Sul
federalismo solo chiacchiere
Il Mattino di Padova,
26 marzo 2009
Il Pd si è astenuto sul
disegno di legge sul federalismo,
perché il provvedimento si limita a
enunciare dei principi ed è privo di
contenuti concreti. In questo modo
abbiamo voluto sottolineare il
nostro giudizio positivo sul
federalismo, come strumento per
rendere più efficiente il nostro
Paese, e nello stesso tempo
denunciare l’inconsistenza e
l’insufficienza della proposta della
destra. Ci siamo astenuti, come è
già avvenuto nella discussione in
Senato, per dimostrare di essere una
forza di opposizione seria, che
punta a ottenere risultati concreti
nonostante non abbia responsabilità
di governo, riformando gli assetti
istituzionali esistenti a vantaggio
di tutti i cittadini.
In questo senso, il provvedimento
sul federalismo votato alla Camera
dei deputati rappresenta certamente
un primo passo per riformare
l’Italia ed è doveroso ricordare che
è la logica conseguenza della
riforma del Titolo V della seconda
parte della Costituzione voluta dal
governo di centrosinistra nel 2001.
Ne è prova il fatto che la stessa
Lega Nord, che ha fatto del
federalismo il suo cavallo di
battaglia, dopo la bocciatura del
referendum sulla cosiddetta «devolution»
che mirava a stravolgere la Carta
costituzionale, è tornata sui suoi
passi, percorrendo la strada del
confronto parlamentare su questo
tema, proprio a partire dalla
riforma del titolo V della
Costituzione.
La nostra astensione è stata
determinata anche da alcuni aspetti
negativi e da alcune carenze.
Anzitutto i tempi. L’attuazione del
federalismo fiscale, secondo il
testo varato ieri, avverrà fra
almeno 5 anni. Per noi è un tempo
troppo lungo, che serve al governo
per rinviare le decisioni vere,
accontentando tutti ed evitando di
assumere impegni concreti. In
secondo luogo, la proposta
federalista del governo non
definisce con chiarezza quali
risorse verranno destinate alle
autonomie locali. Questa
indeterminatezza è molto grave,
soprattutto se si pensa, per
esempio, che oggi i Comuni si
trovano in grosse difficoltà
finanziarie, in particolare dopo la
decisione del governo di abolire
totalmente l’Ici anche per i redditi
alti. E’ stata una scelta
irresponsabile e demagogica. E’ così
che la destra garantisce un
federalismo efficace, affossando di
fatto i bilanci dei Comuni?
Probabilmente questi evidenti
limiti del disegno di legge sul
federalismo si spiegano con la
presenza, nella maggioranza di
governo, di forze politiche che in
realtà non vogliono attuare un
federalismo serio, e mirano a
conservare l’impianto dello Stato
centralista. Del resto più delle
parole parlano i fatti. E i fatti,
nonostante i proclami federalisti
della Lega Nord, sono chiari. Il
governo ha regalato milioni di euro
ai Comuni di Roma, Palermo e Catania
per ripianare i loro bilanci
disastrati. Anche in questo caso si
tratta di una scelta sbagliata, al
di là che le amministrazioni locali
in questione siano state di
centrosinistra o di centrodestra.
Non è un problema di schieramento
politico, ma di corretta e
responsabile amministrazione degli
enti locali.
E’ paradossale, poi, che proprio la
Lega Nord abbia assecondato senza
fiatare questi stanziamenti
straordinari di denaro pubblico a
favore di pochi Comuni non
certamente virtuosi. Inoltre, che
dire dell’ultima decisione del
governo di trasformare la città di
Reggio Calabria in area
metropolitana? Perché non fare lo
stesso, per esempio, con i Comuni di
Padova o Verona? Anche in questo
caso il silenzio della Lega Nord è
tanto più assordante se si pensa
che, dall’entrata in vigore della
legge sulle aree metropolitane nel
lontano 1990, non ne è stata
istituita neanche una prima di oggi.
Infine è in corso la beffa del
cosiddetto «piano casa»: un
provvedimento centralista, che
calpesta Comuni, Province e Regioni.
Il disegno di legge della
maggioranza, infatti, nel concreto
usurpa le funzioni proprie degli
enti locali in materia di
pianificazione urbanistica e
redazione dei piani regolatori. E’
in realtà un provvedimento
palesemente incostituzionale, dal
momento che, secondo la
Costituzione, la gestione del
territorio rientra a pieno titolo
nelle materie di competenza delle
autonomie locali.
Il Partito democratico si è
astenuto perché oltre ai proclami
adesso servono i contenuti. Non
servono le chiacchiere della destra,
ma provvedimenti e proposte concreti
che puntino a dare maggiori poteri e
risorse economiche certe alle
autonomie locali. Solo in questo
modo si può realizzare un
federalismo serio a vantaggio di
tutti i cittadini.
