Lo
scudo fiscale, una beffa
Il decreto sullo «scudo fiscale»
serve ad agevolare il rientro dei
capitali illegalmente investiti
all’estero. Così il governo
conferma, ancora una volta, di non
voler combattere l’evasione fiscale
e, addirittura, di volerla premiare.
Dopo aver cancellato la
tracciabilità dei pagamenti,
introdotta dal governo Prodi per
limitarli e renderli trasparenti,
ora la destra favorisce il rientro
di capitali depositati all’estero
con una ridicola imposta del 5%. E’
l’ennesimo condono che, per fare
cassa, favorisce pochi ricchi a
danno di tutti i cittadini onesti.
Infatti, il provvedimento premia chi
ha esportato all’estero soldi
derivanti da evasione fiscale o da
operazioni illegali.
Scaricate il testo del c.d.
"Decreto anticrisi"
NOTA DEL PD SUL Il DL 78 (sulla cui conversione in legge il Governo ha posto la fiducia) è il settimo decreto legge in materia economico-finanziaria e (includendo anche quello in materia di banche) il quarto cosiddetto “anticrisi”. In realtà anche in questo caso di anticrisi c'è molto poco tanto che, almeno per quanto riporta la relazione tecnica, si tratta di un provvedimento che migliora i saldi (molto probabilmente anche in questo caso non sarà così, le coperture sono molto incerte). In breve, le principali misure contenute nel decreto presentato alla Camera e le modifiche apportate in commissione. Sviluppo Tremonti-ter (detassazione utili reinvestiti in macchinari articolo 5). Esclusione dall'imposizione sul reddito di impresa del 50% del valore degli investimenti in macchinari e apparecchiature compresi nella divisione 28 della tabella Ateco, fatti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2010. Si tratta di una norma molto attesa ma che rischia di essere inefficace perché troppo stringente nei requisiti: beni ammissibili (solo macchinari), soggetti e categoria fiscale (solo imposte dirette e non Irap, escluso chi opera in contabilità semplificata), requisiti temporali. Meglio sarebbe stato ridare piena efficacia agli strumenti introdotti dal Governo Prodi e sostanzialmente vanificati da Tremonti (es. il credito d'imposta per la ricerca che pochi giorni fa ha esaurito le prenotazioni telematiche in pochi secondi, il credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, la detrazione per le spese per l'efficientamento energetico, ecc.). Pagamenti dei debiti della PA (articolo 9). Per il pagamento del pregresso si stabilisce che alcuni miliardi saranno messi a disposizione dall'assestamento (sembrerebbero 18). Questo riguarda solo lo Stato (mentre per gli enti locali si è provveduto con gli emendamenti, si veda in seguito). Per il futuro, nonostante l'impegno europeo, si rischia persino di peggiorare la situazione, perchè si stabilisce che il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti necessari sia in linea con gli stanziamenti di bilancio e con le regole della finanza pubblica: la violazione di questo obbligo comporta responsabilità disciplinare e amministrativa. Questo rischia di determinare la paralisi. Fisco e paradisi fiscali
Compensazioni crediti fiscali
(articolo 10). Viene
riorganizzato il sistema delle
compensazioni fiscali, con lo scopo
di contrastare gli abusi e per
incrementare la liquidità delle
imprese. Fra le principali novità,
un controllo più incisivo sulla
spettanza del credito Iva annuale
chiesto a rimborso e la
compensazione del credito annuale
per importi oltre i 10mila euro
annui. La misura è resa necessaria
dal rilevante ammontare delle
compensazioni inesistenti (anche se
il Governo finora non ha fatto che
soppriemere tutte le principali
norme antievasione). La misura più
richiesta (innalzamento a 700mila
euro del limite massimo di crediti
d'imposta e contributivi
compensabili è però rimasta solo
un'eventualità. Svalutazione fiscale dei crediti in sofferenza (articolo 7). Dopo avere, esattamente un anno fa, inasprito il regime fiscale della svalutazione dei crediti bancari in sofferenza (esempio di scarsa lungimiranza da parte di Tremonti, perché rappresenta un disincentivo alla concessione di credito) si fa parzialmente marcia indietro, incrementando, in maniera molto macchinosa e di difficile applicazione, la percentuale incrementale della svalutazione fiscalmente deducibile degli accantonamenti per rischi su crediti. Lavoro
Premio di occupazione
(articolo 1, commi da 1 a 4).
