
sua conversione in legge, il Partito Democratico
alla Camera ha avviato l'ostruzionismo sui
principali provvedimenti governativi in discussione,
in particolare sulla conversione del decreto sugli
Enti locali.
Intervento in assemblea
dell'On. Naccarato sul decreto
Enti Locali
Signor
Presidente, svolgo una considerazione che è stata
già ripresa da alcuni colleghi: il decreto-legge,
purtroppo, si inserisce in un contesto di assoluta
schizofrenia legislativa. Abbiamo visto il
provvedimento sul federalismo fiscale circa un anno
fa, la legge finanziaria che ha previsto misure
ordinamentali per i comuni, questo decreto-legge e
in contemporanea la presentazione della cosiddetta
Carta delle autonomie. In ognuno di questi
provvedimenti ci sono contenuti diversi rispetto
all'organizzazione delle autonomie locali nel nostro
territorio e già questo, purtroppo, la dice lunga
sull'interesse che il Governo ha rispetto a queste
questioni. L'altro aspetto molto importante riguarda
le questioni economiche in termini di trasferimento.
I tanto decantati tagli ai costi della politica, che
si traducono poi dal punto di vista pratico in
riduzione del numero di consiglieri comunali,
assessori e consigli circoscrizionali, secondo i
conti proposti nel decreto-legge, ammontano a 300
milioni di riduzione in tre anni, una cifra
assolutamente modesta e soprattutto assolutamente
ingiustificata rispetto ai danni che si producono
nei comuni. Se si pensa che contemporaneamente con
questo provvedimento il comune di Roma riceve 1
miliardo 600 milioni in tre anni - questi sono i
dati contenuti nel decreto-legge - capiamo che tutta
la demagogia sui tagli in realtà serve a finanziare
in questo caso il comune di Roma, mentre prima era
capitato ai comuni di Palermo e di Catania, comuni
che invece non hanno rispettato nel corso degli anni
le caratteristiche del Patto di stabilità.
Se ci pensiamo bene, colleghi, mi rivolgo in
particolare ai parlamentari della Lega Nord, questo
è il motivo per cui il Governo ha posto la questione
di fiducia, perché ha capito perfettamente che su
questa parte del provvedimento la Lega non avrebbe
potuto accettare le condizioni poste dal
decreto-legge.
Infatti, se pensiamo che con questo provvedimento si
tagliano risorse a comuni che hanno mantenuto il
Patto di stabilità e che si sono dimostrati virtuosi
- non credo che si possa parlare di tagli ai costi
della politica, quando riduciamo i gettoni dei
consiglieri circoscrizionali, che guadagnano 8, 10 o
12 euro a seduta e che di fatto in modo
assolutamente volontario svolgono la loro funzione
pubblica - e che tutto questo serve solo a
trasferire maggiori risorse al comune di Roma,
capisco che questo aspetto non poteva essere
sostenuto e supportato anche dai parlamentari della
Lega senza il ricorso al voto di fiducia. Questo è
un punto che bisogna avere chiaro, perché la fiducia
la usano contro di voi. È un modo con cui si blocca
il Parlamento, si riduce l'opposizione a discutere
ricorrendo agli ordini del giorno, ma in realtà
serve ad impedire ad una parte della stessa
maggioranza di poter modificare in meglio il
provvedimento. Anche qui, faccio rapidamente pochi
conti, a proposito di quali risorse vengono davvero
trasferite al sistema delle autonomie locali e dei
comuni.
Considerando il periodo tra il 2003 e il 2009,
quindi si sono alternati Governi di diverso tipo, a
tutti i comuni del Veneto, nel 2003, erano stati
trasferiti dallo Stato 956 milioni di euro. La fonte
è il Ministero dell'interno; quindi, credo che i
dati siano stati anche visti e preparati dai
collaboratori del Ministro Maroni. Nel 2009, invece,
i comuni del Veneto hanno ricevuto come
trasferimenti 786 milioni di euro.
Se a questo si aggiunge che mancano ancora 35
milioni di mancato rimborso ICI sulla prima casa per
il 2008, solo per la parte che riguarda il Veneto,
in sei anni i trasferimenti si sono ridotti di 205
milioni, pari al 21 per cento.
Questa è la situazione dei trasferimenti rispetto ad
una delle regioni di cui spesso una parte della
maggioranza si riempie la bocca a parole, ma poi,
nei fatti, questi sono i dati. È evidente che, di
fronte a questo taglio sistematico delle risorse dei
comuni, questi ultimi non sono più in grado di
svolgere alcune delle funzioni e delle competenze
che in maniera propagandistica continuamente gli
vengono assegnate.
Pensate a tutta la vicenda della sicurezza: quanta
propaganda è stata fatta per dire che i sindaci
hanno ricevuto maggiori competenze su questo
versante. Se poi, accanto a questo, si riducono le
risorse e i trasferimenti ai comuni, è evidente che
quel tipo di servizi e di funzioni non possono
essere esercitati in maniera seria ed efficace da
parte dei comuni.
Un'ultima considerazione: il relatore per la V
Commissione è l'onorevole Bitonci, che è sindaco di
un comune della provincia da cui provengo anch'io,
il comune di Cittadella, che ha circa 20 mila
abitanti, qualcuno in meno. In quel comune oggi si
eleggono 20 consiglieri comunali e la giunta
nominata dal sindaco Bitonci ha ben sette assessori;
l'ha nominata a ordinamento vigente.
Sulla base di questo rapporto del 33 per cento per
quanto riguarda i consiglieri e assessori, poiché è
quasi così dappertutto nei comuni del Veneto,
sarebbe segno di buon gusto e di decenza, visto che
si parla di tagli, che si cominciasse proprio in
quelle realtà, prima del decreto-legge, a dare i
segnali di cui si è parlato.
Siccome, invece, si dice una cosa a Roma, ma poi nel
territorio si fa una cosa completamente diversa, mi
sembra giusto ricordarlo, perché la coerenza è una
cosa a cui teniamo molto.
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Per informazioni sulla manifestazione
collegatevi al link
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APPUNTAMENTI
GIOVEDI 18 MARZO ALLE ORE 21.00 PRESSO LE EX SCUOLE
DI CAGNOLA - CARTURA (PD)
PRESENTAZIONE DEI CANDIDATI
DEL PD ALLE ELEZIONI REGIONALI
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