Ordine del giorno dell'On. Naccarato
sui criteri di predisposizione dei
bilanci dei Comuni
Camera dei
Deputati, 24 marzo 2009
La
Camera,
premesso che:
attualmente, le regioni, le
province, i comuni e gli altri enti
pubblici non hanno criteri uniformi
con cui redigere i loro bilanci;
l'assenza di uniformità è peraltro
una delle principali difficoltà
nell'analisi dell'impatto
finanziario della riforma, perché
mancano contabilità armonizzate;
è pertanto necessario dettagliare
maggiormente la definizione dei
bilanci pubblici armonizzati
rispetto a quanto contenuto nel
disegno di legge,
impegna il Governo
ad
adottare ulteriori iniziative
normative volte a definire sistemi
di contabilità pubblica uniformi per
gli enti e gli organismi sottoposti
al regime della contabilità
pubblica, in particolare prevedendo:
a) la predisposizione del
bilancio di previsione economica
annuale e pluriennale e del relativo
rendiconto annuale d'esercizio, del
conto previsionale del patrimonio e
del relativo rendiconto, del
bilancio finanziario e del relativo
rendiconto;
b) la pubblicazione dei
bilanci preventivi e consuntivi e
dei conti patrimoniali sul sito
web istituzionale delle
amministrazioni pubbliche per
garantire la trasparenza e la
pubblicità dei bilanci;
c) una classificazione delle
entrate e delle spese tale da
consentire la formazione dei saldi
per i quali le regole di
coordinamento della finanza pubblica
pongono vincoli quantitativi e da
assicurare il riscontro del rispetto
di eventuali limitazioni circa
l'ammontare di determinate entrate o
spese;
d) la pubblicazione
dell'entità di tali saldi, nonché
delle entrate e delle spese
sottoposte a eventuali limitazioni
nel quadro generale riassuntivo di
bilancio;
e) che i preventivi e i
bilanci pluriennali siano scorrevoli
per aggiornamento e prendano in
considerazione un arco di tempo
pluriennale;
f) una relazione
programmatica allegata al bilancio,
contenente la spiegazione delle
scelte effettuate e la
rappresentazione previsionale del
patrimonio, in coerenza con il
Documento di programmazione
economico-finanziaria e con i
corrispondenti documenti di
previsione dei diversi livelli
istituzionali di governo, e deve
consentire una lettura per missioni
e per programmi;
g) la coerenza con i principi
contabili pubblici e con i principi
contabili nazionali e
internazionali.
Naccarato, Marchignoli, Baretta,
Fluvi, Amici, Causi, Pizzetti,
Bersani, Lanzillotta, Boccia,
Calvisi, Capodicasa, Cesario,
Duilio, Genovese, Marchi, Cesare
Marini, Misiani, Nannicini, Andrea
Orlando, Rubinato, Vannucci,
Ventura, Carella, Ceccuzzi, D'Antoni,
De Micheli, Fogliardi, Gasbarra,
Graziano, Losacco, Ria, Sposetti,
Strizzolo, Ferrari, Fontanelli,
Giovanelli, Zaccaria, Vico
La mozione di Franceschini
sull'allentamento
del Patto di Stabilità dei Comuni
approvata dalla Camera dei Deputati
La
Camera,
premesso che:
i comuni e le province
versano in una situazione di grave
crisi economico-finanziaria, dovuta
a scelte quali l'inadeguata
copertura del mancato gettito
derivante dalla soppressione dell'Ici
sulla prima casa, il blocco
dell'autonomia impositiva degli enti
territoriali, il taglio dei
trasferimenti erariali e dei fondi
destinati alle politiche sociali, le
regole fortemente restrittive del
patto di stabilità interno;
dopo il significativo apporto reso
dall'intero comparto al riequilibrio
della finanza pubblica (secondo i
dati Istat, tra il 2004 e il 2007 i
comuni sono passati da un deficit di
3.689 milioni di euro ad un avanzo
di 325 milioni, mentre le province
hanno migliorato il loro deficit da
1.968 a 1.270 milioni), il
decreto-legge n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133,
all'articolo 77, ha imposto agli
enti locali un contributo alla
manovra finanziaria di 1.650 milioni
nel 2009 (di cui 1.340 a carico dei
comuni e 310 delle province), 2.900
milioni nel 2010 e 5.140 milioni nel
2011;
si tratta di un obiettivo che, se
non sarà allentato, determinerà per
molti enti l'oggettiva impossibilità
di rispettare il patto di stabilità
interno, un'ulteriore contrazione
della spesa per investimenti,
l'assenza di sostegno all'economia a
fronte della crescente stagnazione
produttiva;
con l'approvazione della legge
finanziaria per l'anno 2008
(articolo 1, comma 5) e,
successivamente, con l'approvazione
del decreto-legge n. 93 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 126 del 2008, l'abitazione
principale è stata esentata dal
pagamento dell'Ici, con l'eccezione
di una piccola minoranza di immobili
appartenenti alle categorie
catastali A1, A8 e A9 (abitazioni
signorili, ville e castelli);
il Governo, nel documento di
programmazione economico-finanziaria
2009-2013, ha assicurato l'integrale
copertura finanziaria del minor
gettito Ici ai comuni a partire
dall'anno 2008;
in realtà, i trasferimenti
compensativi per minori entrate Ici