In via sperimentale per gli anni
2009 e 2010, si consente alle
imprese di utilizzare in progetti di
formazione o riqualificazione i
lavoratori già destinatari di
trattamenti di sostegno al reddito
in costanza del rapporto di lavoro.
. La disposizione prevede che la
formazione possa includere anche
“attività produttiva connessa
all’apprendimento”. Si tratta di
un’innovazione di grande portata che
non si può escludere che possa
preludere a pratiche discorsive
nell’utilizzo di tale istituto, con
una conseguente impennata delle
richieste. Contratti di solidarietà (articolo 1, comma 6). In via sperimentale per il 2009 e il 2010 è prevista la stipula di contratti di solidarietà che prevedono un aumento del trattamento pari al 20% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione di orario, per una durata massima fino al 31 dicembre 2010. Assunzioni precari (articolo 17, comma da 10 a 19). Previsti dalle leggi finanziarie 2007 e 2008. Ci sarà un percorso di reclutamento speciale, per il triennio dal 2010 al 2012, fondato sul concorso pubblico, per il personale che pur avendo i requisiti previsti dalle citate leggi finanziarie non può beneficiare dei percorsi di stabilizzazione previsti essendo la vigenza degli stessi limitata al 31 dicembre 2009. E' data possibilità, anche, alle amministrazioni di poter riservare ai precari una percentuale non superiore al 40 per cento dei posti complessivi messi a concorso. Le graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 1° gennaio 2004, sono prorogate al 31 dicembre 2010. Tali misure rischiano di risultare quasi del tutto inefficaci per moltissime amministrazioni, laddove permanga il blocco del turnover del 10 per cento. Altre misure Ripresa versamenti Abruzzo (articolo 25, commi 2 e 3). Si tratta di uno degli aspetti più gravi del provvedimento e che il Partito democratico ha denunciato in tutte le sedi. Infatti, contrariamente a quanto concesso in occasione di precedenti calamità, il DL stabilisce che i tributi sospesi per il 2009 a cittadini e imprese dei comuni colpiti dal sisma dovranno avvenire già a decorrere dal 1° gennaio 2010. In sostanza, dal 1° gennaio, le popolazioni colpite dal terremoto non solo dovranno riprendere a versare regolarmente tasse e contributi, ma sarà chiesto loro anche di restituire tasse e contributi sospesi per l’anno 2009, integralmente e con una semplice rateizzazione di 24 mesi, condizione mai applicata in casi analoghi (di solito la rateizzazione è molto più lunga e su un ammontare ridotto forfetariamente a meno della metà). Alitalia (articolo 19, commi 3 e 4). Salgono al 70,97% i rimborsi per i piccoli obbligazionisti Alitalia. Saranno rimborsati anche gli azionisti che potranno cedere al ministero dell'Economia i propri titoli per un controvalore determinato sulla base del prezzo medio di borsa delle azioni nell'ultimo mese di negoziazione ridotto del 50 per cento. Agli azionisti vengono concessi titoli di Stato: in sostanza, tutti i contribuenti dovranno contribuire a ripagare parzialmente i risparmiatori danneggiati dall'attuale Governo. Interventi urgenti reti energia (articolo 4). Sarà un commissario con poteri sostitutivi e derogatori.a seguire la realizzazione degli interventi relativi a reti per la trasmissione e distribuzione dell'energia, realizzati con capitale prevalentemente o interamente privato, per i quali ricorrano particolari ragioni di urgenza in riferimento allo sviluppo socio-economico. Ancora una volta si ricorre ai commissari e si escludono cittadini e amministrazioni interessate. Massimo scoperto (articolo 2, comma 2). Visto che la norma di soppressione del massimo scoperto introdotta dal Governo nel DL 185 ha consentito molte scappatoie alla banche, si prevede che l'ammontare del corrispettivo omnicomprensivo non possa superare lo 0,5%,per trimestre, dell'importo dell'affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione. Le principali modifiche apportate in