Chiudere
Attiva prima che il buco aumenti
Il Mattino di Padova, 24 luglio 2010

Ancora
una volta balza alla cronaca la lunga agonia di
Attiva Spa. Da anni l’ex Consorzio di sviluppo del
Conselvano sopravvive in condizioni disastrose. Ora,
a quanto si apprende dal mattino, finalmente gli
amministratori della società sembrano intenzionati a
ricorrere alla legge fallimentare, dichiarando lo
stato di crisi, depositando i bilanci in tribunale e
presentando un piano di ristrutturazione del debito
finalizzato a pagare i creditori.
Trova così conferma il fallimento gestionale.
Attiva vanta debiti con le banche per oltre 100
milioni di euro e negli ultimi due esercizi ha
prodotto un disavanzo di 7 milioni e 880 mila euro
nel 2009, e di 18 milioni 468 mila nel 2010. Il
patrimonio immobiliare è quasi tutto ipotecato. Un
disastro, appunto. Conclamato al punto che Veneto
Sviluppo la finanziaria della Regione, socio
rilevante di Attiva, ha già svalutato la propria
partecipazione. Di fronte a questi numeri per
qualsiasi impresa privata c’è una sola strada:
portare i libri in tribunale. Come dimostra il
recente caso della Banca popolare di garanzia,
l’istituto di credito degli industriali padovani
messo in liquidazione nonostante un passivo molto
minore di quello di Attiva.
L’accanimento terapeutico che sta prolungando
l’agonia della società del Conselvano ha già
prodotto ulteriori danni. Se i soci avessero
provveduto per tempo a chiudere la società si
sarebbe evitato di far lievitare negli ultimi due
anni il buco di 26,3 milioni di euro. Se nei
prossimi giorni il Tribunale accoglierà la richiesta
dei soci di utilizzare la legge fallimentare si
avvierà una sorta di liquidazione guidata per cedere
le proprietà ipotecate, dismettere tutte le attività
e pagare i debiti.
E’ l’epilogo di un Consorzio che ha smarrito i fini
di sviluppo per i quali era stato creato. Con
Cosecon, soci e amministratori hanno bruciato denaro
pubblico per anni, investendo in quote azionarie che
adesso si rivelano partecipazioni a un enorme
debito. Ora Attiva necessita dell’accensione di
nuovi mutui bancari, perché non ha la liquidità
necessaria a far fronte agli impegni finanziari. In
sostanza per ristrutturare il debito è costretta a
ricorrere ad altro debito. E qui serve la massima
attenzione dell’opinione pubblica perché nel
disperato tentativo di reperire i liquidi necessari
alla sopravvivenza i vertici di Attiva rischiano di
trovarsi coinvolti in operazioni avventate e poco
trasparenti. Come, ad esempio, la vendita di Veneto
Distribuzione, società del gas. La procedura è
insanabilmente viziata dalla presenza illegittima
del socio Enerco Group, scelto senza gara pubblica,
e dall’accordo, concretizzato in una fidejussione
bancaria, tra Attiva e lo stesso socio privato. Su
queste anomalie si è già pronunciata l’Autorità
garante della concorrenza e del mercato,
evidenziando come “il mancato ricorso alle procedure
di evidenza pubblica nella scelta del socio privato
di Veneto Distribuzione produce inevitabilmente
effetti anche nella vendita della società
attualmente in fase di svolgimento”.
Il caso Attiva è emblematico del mondo della
finanza, per le modalità con cui le banche
continuano a erogare finanziamenti a soggetti malati
mentre trascurano quelli sani. All’apice della crisi
economia, con le imprese che chiudono perché le
banche rifiutano il credito, perché si continuano a
finanziare società inutili? Lo stesso vale per
Veneto Sviluppo, nata per supportare le attività
delle piccole e medie imprese. Quante aziende
avrebbe potuto salvare con i capitali dirottati
sull’ex Cosecon? Ma il caso Attiva è anche un pezzo
di storia della politica, per il ruolo svolto negli
scorsi anni dagli amministratori pubblici che hanno
causato l’attuale disastro. Su questi aspetti
saranno le inchieste e i processi penali e civili in
corso a individuare i responsabili. Infine, esiste
un enorme problema sulla credibilità del CdA di
Attiva.