sull'abitazione principale previsti
per l'anno 2009 nel bilancio dello
Stato ammontano a 2.604 milioni di
euro e, a legislazione vigente,
coprono una percentuale pari a circa
l'86 per cento del complessivo
gettito attestato dai comuni nel
corso del 2008. Appare, tuttavia,
verosimile ritenere che l'importo
che verrà certificato dai comuni
entro il 30 aprile 2009, in
esecuzione del comma 32
dell'articolo 77-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133,
supererà addirittura quanto
certificato nel 2008, perché,
tenendo conto delle stime del
gettito Ici sull'abitazione
principale di fonte Istat (3.831
milioni di euro), Anci (3.200
milioni di euro) e del Servizio
bilancio del Senato della Repubblica
(3.738 milioni di euro), la
copertura finanziaria per la
compensazione del minor gettito Ici
ai comuni è da ritenersi ampiamente
insufficiente, specie a fronte
dell'emergere di fenomeni di
cambiamenti di residenza o di
separazioni fra coniugi fittizie,
che provocano un restringimento
della base imponibile e una
riduzione del gettito;
il combinato disposto della legge
finanziaria 2008 (articolo 2, comma
31) e del decreto-legge n. 112 del
2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
(articolo 61, comma 11), impone un
taglio dei trasferimenti per gli
enti locali pari a 563 milioni di
euro: 313 milioni (di cui 251
milioni a carico dei comuni e 62 a
carico delle province) in relazione
alla riduzione dei costi della
politica (a fronte di risparmi
effettivi conseguiti assai inferiori
alle stime del Governo) e 250
milioni sotto forma di riduzione del
fondo ordinario destinato ai comuni
(200 milioni) e alle province (50
milioni);
per quanto riguarda le province, il
fronte del calo delle entrate,
principalmente collegate a tributi
relativi al mercato dei veicoli, sta
determinando evidenti difficoltà a
gestire i bilanci per l'anno 2009,
inasprendo ulteriormente i già
pesanti vincoli. Dalle rilevazioni
effettuate dalle province, infatti,
emerge che per quanto concerne l'Ipt,
gli incassi 2008 fanno registrare un
-8 per cento rispetto al 2007,
mentre il dato di gennaio 2009 è
addirittura inferiore del 25 per
cento rispetto allo stesso mese del
2008; ancor meno confortante è il
dato relativo all'imposta
responsabilità civile auto, dove
annualmente il 2008 ha chiuso con un
-5 per cento e la differenza tra
gennaio 2009 e gennaio 2008 è
addirittura del 14 per cento;
il comma 8 dell'articolo 77-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
come modificato dalla legge n. 203
del 2008 (legge finanziaria per il
2009), dispone che le risorse
originate da una serie di operazioni
di carattere straordinario (cessioni
di azioni o quote di società
operanti nel settore dei servizi
pubblici locali, distribuzione dei
dividendi determinati da operazioni
straordinarie poste in essere dalle
predette società qualora quotate sui
mercati regolamentati e vendita del
patrimonio immobiliare) non sono
conteggiate nella base assunta nel
2007 a riferimento per
l'individuazione degli obiettivi e
dei saldi utili per il rispetto del
patto di stabilità interno, se
destinate alla realizzazione di
investimenti o alla riduzione del
debito;
con la circolare n. 2 del 27 gennaio
2009, sul patto di stabilità interno
per il 2009-2011, la Ragioneria
generale dello Stato ha interpretato
il dettato letterale del comma 8 in
senso fortemente restrittivo,
stabilendo che l'esclusione delle
suddette risorse deve essere
riferita non solo al saldo
finanziario preso a base di
riferimento, ossia l'anno 2007, ma
anche al saldo di gestione degli
anni del patto 2009-2011, con il
rischio di una vera e propria
paralisi degli investimenti degli
enti locali (che rappresentano una
quota maggioritaria del totale degli
investimenti pubblici);
la citata circolare ha evidentemente
snaturato la portata della norma,
poiché l'esclusione dei proventi di
cui al citato comma 8 non solo dalla
base di riferimento 2007, ma anche
dai saldi utili ai fini del patto di
stabilità interno 2009/2011, limita
fortemente l'opportunità degli enti
locali di destinare ad investimenti
le risorse conseguite con
dismissioni di azioni, quote di
società, vendite di immobili e
dividendi e rende difficile la
programmazione delle spese in conto
capitale, spese da sottoporre a
revisione ogni anno del triennio
2009-2011 per la verifica del
rispetto del patto;
questo significa cancellare dai
bilanci dei comuni almeno 1.700
milioni di euro di operazioni
virtuose, bloccando ulteriormente
pagamenti di investimenti già
realizzati e l'utilizzo degli avanzi
di amministrazione proprio per quei
comuni, che più hanno contribuito al
patto negli anni scorsi;
al contrario, le analisi evidenziano
che le opere medio-piccole producono
un effetto moltiplicatore sul
sistema economico e sull'occupazione
molto più elevato delle grandi
infrastrutture e distribuito in modo