Commissione Scudo fiscale Si consente di rimpatriare i capitali esportati all’estero pagando una aliquota del 5% sul capitale. La norma è però ambigua e quindi eludibile: chi riuscisse a dimostrare di aver detenuto capitali per un periodo inferiore potrebbe arrivare a pagare solo l’1% (anche il sottosegretario Vegas lo ha confermato seppure non ufficialmente). Sono esclusi dallo scudo tutti i reati tranne l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele: attenzione però, perché bisogna ricordare che la dichiarazione di adesione allo scudo è anonima, quindi l’esclusione dei reati significa solo che chi dovesse subire, in seguito e per ragioni non legate allo scudo, un accertamento o un’indagine non sarebbe protetto dallo scudo stesso. Di dubbi invece ne restano, e tanti, sulle modalità del rimpatrio (quali attività far rientrare e come), se fuori o dentro l'Ue, e sul rapporto tra regolarizzazioni e rientri: tecnicismi tutt'altro che scontati. Pensioni rosa Per le donne nel pubblico impiego l'età per la pensione passerà da 60 a 61 anni dal prossimo 1° gennaio. Proseguirà l'aumento di un anno ogni biennio (secondo scatto nel 2012) fino ad arrivare all'età di 65 anni che è quella già prevista per gli uomini. In questo modo il governo ritiene di dare attuazione a una sentenza della Corte di giustizia europea. Per le finestre si prevede che dal 1 gennaio 2015 i requisiti per l'età anagrafica siano adeguati all'incremento della speranza di vita accertati dall'Istat, con riferimento al quinquennio precedente. L’uso strumentale della sentenza risulta palese poiché questo caso specifico ha subito un’accelerazione mai vista in altri casi simili o addirittura più gravi. il caso italiano si caratterizza anche sul piano della discriminazione economica, infatti, la donna che va in pensione 5 anni prima dell’uomo versa cinque anni in meno di contributi (considerato che mediamente il livello retributivo femminile in Italia è ampiamente inferiore a quello maschile), determinando, con contributi, una pensione più bassa. Infatti, se confrontiamo il nostro paese con gli altri paesi europei, vediamo che in Italia vi è la maggiore differenza dell’entità delle pensioni fra uomini e donne, calcolata come percentuale sull’ultimo stipendio (gli uomini ricevono il 64% contro il 46% delle donne) rispetto alla media europea. Per quanto concerne, infine, la previsione di rivedere a decorrere dal 2015 il limite di età minimo per l’accesso alla pensione, sulla base di indicatori demografici Istat (comma 2), va rilevato innanzi tutto la incongruenza dell’introduzione di tale previsione all’interno di un decreto legge, laddove la loro efficacia non si produrrà prima di 6 anni. Peraltro, la disposizione si configura come una sorta di delega in bianco al Governo, il quale sarebbe autorizzato a determinare con un proprio regolamento – non con norma legislativa, come sin qui sempre avvenuto – il limite anagrafico per accedere al godimento del diritto al trattamento previdenziale. Pensioni PA Per andare in pensione nella pubblica amministrazione occorreranno 40 anni di contributi, contando anche l'eventuale contribuzione figurativa come i riscatti della laurea o del periodo di leva. Almeno dal 2009 al 2011. «Salvati» solo magistrati, professori universitari e dirigenti medici responsabili di struttura complessa. Nel 2009, 2010 e 2011 i dipendenti pubblici, saranno, dunque, obbligati ad andare in pensione con 40 anni di contributi sia figurativi sia da riscatto: attualmente la misura nella riforma Brunetta era prevista per la sola contribuzione effettiva. Le amministrazioni pubbliche possono «a decorrere dal compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente» risolvere «unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici». Patto di stabilità per i pagamenti degli enti locali Vengono esclusi dal patto di stabilità interno i pagamenti effettuati a valere sui residui passivi degli enti locali (meccanismo analogo a quanto già previsto dal decreto approvato dal CDM per i pagamenti dei ministeri) fino a un limite di 2 miliardi di euro. È positivo, anche noi avevamo chiesto un meccanismo analogo ma per importi più ampi (5 miliardi). Sanatoria per le slot machine. Le novità contenute nell'emendamento al decreto anticrisi dei relatori, arricchito da proposte di altri parlamentari, contengono una sanatoria per le violazioni sui versamenti delle imposte sulle slot machine: l’impatto delle nuove norme non è chiaro, perché sulle concessionarie grava una multa da 90 miliardi della Corte dei conti, somma di tasse non pagate, contratti non rispettati e interessi; non c’è uniformità di giudizio se la sanatoria vada a incidere su tutto questo ammontare o solo su una parte (abbiamo chiesto chiarimenti al Governo). Novità anche per il bingo, con la possibilità di istituire una nuova forma di giocata con l'estrazione dal numero 1 al 100. Nuove scadenze, poi, per il pagamento dell'imposta unica sulle scommesse. Badanti e colf Praticamente all’indomani dell’approvazione definitiva del DDL sicurezza e, dunque, a ridosso dell’introduzione nel nostro ordinamento del reato di clandestinità, con quest’emendamento al Decreto anti - crisi il Governo sta cercando, in modo decisamente parziale e un po’ confuso, di porre rimedio ai danni e ai moltissimi problemi che la sua stessa assurda nuova normativa sta già creando alle famiglie e ai lavoratori stranieri coinvolti (in Italia si contano 600 mila lavoratori domestici registrati all’Inps, in gran parte donne straniere, e le stime che comprendono le colf e le badanti irregolari arrivano a calcolarne fino al doppio. L’ultimo decreto flussi ne ha previsto l’ingresso per poco più di 100 mila, in aggiunta ai 90 mila del decreto precedente del 2007, quando al Ministero arrivarono 420.366 domande per lo svolgimento di attività domestiche e di cura sul totale di 740.813 istanze presentate. Inoltre sono decine di migliaia le famiglie che hanno inoltrato richieste per nulla osta all'ingresso di lavoratore straniero già nel 2007, che in buona parte hanno già in casa la persona, ma ancora non hanno ricevuto risposta). La sanatoria proposta dal Governo riguarda solo colf e badanti, introducendo una discriminazione nei confronti di tutti gli altri lavoratori, non parte dai dati già in possesso del Ministero dell`Interno delle domande inoltrate a partire dal 1° gennaio 2007: inoltre, introduce, in modo abbastanza ambiguo, un requisito di reddito, fissato tra i 20.000 euro annui in caso di famiglia composta da un solo soggetto percettore di reddito ovvero di un reddito complessivo non inferiore a 25.000 euro annui in caso di nucleo familiare composto da più soggetti conviventi percettori di reddito, che rischia di tagliar fuori moltissimi anziani, o persone non autosufficienti, con bassi redditi; in questo modo l'80% delle potenziali badanti non potra' mai emergere. Per un cittadino non sarà neanche possibile, ad esempio, regolarizzare un immigrato che assista un suo genitore non autosufficiente che percepisca la pensione minima, a meno che non costituiscano un unico nucleo familiare. Banca d’Italia Si mantiene l’imposta del 6% sulle riserve auree della Banca d’Italia, prevedendo però un semplice parere della BCE. Noi chiedevamo invece una autorizzazione. Capitalizzazione delle imprese. Approvato l’emendamento che dovrebbe favorire la capitalizzazione delle imprese. Si dà una esenzione fiscale per versamenti (fino a 500.000 euro) effettuati da persone fisiche nei confronti di società. Non sembrano esserci controindicazioni, piuttosto sembra una norma scarsamente efficace. Le nostre proposte per affrontare seriamente la crisi Su misure di preminente interesse come lo scudo e le pensioni i tempi e i modi adottati dal governo e dalla maggioranza hanno impedito un approfondito e reale confronto, così inibendo la possibilità di avanzare precise proposte in materia.