Ora è necessario mettere fine prima possibile a
questa penosa vicenda, per evitare che qualcuno in
futuro provi a ripetere un’ esperienza fallimentare.
Attiva, c è
il rischio liquidazione
Il Mattino di Padova, 21
luglio 2010
CONSELVE.
Colpi di scena a ripetizione sul destino di Attiva,
prima la notizia bomba della battuta d’arresto del
«piano di salvataggio» presentato nei giorni scorsi
dopo mesi di preparativi. Ma poche ore dopo, dopo
una giornata frenetica, di fronte al serio rischio
di messa in liquidazione della società, il sistema
bancario ha deciso di reagire e dare il via libera
definitivo all’iniezione di capitali necessaria per
pagare parte dei debiti. Il tempo stringe e i
prossimi saranno giorni decisivi. La corsa contro il
tempo era iniziata agli inizi di luglio, con la
presentazione in tribunale della prima bozza del
«piano di ristrutturazione del debito» messo a punto
dalla spa con l’apporto e l’assenso delle banche,
nella doppia veste di socie e creditrici, in testa
Cassa di Risparmio, Antonveneta Monte Paschi e
Unicredit. Sembrava che tutto volgesse per il
meglio perché il collegio giudicante, presieduto da
Caterina Santinello, aveva accettato di prendere in
esame la documentazione in tempi brevi. Giovedì
scorso infatti si è tenuta l’udienza alla quale
hanno preso parte il presidente di Attiva, Gian
Michele Gambato, i legali della Spa e i
rappresentanti dei creditori. Il piano di
ristrutturazione è una novità introdotta
dall’articolo 182 bis della legge fallimentare ed è
previsto in caso di accordo fra almeno il 60 per
cento degli azionisti. L’accordo per il
«salvataggio» di Attiva, che deve fare i conti con
un’esposizione finanziaria drammatica e un deficit
di bilancio di 18 milioni di euro nel 2009, ha visto
una lunga gestazione ed è stato più volte aggiustato
prima della stesura definitiva. In Tribunale è stata
presentata una bozza con l’intento di velocizzare i
tempi, in attesa di ottenere le deliberazioni di
tutte le banche. Ma la giudice Santinello ha
rigettato il documento perché ritiene che non ci
siano sufficienti garanzie nei confronti dei
creditori privati. Per mettere la Spa sotto
protezione e approvare il piano la Santinello chiede
che i 13 milioni e 800 mila euro di «nuova finanza»,
la somma anticipata dalle banche, sia disponibile
«pronta cassa». Attiva invece aveva chiesto di
procedere con il piano in attesa della
formalizzazione dell’accordo da parte degli istituti
di credito. La notizia del diniego del Tribunale è
piombata come un macigno lunedì sera, tanto che il
presidente ha convocato d’urgenza un consiglio
d’amministrazione straordinario. Intanto sono
partite le consultazioni con le banche e, dopo una
giornata al cardiopalma, nel pomeriggio di ieri a
sbloccare la situazione è arrivata la risposta
definitiva attesa da Monte dei Paschi di Siena.
L’istituto di credito infatti non aveva ancora
sciolto la riserva mentre era già arrivato l’assenso
delle altre banche. Mps avvalla l’anticipazione dei
13 milioni e 800 mila euro posti dal giudice come
conditio sine qua non per procedere con il piano.
Non solo: la banca ha dato l’assenso anche
all’operazione di vendita di Veneto Distribuzione,
la società che ha in concessione le reti del gas,
che dovrebbe fruttare altri 13 milioni e mezzo di
euro. Nei prossimi giorni l’operazione dovrebbe
concludersi con l’Amga di Udine, quindi non sarebbe
più necessario far valere la fidejussione del socio
privato, la Enerco della famiglia Casellato. Adesso
la parola torna al Tribunale.