diffuso sul territorio, da cui le
piccole e medie imprese potrebbero
avere grande beneficio. Il Governo,
invece, ha destinato le risorse
(spesso sottratte alle destinazioni
originarie, come nel caso del Fondo
per le aree sottoutilizzate) per
realizzare grandi infrastrutture,
che produrranno effetti solo nel
lungo periodo: secondo la
Confindustria, dei 16,6 miliardi di
euro stanziati sono effettivamente
spendibili, nel 2009, solo 650
milioni e, nel 2010, 3,6 miliardi;
gli enti locali nel 2007 hanno
realizzato il 50,9 per cento degli
investimenti fissi lordi delle
amministrazioni pubbliche (i comuni
il 43 per cento e le province il 7,9
per cento). Molti enti locali hanno
a disposizione risorse economiche
libere ed utilizzabili per
finanziare opere già progettate,
cantierabili immediatamente o già
cantierate, ma ferme a causa dei
vincoli posti dal patto di stabilità
che bloccano gli investimenti locali
(pari a circa l'80 per cento del
totale della spesa pubblica per
investimenti), riducendo gli esigui
spazi di bilancio lasciati aperti
per attivare nuovi impegni di spesa
con le risorse disponibili. Inoltre,
impediscono il pagamento dei lavori
già eseguiti ovvero il proseguimento
delle opere appaltate e in corso di
realizzazione (si registra
un'impennata nei ritardi dei
pagamenti da parte delle pubbliche
amministrazioni e si stima che molti
adempimenti verranno rinviati,
trasformandosi in situazioni
debitorie per i comuni, ma
soprattutto di paralisi
dell'attività aziendale, a causa
dell'assenza di liquidità);
in tutti gli altri Paesi dell'Europa
e dell'Occidente le misure di
politica economica per contrastare
la crisi comprendono l'attivazione
di programmi infrastrutturali
diffusi a valenza locale, a partire
dalla manutenzione dei beni
pubblici, dall'edilizia popolare,
dalle opere di dimensione piccola e
media;
andrebbe assegnata una corsia
preferenziale all'utilizzo di quelle
risorse, peraltro disponibili, che
possono essere impegnate nella
manutenzione dei beni pubblici,
quali, ad esempio, scuole, reti
idriche, strade, ovvero nella
realizzazione di progetti già
cantierati - ad esempio, edilizia
residenziale pubblica - e in grado
di essere ultimati velocemente,
entro il 2010: è stato stimato che
un allentamento del patto di
stabilità per i comuni consentirebbe
di mettere in moto opere
medio-piccole pari a circa 4,5
miliardi di investimento finanziario
complessivo, con sicuri effetti sul
piano occupazionale in settori,
quali quello dell'edilizia e il suo
indotto, che, secondo stime Ance, ha
già perso in questo inizio 2009
circa 130 mila posti di lavoro;
sarebbe necessario consentire alle
amministrazioni locali un'immediata
spendibilità di ulteriori risorse
che gli stessi enti avrebbero la
possibilità di attivare, sbloccando
una parte dei residui passivi
relativi alla spesa in conto
capitale ovvero procedendo alla
definizione di nuovi apporti
finanziari tramite dismissioni o
alienazioni patrimoniali per mettere
in campo con immediatezza programmi
di manutenzione ordinaria e
straordinaria: scuole, verde
pubblico, beni artistici e
culturali, periferie, edilizia
pubblica;
inoltre, sul fronte del welfare sono
proprio gli enti locali il primo
fronte di lotta alla povertà e di
argine alla preoccupante crescita
del disagio economico, sociale ed
occupazionale,
impegna il Governo:
a definire gli interventi da
adottare per ovviare alla grave
situazione in cui versano i
comuni e le province, assumendo,
nei tempi utili alla
predisposizione dei bilanci di
previsione per il 2010,
iniziative normative urgenti di
riordino della finanza locale
volte a garantire l'autonomia
finanziaria degli enti locali
nel quadro della concreta
attuazione del federalismo
fiscale;
a garantire l'integrale
copertura del minor gettito
derivante dall'abolizione
dell'Ici sulle abitazioni
principali;
ad adottare iniziative normative
volte a superare, d'intesa con
le associazioni delle autonomie
locali, le criticità derivanti
dall'applicazione del comma 8
dell'articolo 77-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, anche tenendo conto dei
bilanci approvati;
ad adottare iniziative per
consentire l'utilizzo degli
avanzi di amministrazione per la
spesa in conto capitale, in
particolare per lavori di medio
importo realizzabili entro il
2009;
ad adottare iniziative per
escludere il più possibile dai
saldi utili del patto di
stabilità interno i pagamenti a
residui concernenti spese per
investimenti effettuati nei
limiti delle disponibilità di
cassa, a fronte di impegni
regolarmente assunti ai sensi
dell'articolo 183 del testo
unico degli enti locali;
a incentivare l'utilizzo, del
patrimonio immobiliare per
sostenere la spesa in conto
capitale ed abbattere il debito,
in particolare eliminando i
vincoli che impediscono
l'utilizzo dei proventi della
vendita del patrimonio per
finanziare la spesa per
investimenti.