1. credito d’imposta per gli investimenti. Proponiamo di allargare i beni oggetto di beneficio, previsti dalle norme sulla detassazione degli utili reinvestiti, ad altri tipi di investimenti compresi gli strumenti per il risparmio energetico e a quelli legati all’innovazione. Lo strumento da usare è secondo noi quello del credito di imposta. Soluzione che ha anche il vantaggio di essere sfruttabile già per il 2009 e non dal 2010 come nella proposta di governo. Inoltre, proponiamo che la norma non sia diretta solo al reddito da impresa ma a tutto il lavoro autonomo. Infine, un aspetto prioritario per noi è che la misura agevolativa sia incrementata nel mezzogiorno. 2. accelerazione dei pagamenti della pubblica amministrazione. Per i crediti relativi al periodo fino al 31 dicembre 2008, proponiamo di estendere alle Regioni e agli Enti locali la possibilità di pagare il 30 per cento dei debiti in deroga al patto di stabilità interno. Proponiamo inoltre di dare ai fornitori, da parte della stessa PA, la certificazione del credito. Certificazione utile a ottenere liquidità con la cessione del credito attraverso le banche o la Cdp (in convenzione con il ministero dell’Economia). Per il futuro, proponiamo di semplificare norme che, così come sono, rischiano di paralizzare ancora più gravemente la situazione. 3. favorire il credito delle banche alle imprese. Proponiamo un fondo presso la gestione separata della Cdp di 4 miliardi per il 2009-2010 destinato alla prestazione di garanzie alle banche su finanziamenti a medio e lungo termine, anche garantiti dai confidi, concessi dalle banche alla Pmi, per favorire le operazioni di consolidamento a medio termine dei debiti a breve e la sospensione dei pagamenti per i prestiti già concessi”. 4. universalizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali. Ci prefiggiamo di dare una risposta forte alla crisi intervenendo sul settore più a rischio, quello della precarietà, in favore dei 3 milioni di lavoratori precari privi di qualsiasi tutela, per estendere anche a essi gli attuali istituti degli ammortizzatori sociali. Potranno accedere alle tutele previste i lavoratori che fino ad ora ne risultano esclusi (vale a dire i lavoratori a tempo determinato e indeterminato appartenenti ai settori e alle imprese che non risultano destinatari di alcun trattamento di integrazione salariale), ai quali vengono la cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, l'indennità di mobilità e l'indennità di disoccupazione. L'entità e la durata minima dei trattamenti non potranno essere inferiori al 60 per cento rispetto ai limiti previsti dalla legislazione vigente. 5. agevolazioni per le popolazioni colpite dal terremoto in Abruzzo. In analogia a quanto avvenuto per precedenti calamità, abbiamo proposto un differimento al 1° giugno 2010 della ripresa dei versamenti fiscali e contributi e il rinvio al 2019 del recupero delle imposte e dei contributi sospesi per l’anno in corso, con un abbattimento al 40% del dovuto e una rateizzazione in 120 mesi (trattamento analogo a quanto riconosciuto alle popolazioni di Umbria e Marche).
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IL TEMA DELLE
PENSIONI
Nel novembre 2008 l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia europea perché il regime pensionistico dei dipendenti pubblici - che prevede un’età pensionabile di 60 anni per le donne e 65 per gli uomini - contravviene all’art. 141 del Trattato CE che vieta qualsiasi discriminazione retributiva in base al sesso.
Vista la proposta di riforma del sistema avanzata a suo tempo dal Governo, abbiamo avviato un dibattito sul tema, per individuare una soluzione alternativa nonché una riflessione più ampia sulla necessità di creare un nuovo modello di welfare. Il dibattito ha coinvolto le commissioni interessate al tema di Camera e Senato nei mesi di marzo, aprile e maggio. Hanno anche partecipato esperti e segretari confederali di CGIL, CISL, UIL.