IL CRACK DI
PROGETTO SALVAGUARDIA AMBIENTE
(EX TRASPORTI ECOLOGICI)
Un fallimento
annunciato
Il
fallimento dell'ex Trasporti Ecologici, poi
trasformata in Progetto Salvaguardia Ambiente, è la
dimostrazione di quanto abbiamo ripetuto da tempo,
prima come DS e adesso come PD. E' il risultato
inevitabile della gestione disastrosa di questa
società, improntata più agli interessi privati di
pochi speculatori che alla fornitura efficiente di
un servizio fondamentale come quello della gestione
dei rifiuti, a vantaggio di tutti i cittadini dei
Comuni soci. Saranno proprio i Comuni a pagare il
prezzo più alto di questo fallimento. Ora sarà
compito del Tribunale chiudere nell'unica maniera
possibile - con il fallimento - l'ex Trasporti
Ecologici, mettendo la parola fine ad una vicenda
emblematica di come gli interessi privati possano
causare gravi danni alla collettività, con il
rischio che il disastro si ripeta nello stesso modo
anche nel caso di Attiva Spa, l'ex Consorzio di
Sviluppo del Conselvano ormai divorato dai debiti e
completamente in mano alla banche creditrici.
L’ex
Trasporti Ecologici
non si salva dal fallimento
Vano cambio di proprietà
Per la società di servizi
ambientali fondata da Andolfo e al centro di varie
inchieste la fine era inevitabile
Il 21 gennaio ci sarà l’udienza per stabilire
l’ammontare esatto
del pesante passivo
Il Mattino di Padova, 7
agosto 2010
MONSELICE.
Finisce nel peggiore dei modi la parabola dell’ex
Trasporti Ecologici, la società di servizi
ambientali che per un decennio ha fatto discutere ed
è stata all’origine di clamorose inchieste, sfociate
in un processo ancora in corso. Il tribunale ha
decretato il fallimento della Progetto Salvaguardia
Ambiente, questo il nuovo nome assunto dopo gli
scandali ed il travagliato passaggio di proprietà.
La sezione fallimentare del
tribunale patavino ha nominato giudice delegato
Caterina Zambotto e curatore il padovano Michele
Pivotti.
Fissato al 21 gennaio del prossimo anno l’esame
dello stato passivo accumulato dalla società di
servizi ecologici. Da oltre un paio d’anni la
società era ormai in agonia, affossata dalle
pesantissime perdite finanziarie e da una
ingombrante eredità che nemmeno il cambio di nome
era riuscito a far dimenticare. Del capitale sociale
non era rimasto praticamente nulla e anche il ramo
d’azienda che si occupa della raccolta e dello
smaltimento dei rifiuti è stato ceduto in affitto
alla De Vizia, che ha assorbito anche i dipendenti,
non senza problemi.
Da quattro anni la società, dopo la discussa
compravendita firmata Cosecon e costata il rinvio a
giudizio per un nutrito gruppo di amministratori ed
ex sindaci, era passata sotto il controllo del
gruppo vicentino Stabila, che aveva acquistato dalla
famiglia Andolfo la metà delle quote. A Cosecon -
Attiva era rimasto circa il 30 per cento, oltre alla
partecipazione di alcuni comuni, fra cui la fetta
più grossa era detenuta da Tribano. Quote di fatto
azzerate dopo la pubblicazione del bilancio 2006,
che aveva messo in evidenza una perdita societaria
di oltre dieci milioni di euro.
L’anno successivo, poi, Progetto Salvaguardia
Ambiente ha chiuso i conti con altri quattro milioni
di deficit e da allora la situazione è precipitata.
La proprietà vicentina all’inizio del 2008 ha
tentato di giocare la carta dell’aumento di capitale
ma gli altri soci non ci sono stati, temendo di
perdere altro denaro.
Ora spetterà al Tribunale spartire quel che rimane
della società. Nata nel 1993 per gestire i servizi
ambientali e avviare la raccolta differenziata, la
svolta di Trasporti Ecologici arriva fra il 2002 e
il 2003 con la vendita della quota di maggioranza,
detenuta dalla famiglia Andolfo - Bertin, alla
Cosecon, guidata allora dal Natalino Zambolin,
sindaco di Tribano e fondatore della società.
Successivamente una perizia dimostrerà che il prezzo
era stato gonfiato sovrastimando il valore della
società. Scatta l’inchiesta della magistratura, con
33 iscritti nel registro degli indagati. E’ l’inizio
della fine.