Franceschini, Soro, Sereni,
Bressa, Amici, Baretta, Fluvi,
Bersani, Fontanelli, Zaccaria,
D'Antoni, Lanzillotta, Bordo,
D'Antona, Ferrari, Giovanelli,
Lo Moro, Minniti, Naccarato,
Piccolo, Pollastrini, Vassallo,
Boccia, Calvisi, Capodicasa,
Cesario, Duilio, Genovese,
Marchi, Cesare Marini, Misiani,
Nannicini, Andrea Orlando,
Rubinato, Vannucci, Ventura,
Carella, Causi, Ceccuzzi, De
Micheli, Fogliardi, Gasbarra,
Graziano, Losacco, Marchignoli,
Pizzetti, Ria, Sposetti,
Strizzolo, Samperi, Lovelli,
Codurelli
Per scaricare il testo del
Ddl sul Federalismo approvato
dalla Camera dei Deputati
collegatevi al link
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=87871&idCat=54
Per saperne di più sul
federalismo farsa del Governo
Berlusconi scaricate anche il
dossier
"Andiamo verso il
Federalismo o il clientelismo?"
collegandovi al link
http://www.partitodemocraticoveneto.org/public/documenti/dossier/federalismo_o_clientelismo.pdf
_______________________________________________
IL DIBATTITO SUL "PIANO
CASA"
I
pericoli del piano casa
La Repubblica, 24 marzo
2009
di Giovanni Valentini
Più
che un "piano casa", a favore
dell´economia, sarebbe
un´offensiva mirata contro le
Regioni e contro i Parchi. E di
conseguenza, una devastazione
autorizzata di ciò che resta del
territorio in tutto il Belpaese.
In preparazione del Consiglio
dei ministri convocato venerdì
prossimo per emanare il decreto
legge sull´edilizia, e alla
vigilia della Conferenza
Stato-Regioni chiamata domani a
esprimere il suo parere, la
bozza del decreto ha prodotto
l´effetto di una bomba nel mondo
ambientalista. Protestano all´unisono
il Wwf, Fai, Italia Nostra,
Legambiente e tutte le altre
associazioni ecologiste. Con
loro si schierano anche
studiosi, architetti, archeologi
e uomini di cultura, decisi a
difendere a spada tratta quell´articolo
9 della Costituzione che
antepone «la tutela del
paesaggio e del patrimonio
storico e artistico della
Nazione» rispetto a qualsiasi
altro interesse.
Il primo motivo di allarme
riguarda proprio il rapporto con
le Regioni. Finora, s´era
ritenuto che il "piano casa"
fosse tenuto comunque a
rispettare le loro competenze
esclusive in materia: il
presidente del Lazio Piero
Marrazzo, o quello della Puglia
Nichi Vendola, per esempio, come
gli altri governatori di
centrosinistra, avrebbero potuto
rifiutare un provvedimento del
genere e quindi non applicarlo.
Ma l´articolo 1 del decreto,
comma 2, stabilisce invece che
queste norme trovano
applicazione immediata su tutto
il territorio nazionale, «sino
all´emanazione di leggi
regionali in materia di governo
del territorio». E poiché le
Regioni non possono a loro volta
emanare decreti, ciò significa
in pratica scavalcare le loro
competenze e metterle fuori
gioco, in attesa che riescano
prima o poi ad approvare nuove
leggi sull´assetto del
territorio.