Sulla base di questa discussione avanziamo alcune proposte:
- Stipulare un “nuovo contratto sociale”, non solo per le dipendenti del settore pubblico, ma per tutte le lavoratrici e i lavoratori. - Fondare la definizione delle età pensionabili sulla flessibilità, recuperando la legge Dini del 1995. - Proporre un’età pensionabile inserita in un range compreso fra i 60 e i 70 anni, all’interno del quale i lavoratori e le lavoratrici possano esercitare una scelta individuale e volontaria. - Utilizzare i risparmi derivanti dal nuovo regime per disegnare un nuovo sistema di welfare basato sull’effettiva eguaglianza di opportunità tra uomini e donne, che concili il lavoro famigliare e la vita professionale.
I. INTRODUZIONE: I FATTI
La sentenza della Corte Il 13 novembre 2008 una sentenza della Corte di giustizia europea (Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, causa C-46/07), emessa a seguito della procedura di infrazione avviata nel luglio 2005 dalla Commissione europea, ha condannato l’Italia per aver mantenuto in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, contravvenendo al disposto dell’articolo 141 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Nell’avviare la procedura di infrazione, la Commissione europea ha sostenuto che il regime gestito dall’INPDAP è un regime c.d. professionale al quale si applica la direttiva 86/378/CEE, modificata dalla direttiva 96/97/CE, nonché l’articolo 141 del Trattato, i quali vietano qualsiasi discriminazione retributiva in base al sesso. Di conseguenza, il regime pensionistico definito in Italia per il pubblico impiego è stato ritenuto un regime discriminatorio in quanto stabilisce che l’età pensionabile sia di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne.
La Corte ci contesta, in particolare, la funzione suppletiva, o compensativa che in Italia, di fatto, svolge la differenza di età pensionabile tra uomini e donne. E’ un “risarcimento” che non è considerato idoneo e sufficiente né a garantire un’effettiva parificazione tra uomini e donne, né ad assicurare il rispetto delle norme europee che mirano a garantire generali e concrete condizioni di vera pari opportunità. Per realizzare quella parità effettiva di condizioni lavorative tra uomini e donne di cui all’art. 141, comma 4, la Corte autorizza gli stati membri a mantenere o adottare misure che prevedano vantaggi specifici, diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne. Da questo è chiaro come la differenza tra uomini e donne in età pensionabile non svolga una funzione suppletiva o compensativa minima sufficiente, e che, in base ai trattati Comunitari e secondo l’interpretazione della Corte, al fine di creare un’effettiva parità vada introdotto un sistema sociale e di welfare che fornisca quei servizi minimi che mancano in Italia e la cui mancanza va a netto svantaggio delle lavoratrici.
La vicenda che riguarda l’età di pensionamento delle donne nelle pubbliche amministrazioni è esemplare sotto numerosi profili e va affrontata con determinazione, perché rischia di accreditare una confusa idea di Europa e questo proprio sul tema della parità tra donne e uomini, su cui, al contrario, l’apporto delle istituzioni europee è stato determinante. Il rischio, infatti, è che la sentenza venga strumentalizzata dal governo italiano per raggiungere obiettivi ben lontani da quelli previsti dai trattati europei e perseguiti dalla Corte. Le istituzioni europee sono state e restano motore di sviluppo della parità di trattamento e dei divieti di discriminazione con una normativa che è posta a fondamento della stessa costruzione europea. Oggi il governo italiano vuole nascondersi dietro la sentenza della Corte per un semplice innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni senza, peraltro, una esplicita destinazione delle risorse risparmiate a vantaggio delle donne. Non condividiamo l’utilizzo strumentale che si è fatto della sentenza perché lo spirito era a favore delle donne e si potevano scegliere altri strumenti per favorire pari opportunità contro le discriminazioni. Il risultato sarebbe un netto peggioramento delle condizioni delle lavoratrici, presentato come “imposto da Bruxelles”, utilizzando cioè nuovamente l’Unione europea come comodo capro espiatorio.