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L'ASCENSORE
DELLA ROCCA DI MONSELICE
Soddisfazione
per la decisione
della Sovrintendenza
Anche
se è passato molto tempo da quando, nel 2007, sono
iniziati i lavori per la costruzione dell'ascensore
della Rocca di Monselice, è con soddisfazione che si
deve accogliere la decisione della Sovrintendenza di
stralciare dal progetto la costruzione della torre
di accesso al Mastio federiciano. Inoltre, è bene
ricordare che
i lavori sono stati interrotti nel maggio del 2008
dall'intervento dell'autorità giudiziaria che ha
aperto un'indagine per accertare la conformità tra
l'intervento in questione e le norme sulla
programmazione urbanistica. E' positivo, quindi, che
dopo la Magistratura si sia pronunciata anche la
Sovrintendenza per verificare l'impatto ambientale
di questo progetto, dopo le forti preoccupazioni
espresse a più riprese in questi anni da numerose
associazioni ambientaliste, preoccupate per i danni
che i lavori avrebbero potuto arrecare
all'equilibrio idrogeologico del colle della Rocca,
data l'estrema friabilità della roccia che ha
causato più volte frane sul colle.
Questo progetto, ora modificato
profondamente con la decisione della Sovrintendenza,
è l'ennesimo esempio della cattiva abitudine di
molte Amministrazioni di promuovere a tutti i costi
la realizzazione di opere inutili, delle vere e
proprie cattedrali nel deserto, pur di incassare dei
finanziamenti europei (pari a 3 milioni di euro per
la Rocca di Monselice) che, invece, andrebbero
utilizzati per opere realmente utili alla
collettività. Al contrario, per ricevere i fondi,
molti Enti pubblici sono addirittura disposti a
chiudere un occhio su autorizzazioni e permessi
necessari alla realizzazione di progetti
urbanistici, faraonici solo sulla carta ma per i
quali - come è stato denunciato pubblicamente più
volte nel caso dell'ascensore della Rocca - mancano
i più elementari presupposti.
La seconda torre non
si farà più
Doveva assicurare l’accesso al torrione, per la
Soprintendenza è invasiva
COLPO DI
SCENA SULLA ROCCA
Il progetto che doveva
ridisegnare la sommità del colle va modificato
Il Mattino di Padova, 11
agosto 2010
MONSELICE.
La torre di accesso al mastio non si fa
più. Mentre sulla Rocca proseguono i lavori per il
cantiere di Casa Bernardini, trova conferma la voce
per cui l’altro intervento compreso nel sesto e
settimo lotto, ovvero la torre che doveva sorgere di
fianco al mastio federiciano, è stato stralciato. Il
motivo? La torre non ha passato il vaglio dell’esame
sull’impatto paesaggistico. E’ stata giudicata
troppo impattante dalla Soprintendenza. E per
questo, stralciata. Concentrando tutte le risorse
economiche sull’intervento all’ex Casa Bernardini.
Lo conferma l’ingegner Stefano Talato, responsabile
del progetto per i lavori in corso. «Attualmente si
sta proseguendo solo con il cantiere di Casa
Bernardini - spiega l’ingegnere -. Visto il diniego
per la realizzazione della torre, pertanto le
risorse sono state concentrate sulla locanda. Il
progetto per l’accesso al mastio per il momento è
congelato: si vedrà quali scelte adottare».
Rimane per ora la possibilità di arrivare al mastio
per il sentiero. «La scala in tubi Innocenti verrà
risistemata perché non ci siano problemi» assicura
Talato. E questo è tutto. E’ anche la fine della
parabola dell’imponente torre d’accesso, voluta e
progettata dalla Società Rocca di Monselice e
finanziata dalla Regione. Una struttura che avrebbe
dovuto innalzarsi per dieci metri e sorgere di
fianco al mastio, sui resti di un bastione crollato.
La struttura in acciaio doveva essere ancorata a
pilastri in calcestruzzo e rivestita con doghe di
larice siberiano, per differenziarla dalle mura. A
otto metri d’altezza, una passerella doveva
permettere l’ingresso al mastio.