Il secondo punto particolarmente
contestato dagli ambientalisti
attiene alla salvaguardia dei
Parchi. All´articolo 5, comma 1,
la bozza del decreto legge
esclude esplicitamente che gli
ampliamenti possano essere
realizzati nelle "zone A" dei
parchi nazionali, regionali o
interregionali, dove vige una
tutela integrale, oltre che
nelle aree naturali e
archeologiche. Ma questo
significa ammetterli
implicitamente nelle "zone B",
quelle definite a "tutela
orientata", dove qualsiasi
intervento dev´essere comunque
compatibile con la destinazione
del parco medesimo. Da qui,
appunto, la preoccupazione che
la cementificazione possa
dilagare anche nelle aree verdi
protette d´interesse storico e
paesaggistico.
Contro la deregulation selvaggia
prevista dal "piano casa", la
protesta degli ambientalisti
denuncia infine il nuovo regime
edilizio: non più la concessione
preventiva, bensì una semplice
Dia (dichiarazione inizio
attività) con tutte le procedure
di controllo ridotte a
un´autocertificazione.
Quanto alla bioedilizia o all´adozione
di fonti rinnovabili, la bozza
governativa non stabilisce alcun
indice di efficienza energetica
e anzi autorizza gli aumenti di
volume anche solo per i
"risparmi delle fonti idriche e
potabili". Un alibi o un
escamotage, insomma, per
contrabbandare questi interventi
in nome della lotta
all´inquinamento.
Casa, si allarga il fronte
del no contro il piano già 13
Regioni
La Repubblica, 24 marzo 2009
di Paola Coppola
ROMA
— Le Regioni sul piede di
guerra sul piano-casa. Chi perché
non ne condivide i contenuti e chi
perché boccia il metodo del decreto
legge. Il “fronte del no” alle
misure urgenti per aiutare
l’edilizia si allarga alla vigilia
del confronto con il governo sul
provvedimento previsto per domani
alla Conferenza unificata
Stato-Regioni a cui dovrebbe
partecipare anche il premier.
Toscana e Umbria minacciano il
ricorso alla Corte Costituzionale e
la maggior parte delle Regioni (13
per l’esattezza) è contraria.
Possibiliste restano quelle
governate dal Pdl. La bozza che
hanno già letto i governatori è
l’ultima ma non quella definitiva,
perché viene limato ancora il testo
del dl (che potrebbe arrivare in una
versione “ammorbidita” alla
discussione con le Regioni) e
perché, come ricorda il ministro per
i Rapporti con le Regioni, il
governo aspetta «istanze e
suggerimenti che portino a un testo
condiviso». Così Fitto bolla come
«fuga in avanti» quella dei
governatori, che invita a lavorare
su proposte concrete. L’esito
dell’incontro però resta incerto.
Restano i rilievi del Quirinale che
riguardano il rispetto delle
competenze regionali e la necessità
di paletti temporali che fissino la
durata del provvedimento. E anche il
Pd che aveva fatto delle aperture,
ora invita il governo a ripensarci.
«È palesemente incostituzionale
perché la materia è di competenza
regionale e con il decreto i Comuni
e le Regioni sarebbero scavalcati »,
commenta Franceschini. Il piano
stravolge la legislazione vigente:
«Non ci sono più né norme
urbanistiche né piani regolatori,
azzerati dal dl», incalza e aggiunge
«è una operazione priva di senso e
una devastazione del territorio
italiano». Dopo il no del presidente
della conferenza delle Regioni,
Errani, la presidente dell’Umbria,
Lorenzetti, che è anche
coordinatrice della Conferenza delle
regioni per le politiche abitative,
chiarisce che la scelta di procedere
per dl «sarebbe una rottura
istituzionale molto seria ispirata a
un atteggiamento mediatico-
elettoralistico». Un appello a
ritirare il piano e accettare «di
confrontarsi con serietà con le
Regioni» dal governatore della
Puglia, Vendola. Per Burlando
(Liguria) c’è anche il rischio di
eccessi inaccettabili con pericoli
per il paesaggio e i patrimoni
urbani storici. Il decreto profila
«risposte elusive e inefficaci»,
dice il governatore delle Marche,
Spacca, e l’assessore regionale
all’Urbanistica della Campania,
Cundari, scrive a Berlusconi: «Forse
potrebbe credere che tutto
l’abusivismo sia di necessità.
Purtroppo non è così». Possibiliste
le regioni Pdl: per Formigoni il
piano è utile ma «serve un grande
accordo fra Stato e Regioni». La
Lombardia porterà all’incontro il
suo piano. Il presidente del Molise,
Iorio, condivide «percorso,
strategia e obiettivi», l’Abruzzo ha
un «grande interesse» per il piano e
la Sardegna resta favorevole con
precise garanzie per l’ambiente.