L’uso strumentale della sentenza risulta palese poiché questo caso specifico ha subito un’accelerazione mai vista in altri casi simili o addirittura più gravi. Nel caso specifico si tratta di una condanna della Corte di Giustizia sulla quale, da poco, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione. Al contrario di quanto sta succedendo, ad esempio, per la legislazione relativa al divieto di lavoro notturno delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e il primo anno di vita del figlio, per la quale a gennaio è arrivata la messa in mora della nostra legislazione. Di questo, e della multa che ne deriverà, nessuno parla, né il governo mostra la stessa solerzia nell’adempiere ai suoi obblighi.
II. LA RISPOSTA DEL GOVERNO
La soluzione prospettata dai Ministri Brunetta e Sacconi, infatti, è quella di attuare con flessibilità e gradualità l’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne innalzando il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia delle donne nella pubblica amministrazione dagli attuali 60 a 65 anni entro il 2018 e introducendo dal 2015 un automatismo per adeguare l’età della pensione all’eventuale allungamento delle aspettative di vita, senza in realtà considerare la parte essenziale degli obblighi comunitari e della sentenza, relativi alle misure di sostegno alle donne lavoratrici e ignorando totalmente gli obiettivi di Lisbona in materia di occupazione femminile. Secondo Lisbona l’occupazione femminile dovrebbe raggiungere il 60% entro il 2010. L’Italia si trova ben al di sotto dell’obiettivo finale,ed è ferma, penultima in Europa, al 46.7% (contro una media dell’UE del 57.4%). L’Unione europea come sappiamo considera di fondamentale importanza l’affermazione di politiche di pari opportunità quale strumento essenziale per la crescita. Per questo occorre perseguire tre obiettivi: 1) aumentare l’occupazione femminile, 2) equiparare le condizioni di partenza nella società tra uomini e donne, 3) includere la dimensione femminile in un nuovo patto intergenerazionale.
Partiamo dalla risposta alla sentenza europea. Secondo la Corte, la motivazione che regola la differenza di età pensionabile del nostro ordinamento, ovvero risarcire le donne mandandole in pensione prima, in realtà non le risarcisce affatto poiché diviene una comoda scusa per non affrontare il nodo dei servizi di cura e assistenza e perché comporta anche una discriminazione retributiva.
La nostra risposta. Non é più tempo per decidere un'unica età. Dobbiamo ripristinare il periodo flessibile di pensionamento, per le lavoratrici e per i lavoratori, già previsto dalla legge Dini del 1995. Si parla tanto di flessibilità e di libertà di scelta. Consentiamo allora che ciascuna e ciascuno di noi possa scegliere, tenendo conto dello stato di salute, del lavoro svolto, della situazione personale e familiare, della situazione contributiva. La strada dovrebbe, in altri termini, passare per l’ampliamento delle opportunità e non per la decimazione di diritti acquisiti o quanto meno di legittime aspettative. Le donne non sono una categoria omogenea: la loro situazione dipende dal tempo di lavoro che hanno alle spalle, dal lavoro che stanno svolgendo e dalle condizioni in cui è svolto, dalle scelte di vita e dalle condizioni di reddito. Non si tratta solo di lavori usuranti, dobbiamo ricominciare a pensare alle persone, nelle loro differenze. Ovviamente si dovrebbe entrare nel dettaglio delle molte differenze, ma può bastare ricordare tre caratteristiche delle donne pensionate, come risulta da un recente studio del Cnel: la maggioranza riceve pensioni di vecchiaia perché ha più difficoltà ad accedere a quelle di anzianità; la stragrande maggioranza delle pensioni è al minimo; spesso sono stati versati contributi che non hanno portato alla maturazione dei requisiti minimi.
Il vero problema è che nel nostro paese, come ha riconosciuto la Corte, la discriminazione non è solo relativa all’età anagrafica bensì è anche e soprattutto economica e di opportunità.
Discriminazione economica, perché se una donna che va in pensione 5 anni prima dell’uomo versa cinque anni in meno di contributi (considerato che mediamente il livello retributivo femminile in Italia è ampiamente inferiore a quello maschile) avremo una netta differenza economica. Meno contributi, pensione più bassa. Se confrontiamo il nostro paese con gli altri paesi europei vediamo che in Italia vi è la maggiore differenza dell’entità delle pensioni fra uomini e donne, calcolata come percentuale sull’ultimo stipendio (gli uomini ricevono il 64% contro il 46% delle donne) rispetto alla media europea.