Un progetto che da subito aveva suscitato le
rimostranze degli ambientalisti, perché giudicato
troppo invasivo, lesivo della storia del sito, ma
anche per ragioni procedurali ben precise,
denunciate in un esposto. Resterà comunque la
necessità di individuare una modalità di accesso al
mastio diversa dall’attuale scala in tubi Innocenti,
che sta macchiando di ruggine il torrione.
«So che la torre doveva essere trasformata in una
struttura più agile, dato che per la Soprintendenza
era troppo impattante. Credo che al momento il
progetto sia fermo in attesa di nuove soluzioni -
commenta il sindaco Francesco Lunghi - ma
personalmente, credo che la priorità vada data a
Casa Bernardini e all’ascensore, rispetto alla torre
di accesso. Auspico che la locanda sia finita in
tempi utili per la fine dell’ascensore, senza il
quale non avrebbe senso. E quanto all’ascensore,
stiamo valutando il percorso più giusto per
sbloccare la situazione: io mi auguro che venga
realizzato e che sia pronto per settembre 2011.
Altro progetto da valutare sarà il recupero di Casa
Cattin, proprietà della Società Rocca»
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Annunciata
interrogazione dell'On.Naccarato
Grave episodio
di insulti razzisti a Niang Boubacar, sindacalista
Cgil
Al
Ministro del lavoro, della salute e delle politiche
sociali,
Per sapere - premesso che:
Lo scorso martedì 8 agosto un funzionario sindacale
della Fillea-Cgil, Niang Boubacar, di origine
senegalese, è stato insultato e offeso da Claudio Rossi,
responsabile del cantiere della ditta forlivese “R.C.
snc” impegnata nel rifacimento della pavimentazione
stradale di via Dante, una delle vie principali del
centro cittadino di Padova;
Secondo le testimonianze messe a verbale dai vigili
urbani presenti sul posto il responsabile del cantiere
ha vietato al sindacalista, in compagnia di un suo
collega, di visitare il cantiere, insultandolo con
espressioni chiaramente offensive e razziste, quali
“negro” e intimandogli di lasciare l’area dei lavori;
La visita dei sindacalisti della Fillea-Cgil di Padova
rientrava nel progetto “Io lavoro sicuro” promosso di
recente dalla Camera del Lavoro per verificare sul campo
le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro
all’interno dei cantieri edili;
Il responsabile del cantiere, intervistato dalla stampa
locale il giorno successivo ai fatti, ha ribadito
pubblicamente la propria contrarietà all’intervento dei
sindacalisti all’interno del cantiere affermando anche
che: “Un sindacalista negro è una barzelletta”;
In tal modo si conferma inequivocabilmente l’intento
offensivo delle parole rivolte al sindacalista da parte
del responsabile del cantiere della ditta “R.C. snc” a
causa del colore della sua pelle;
Inoltre, già nel 2006, la stessa ditta non aveva
rispettato le regole in materia di sicurezza e diritti
dei lavoratori: tre lavoratori stranieri erano stati
impiegati in nero dalla ditta “R.C. snc”, impegnata in
sub-appalto nei lavori per la realizzazione del metrobus
a Padova;
Per quanto riguarda le offese di stampo razzista rivolte
al sindacalista Niang Boubacar la Fillea-Cgil di Padova,
subito dopo l’accaduto, ha dato mandato ai propri legali
di procedere contro i responsabili dell’impresa e la
Procura della Repubblica di Padova ha aperto
un’inchiesta con l’accusa di ingiurie aggravate dai
motivi di discriminazione razziale;
Se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti,
quali misure intenda porre in essere per promuovere le
necessarie verifiche sulle condizioni di sicurezza sul
lavoro dei cantieri aperti dalla ditta “R.C. snc” su
tutto il territorio nazionale e, in particolare, a
Padova; se il Ministro stia valutando la possibilità di
modificare la normativa vigente al fine di garantire la
piena agibilità da parte dei Sindacati e delle altre
organizzazioni di categoria impegnate a verificare sul
campo le condizioni di lavoro dei dipendenti dei
cantieri edili; quali misure intenda porre in essere per
sanzionare i titolari delle aziende che non rispettano i
diritti dei lavoratori.