Il retroscena.
Il premier gioca il bluff del
decreto ma poi ripiega su ville e
villette
La bozza del dl era stata inviata
alle Regioni dal ministro Raffaele
Fitto
Casa,
vince il pressing di Quirinale
Bossi e governatori "rossi"
La Repubblica, 25 marzo 2009
di Roberto Mania
ROMA
- "Per me la politica è una
professione: credo di avere le
capacità per fare dell'altro, però è
questo che mi piace". Così parlava
qualche tempo fa il giovane Raffaele
Fitto quando ancora guidava la
Regione Puglia. Poi di strada ne ha
fatta tanta, fino a diventare
ministro per gli Affari Regionali
del governo presieduto dal suo
mèntore Silvio Berlusconi. Al quale
non poteva certo negare la
partecipazione a un azzardo
pokeristico, ma tipico della
cassetta degli attrezzi di un
professionista della politica:
andare a vedere la reazione dei
potenziali avversari e, senza
dichiararlo, anche quella
dell'arbitro che risiede al Colle.
Pronto, subito dopo, a buttare sul
tavolo le carte di un "piano B". Una
ritirata da vendere, però, come un
passo avanti. Disconoscendo la
paternità del "piano A", of course.
Così, è stato il quarantenne
ministro pugliese a inviare venerdì
scorso a nome del governo a tutti i
presidenti delle Regioni, ai
rappresentanti delle Province e dei
Comuni, la bozza del decreto legge
con le "Misure urgenti per il
rilancio dell'economia attraverso la
ripresa delle attività
imprenditoriali edili". Sette
articoli ad alto indizio di
incostituzionalità, prodotti dal
governo con il concorso, pare, di
un'equipe di esperti veneti (la
Regione di Giancarlo Galan è infatti
all'avanguardia sul fronte degli
interventi sulla casa) compreso il
deputato-penalista Niccolò Ghedini.
Servivano per far uscire allo
scoperto i consensi e i dissensi, e
per comprendere fino a che punto
fosse possibile rischiare. Il
presidente del Consiglio ha fatto
esporre il suo ministro, poi ne ha
preso le distanze sotto il pressing
di Lega, Regioni "rosse" e Quirinale.
Schema già sperimentato. E ieri,
appena sceso dal Frecciarossa
delle Ferrovie dello Stato dove
aveva parlato anche con il
presidente delle Regioni, Vasco
Errani, ha annunciato:
"Quel piano non è mio".
E ancora: "Ho sentito cose che
non erano nelle idee iniziali e
che non saranno nel testo. Il
decreto o disegno di legge che
sia, non riguarderà gli immobili
urbani, si fermerà alle case
mono o bifamiliari e alle
costruzioni da rifare". Ville e
villette, insomma.
E in serata, dopo un vertice
politico di maggioranza alla
Camera, la seconda svolta: "Le
Regioni avranno tutta la libertà
di manovra che vorranno". Una
frenata fortemente voluta dal
Quirinale perché sulla casa la
competenza legislativa è delle
Regioni. Il decreto originario
avrebbe portato all'ennesimo
scontro istituzionale. In una
lettera "privata" - e per questo
non confermata né smentita dalla
Presidenza della Repubblica -
Giorgio Napolitano si è
raccomandato con Berlusconi di
tenere conto del parere delle
Regioni sul piano casa. E questa
volta il premier non avrebbe
avuto alcun vantaggio a sfidare
il Colle. Dunque, retromarcia.
Tanto più che il rientro nei
binari istituzionali porta con
sé la potenziale disponibilità
bipartisan delle Regioni ad
aprire al piano casa.
D'altronde l'obiettivo del
governo resta un altro: mettere
in circolo i risparmi degli
italiani per sostenere
soprattutto le piccole aziende
dell'edilizia. Praticamente
nessun costo per le casse
pubbliche, ma un grande ritorno
in termini di consenso ("L'idea
è piaciuta moltissimo alle
famiglie", ha assicurato il
Cavaliere). D'altra parte le
risorse per le opere
infrastrutturali (oltre 16
miliardi di euro) sono stata
praticamente già tutte
impegnante con le grandi opere.
Insistere sul "piano A" avrebbe
portato solo a un inedito
accerchiamento di Bossi, Regioni
"rosse" e Quirinale. Con il
rischio di affossare il piano
casa.
IL TESTO
Disegno di legge sulla
casa:
la proposta del PD
DISPOSIZIONI
IN MATERIA DI AFFITTI, DI ACQUISTO
DELLA PRIMA CASA DI ABITAZIONE E PER
LO SVILUPPO DELL’EDILIZIA
RESIDENZIALE DA DESTINARE ALLA
LOCAZIONE
Scheda sintetica
Nel quadro di una strategia
complessiva di attacco ai problemi
della casa, il disegno di legge
proposto delinea tre linee di
intervento principali.