Noi proponiamo un’età pensionabile inserita in un range compreso tra i 60 e i 70 anni, all’interno del quale prevedere la massima flessibilità. Chi vorrà andare in pensione prima potrà farlo volontariamente, così come chi vorrà restare attivo nel mercato del lavoro.
Questo consentirebbe, oltre ad un avvicinamento alla prassi europea – dove in alcuni dei paesi si sta innalzando l’età femminile a 65 anni e in altri si discute di alzarla, equiparandola a quella maschile, a 70 anni – e ad una maggiore conformità con la nuova “anagrafe” della società italiana, dove l’invecchiamento della popolazione è progressivo e in costante aumento, anche un notevole risparmio per le casse previdenziali. Da questo risparmio si libererebbero risorse per realizzare modelli più inclusivi, per consentire alle donne non tanto di andare in pensione prima o dopo, quanto di andare in pensione in condizioni più vantaggiose. Veniamo ora alla discriminazione di opportunità. Sappiamo quanto sia difficile per le donne accedere al mercato del lavoro e, una volta entrate, avere salari elevati nonché mantenere il posto di lavoro, in particolare in occasione di una maternità –ancora un nodo cruciale per molte tipologie di lavoratrici – o in caso di problemi famigliari come la cura di un anziano non autosufficiente.
Dobbiamo inoltre considerare l’aspetto dei servizi, che devono essere parte indispensabile del nuovo sistema di welfare che vogliamo proporre. Un sistema di welfare che dovrebbe puntare a rafforzare sia la permanenza sia la professionalità delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro, la conciliazione e la redistribuzione dei ruoli nella società.
Oggi sappiamo che la scarsa condivisione tra uomini e donne del lavoro famigliare fa sì che gli uomini abbiano in media più ore libere delle donne. Il sistema oggi regge grazie all’assunzione di responsabilità famigliare delle donne, alle reti familiari e all’apporto di immigrate (badanti, colf, ecc). Ma questa rete di aiuti informale è entrata in crisi. Il calo della fecondità, l’aumento dell’invecchiamento della popolazione, la crescita del lavoro femminile, non potrà che accentuare questa criticità. Questo dimostra come sia sempre più necessario un nuovo sistema di welfare, per evitare il peggioramento della qualità della vita. E’ necessario oggi più che mai conciliare le responsabilità famigliari con le politiche del lavoro. Servono più asili nido (i nostri dati indicano un 10% contro una copertura territoriale che dovrebbe essere del 33% secondo la strategia di Lisbona), servono strutture per la cura di persone anziane non più autosufficienti, servono servizi scolastici che tutelino i bambini in caso di orari lavorativi particolarmente lunghi dei genitori, va introdotto il congedo parentale maschile e pensate forme di congedo parentale per i nonni; dobbiamo aumentare le opzioni di flessibilità sull’orario di lavoro e sul lavoro a distanza, vanno studiate tutte quelle forme di servizi che permettano alle donne di conciliare la vita professionale con il lavoro famigliare che ancora grava pesantemente sulle loro spalle.
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IL
TEMA DELLA Condanne e aggravanti piu’ severe; iniziative di prevenzione da parte dello Stato. E’ questa in sintesi la proposta di legge contro la violenza sessuale licenziata dall’Aula della Camera e trasmessa al Senato per l’ok definitivo.
IL REATO - Viene
punito con il carcere da sei a 12
anni chiunque “con violenza,
minaccia o abuso di autorita’
costringe” una persona a compiere o
a subire atti sessuali. Alla stessa
pena soggiace chi induce a subire o
a compiere atti sessuali abusando
delle condizioni di inferiorita’
fisica o psichica della vittima.
Per scaricare il testo della
legge collegatevi al link ______________________________ IL PD VERSO IL CONGRESSO
Naccarato:
«Sto con Bersani.
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LUNEDI 27
LUGLIO ALLE ORE 21.00 PRESSO LA SALA
DANTE, P.ZZA DANTE
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