In primo luogo, si introducono
innovazioni fiscali mirate
congiuntamente a rendere il mercato
degli alloggi più trasparente, equo
e sostenibile e ad alleggerire
l'onere, per ciascun cittadino, di
un affitto o di un mutuo per
l’acquisto della prima casa.
In questo contesto si propone:
- l'aumento delle detraibilità ai
fini IRPEF del canone di locazione
dell'abitazione principale,
prevedendo che ciascun titolare di
un contratto d'affitto regolarmente
registrato possa detrarre dalla
propria imposta il 19 per cento
dell'intero ammontare del canone di
locazione corrisposto al
proprietario dell'immobile, fino ad
un massimo di 2.000 euro annui;
- la riduzione delle imposte sui
redditi derivanti dall'affitto di
immobili adibiti ad abitazione
principale, attraverso un sistema di
tassazione separata del reddito da
locazione, all'aliquota sostitutiva
del 20 per cento;
- l’aumento della detraibilità ai
fini IRPEF delle rate di mutuo
acceso per l’acquisto della prima
casa, attraverso l'elevazione da
4.000 a 6.000 euro dell'importo
massimo detraibile;
- il rifinanziamento del "Fondo di
solidarietà per i mutui per
l’acquisto della prima casa", la cui
dotazione viene incrementata di 30
milioni di euro per ciascuno degli
anni 2009, 2010 e 2011.
Il secondo fronte d'intervento punta
a dare nuovo impulso all'edilizia
residenziale pubblica ad affitto
sociale, quale risposta concreta
alla domanda di alloggi a costi
sostenibili per le fasce sociali più
deboli.
Al fine di ampliare l’offerta di
alloggi in locazione a canone
sociale, si prevede innanzitutto un
incremento delle risorse per il
"Programma straordinario di edilizia
residenziale pubblica" pari a 300
milioni di euro per ciascuno degli
anni 2009, 2010 e 2011.
Ma la misura più significativa
riguarda l'innovazione di approccio
alla questione dell'edilizia
residenziale pubblica, attraverso il
coinvolgimento di soggetti
investitori privati, con particolare
riguardo alle società d’investimento
immobiliare quotate (SIIQ) e dei
fondi immobiliari, nella
realizzazione di alloggi da
destinare alla locazione a canone
concordato, ad integrazione
dell’intervento pubblico.
L’obiettivo è quello di ridurre, per
tale via, le situazioni di
particolare disagio abitativo che si
verificano con sempre maggiore
frequenza nelle maggiori aree
metropolitane del Paese.
Infine, il disegno di legge promuove
lo sviluppo, anche nel nostro Paese,
del cosiddetto social housing, ossia
di partnership tra amministrazioni
locali e investitori pubblici e
privati per la realizzazione di
alloggi destinati alla locazione a
canone calmierato a soggetti che,
avendo un reddito troppo alto per
accedere all’edilizia residenziale
pubblica, si trovano tuttavia privi
delle risorse economiche sufficienti
a far fronte ai canoni di locazione
stabiliti dal mercato. Ad essere
interessati da tale strumento
sarebbero in primo luogo: giovani,
giovani coppie, famiglie
monoreddito, lavoratori e
lavoratrici che devono trasferire la
loro residenza, lavoratori
temporanei e precari, studenti fuori
sede e anziani pensionati
autosufficienti.
Nel merito, il testo prevede
l’istituzione di un’apposita Agenzia
per la promozione dell’offerta di
alloggi a canone calmierato, con il
compito di promuovere, attraverso
una precisa procedura, la ricerca e
la selezione sul mercato di soggetti
finanziari interessati al
collocamento di risorse economiche
in progetti pilota presentati dalle
amministrazioni locali per la
realizzazione di nuovi alloggi da
destinare esclusivamente
all’affitto, anche tramite
l’utilizzo di aree e immobili di
proprietà delle medesime
amministrazioni.
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APPUNTAMENTI
LUNEDI 30 MARZO
ORE 18.30 PRESSO LA NUOVA SEDE
PROVINCIALE PD, VIA DELL'OREFICERIA
32 - VICENZA
ASSEMBLEA
PROVINCIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO
DI VICENZA
ORE 21.00 PRESSO LA SALA
DANTE, PIAZZA DANTE (DI FRONTE AL
DUOMO) - CONSELVE (PD)
INIZIATIVA PUBBLICA SULLE PROPOSTE
DEL PD PER USCIRE DALLA CRISI
ECONOMICA
DOMENICA 5
APRILE, ORE 10.30 A NOVENTA PADOVANA
ASSEMBLEA DI CIRCOLO SULLA
SITUAZIONE POLITICA
visita il sito
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